di Michele Paris

Mentre i manifestanti dell’opposizione si stavano apprestando a marciare verso la sede del governo a Bangkok, il primo ministro thailandese, Yingluck Shinawatra, ha annunciato lunedì lo scioglimento del parlamento e nuove elezioni da tenersi al più presto per cercare di stabilizzare il paese del sud-est asiatico precipitato ancora una volta nel caos ormai da diverse settimane.

La ripresa delle proteste di piazza contro l’Esecutivo, per molti manovrato dall’estero dall’ex premier in esilio Thaksin Shinawatra, era avvenuta dopo una breve tregua decisa giovedì scorso in occasione dell’86esimo compleanno del sovrano thailandese, re Bhumibol Adulyadej. Nella giornata di domenica, inoltre, tutti e 153 i parlamentari del Partito Democratico all’opposizione avevano rassegnato le proprie dimissioni, dichiarando l’impossibilità di lavorare con l’esecutivo guidato dal partito pro-Thaksin, Pheu Thai (“Per i Thailandesi”).

Lo scioglimento anticipato del Parlamento, però, è stato definito dagli oppositori del governo tutt’al più come il primo passo verso la risoluzione della crisi. Infatti, come ha ribadito lunedì il leader dei manifestanti, l’ex vice-primo ministro e già parlamentare del Partito Democratico Suthep Thaugsuban, il loro obiettivo rimarrebbe lo “sradicamento del Thaksinismo” dalla Thailandia.

Come accaduto puntualmente nell’ultimo decennio, d’altra parte, anche le nuove elezioni assegneranno probabilmente la vittoria al partito attualmente al potere, così che Suthep e gli altri leader dell’opposizione chiedono da tempo, assieme alle dimissioni di Yingluck, non un voto anticipato bensì la creazione di un cosiddetto “Consiglio del popolo” non elettivo con il compito di scegliere il successore di quest’ultima a capo del governo.

Questa proposta anti-democratica sarebbe in sostanza uno strumento per fare intervenire nella crisi i tradizionali ambienti di potere thailandese, a cominciare dalle Forze Armate e dalla casa regnante, per portare a termine un nuovo colpo di stato dopo quello militare del 2006 che depose Thaksin e quello giudiziario del 2008 che mise fine ad un altro governo legittimamente eletto e guidato ancora dai sostenitori dell’ex premier.

Quella del primo ministro Yingluck sembra essere stata così una mossa decisa per neutralizzare le proteste o, quanto meno, per evitare una loro escalation che, oltre a installare un nuovo governo senza il consenso degli elettori, potrebbe paralizzare ulteriormente il paese di fronte ad una netta frenata dell’economia e ai timori espressi dal business locale per un possibile rallentamento degli investimenti internazionali.

L’annuncio fatto lunedì in diretta televisiva da Yingluck potrebbe essere stato deciso nei giorni scorsi assieme ai militari e al sovrano, nonché in seguito all’incontro dell’ambasciatore americano a Bangkok, Kristie Kenney, e del numero uno del Comando USA nel Pacifico, ammiraglio Samuel Locklear, con la stessa premier e i vertici militari thailandesi.

Le Forze Armate e gli ambienti reali, pur osteggiando il governo, temono che il confronto in atto nel paese possa sfociare in una crisi ancora più grave, soprattutto alla luce della mobilitazione nelle fasi iniziali dei sostenitori del governo e di Thaksin - definiti “Camicie rosse” e facenti parte in gran parte delle classi più povere nelle aree rurali del nord del paese - presenti da qualche giorno nella capitale e già protagonisti di alcuni scontri con i manifestanti dell’opposizione. Per gli Stati Uniti, invece, lo scivolamento nel caos del tradizionale alleato metterebbe a rischio uno dei pilastri della propria strategia asiatica in chiave anti-cinese proprio in un momento di gravi tensioni con Pechino.

La minaccia di uno scenario di questo genere aveva già spinto l’establishment tradizionale thailandese a stipulare un tacito accordo con Yingluck in seguito alle elezioni del 2011 che permise alla sorella di Thaksin di insediare il proprio governo in cambio della non interferenza nelle questioni militari e reali. Un eventuale intervento dei militari in quell’occasione per cancellare nuovamente il risultato elettorale avrebbe infatti con ogni probabilità fatto riesplodere drammaticamente le tensioni nel paese, già provato dalla durissima repressione ordinata dal governo del Partito Democratico nel 2010 contro le proteste dei sostenitori di Thaksin che fece più di 90 morti.

Come è noto, da alcune settimane l’equilibrio che aveva caratterizzato gli ultimi due anni della vita politica thailandese si è spezzato in seguito al fallito tentativo del governo di fare approvare un’amnistia che avrebbe consentito al discusso Thaksin il ritorno in patria - dove è stato condannato a due anni di carcere per corruzione - e modificato la Costituzione per rendere il Senato interamente elettivo.

Che la fine anticipata della legislatura possa far cessare le proteste in corso non è comunque chiaro, anche se alcuni leader dell’opposizione stanno iniziando a manifestare più di una preoccupazione per la prosecuzione delle manifestazioni. Altri, al contrario, hanno minacciato un boicottaggio del voto, che finirebbe però per emarginare ulteriormente un Partito Democratico che non raccoglie un successo elettorale da oltre un decennio. Allo stesso tempo, le Forze Armate - protagoniste negli ultimi 80 anni di 18 colpi di stato portati a termine o falliti in Thailandia - continuano a mantenersi ufficialmente neutrali e a sollecitare una soluzione pacifica della crisi.

In ogni caso, un membro della commissione elettorale della Thailandia ha fatto sapere lunedì che la data più probabile per il voto sarà attorno al 2 febbraio prossimo, come aveva suggerito in precedenza anche un portavoce del governo. Con il voto per il rinnovo dell’intero parlamento ormai certo, la stessa commissione ha poi dovuto cancellare le elezioni speciali che erano in programma il 22 dicembre per scegliere i sostituti di una decina di parlamentari del Partito Democratico, tra cui Suthep, che a novembre si erano dimessi per guidare le proteste contro il governo.

Dopo qualche esitazione, alcuni leader del Pheu Thai hanno confermato sempre lunedì al quotidiano in lingua inglese Bangkok Post che la loro candidata alla carica di primo ministro rimarrà quasi certamente Yingluck Shinawatra, come dovrebbe stabilire in maniera formale un vertice del partito pro-Thaksin fissata per mercoledì 11 dicembre.

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