di Mario Lombardo

A pochi mesi dalle elezioni generali in India, il Partito del Congresso al potere guidato dalla presidente Sonia Gandhi ha subito una pesantissima sconfitta nelle consultazioni per il rinnovo di alcune assemblee statali del paese asiatico. Il partito di ispirazione social-democratica della dinastia Gandhi-Nehru ha pagato a caro prezzo sia una serie di scandali esplosi negli ultimi anni che l’avvio di impopolari politiche economiche di libero mercato, lasciando strada all’opposizione del Partito Popolare Indiano (Bharatiya Janata Party, BJP) ultra-nazionalista induista che appare ora il netto favorito per la formazione del prossimo governo centrale.

Il voto amministrativo in India è andato in scena domenica in quattro stati - Chhattisgarh, Madhya Pradesh, Mizoram e Rajasthan - più il Territorio Nazionale della Capitale di Delhi, interessando complessivamente oltre 180 milioni di abitanti.

I rovesci più pesanti per il Congresso sono stati registrati nel Rajasthan e a Delhi, dove ha dovuto cedere la maggioranza delle rispettive assemblee e il governo locale al BJP. Nello stato nord-occidentale del Rajasthan, il partito al potere ha ottenuto solo 21 seggi su 200, contro i 162 del BJP. Nella capitale, invece, il Congresso è passato da 43 seggi, conquistati nel 2008, ad appena 8 sui 70 totali, mentre i rivali di destra sono saliti a 31.

Il BJP si è inoltre confermato negli stati di Chhattisgarh e Madhya Pradesh - piuttosto agevolmente nel primo e di misura nel secondo - dove già governava. Il Congresso è riuscito a riconfermarsi alla guida soltanto del piccolo stato orientale di Mizoram, dove vivono poco più di un milione di persone. Il bilancio finale del voto nel fine settimana è stato dunque disastroso per il Congresso, il quale ha visto quasi dimezzata la propria rappresentanza complessiva.

A Delhi, quanto meno, il BJP non è riuscito a raggiungere la maggioranza assoluta, così che si renderà necessaria una coalizione per amministrare la metropoli di oltre 12 milioni di abitanti. Qui, ad ottenere un risultato inaspettato è stato il Partito dell’Uomo Comune (Aam Aadmi, AAP), creato poco più di un anno fa attorno ad un programma basato prevalentemente sulla lotta alla corruzione pressoché endemica nel paese.

L’AAP ha chiuso con ben 27 seggi, sottraendo voti al Congresso tra gli elettori più poveri e della classe media di Delhi. Il leader della nuova formazione politica, Arvind Kejriwal, ha addirittura strappato il seggio di Sheila Dikshit, per 15 anni a capo del governo della capitale (“chief minister”) per il Partito del Congresso.

Le implicazioni dell’appuntamento elettorale appena concluso in India per il Partito del Congresso appaiono quindi chiare in vista delle elezioni nazionali previste per il mese di maggio. La batosta patita conferma infatti il profondo malcontento diffuso in tutto il paese per un governo centrale incapace far fronte al rallentamento dell’economia con misure in grado di rispondere alle aspettative della maggioranza della popolazione.

L’esecutivo della coalizione Alleanza Progressista Unita e presieduto dall’ultra-ottantenne primo ministro Manmohan Singh, su iniziativa del Partito del Congresso con a capo Sonia Gandhi, da qualche tempo si è mosso verso l’apertura del mercato indiano, dando il via libera a privatizzazioni e investimenti stranieri in svariati settori, nonché tagliando i sussidi per calmierare i prezzi dell’energia.

Oltre al contraccolpo elettorale di queste e altre “riforme” economiche impopolari - lanciate ufficialmente più di un anno fa al termine di un sofferto processo che portò anche alla perdita di alleati di governo - il Congresso ha patito vari scandali che hanno coinvolto numerosi suoi esponenti in casi di corruzione, evidenziando i discutibili legami del partito con gli ambienti del business indiano.

La crescente avversione nei confronti del governo Singh e del Partito del Congresso è stata sfruttata dal BJP all’opposizione, il quale tuttavia è il tradizionale punto di riferimento della borghesia indiana e promuove politiche ancor più di matrice liberista. Attorno al BJP si sono così stretti gli ambienti economici e finanziari del paese che giudicano troppo caute le iniziative del Congresso in ambito economico, lanciando come candidato alla guida del prossimo governo uno dei leader più controversi del partito, Narendra Modi.

Capo del governo dello stato di Gujarat, quest’ultimo è noto, oltre che per una spiccata predisposizione verso politiche “business-friendly”, per la sua retorica incendiaria e le posizioni estreme riguardo la supremazia induista. La candidatura di Modi alla guida del suo partito, inoltre, era apparsa a molti improbabile alla vigilia della nomina ufficiale, visto il suo coinvolgimento nella sanguinosa persecuzione di indiani musulmani nel 2002 che nello stato di Gujarat fece più di mille morti.

Nonostante siano in molti ad avere visto le elezioni di domenica come un antipasto di quello che accadrà nel maggio prossimo, alcuni commentatori hanno messo in guardia dal trarre conclusioni affrettate, ricordando come il BJP anche nel 2003 fece segnare risultati eccellenti a livello locale per poi perdere la sfida nazionale l’anno successivo.

Le prospettive del Partito del Congresso, in ogni caso, appaiono ben poco rosee per l’immediato futuro. Il tentativo stesso di accelerare la candidatura del 43enne Rahul Gandhi per la guida del prossimo governo difficilmente riuscirà ad invertire la tendenza, soprattutto perché il figlio di Sonia e dell’ex premier assassinato Rajiv Gandhi ha condotto in prima persona la campagna elettorale del suo partito che è appunto culminata con la pesante sconfitta del fine settimana.

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