di Michele Paris

A poche settimane dall’elezione alla presidenza dell’Egitto, l’ex generale Abdel Fattah al-Sisi ha annunciato un’iniziativa richiesta da tempo dagli ambienti finanziari internazionali e dal business indigeno. La graduale eliminazione dei sussidi statali per i prodotti energetici ha causato l’immediata impennata dei prezzi dei carburanti, colpendo duramente le fasce più povere della popolazione e provocando manifestazioni di protesta che potrebbero rapidamente allargarsi nel prossimo futuro.

Nonostante fosse nell’aria, la misura è scattata a sorpresa nella notte tra sabato e domenica e rientra nel piano del regime per ridurre il deficit pubblico di 48 miliardi di lire egiziane (4,94 miliardi di euro), in modo da portarlo al 10% del PIL. Il totale dei sussidi che saranno cancellati ammonta a 44 miliardi di lire egiziane, equivalenti a circa 4,5 miliardi di euro.

Da un giorno all’altro, così, gli egiziani hanno visto aumentare il prezzo della benzina per i mezzi di trasporto fino al 78% e il diesel del 64%. I più colpiti sono stati però i proprietari di auto con impianti a gas, poiché in questo caso gli aumenti sono stati addirittura del 175%. Tra i maggiori consumatori di gas per auto figurano i tassisti egiziani che, infatti, hanno dato vita nel fine settimana a proteste improvvisate, disperse con gas lacrimogeni dalla polizia, soprattutto al Cairo ma anche a Suez e Ismailia.

L’effetto dei sussidi va ad aggiungersi poi a un altro recentissimo decreto firmato da Sisi che aumenta le tasse su tabacco e alcolici, nonché più in generale a un’inflazione in costante aumento, soprattutto per i beni alimentari.

Per finanziare i sussidi nel settore energetico e per i beni alimentari, l’Egitto spende ogni anno circa un terzo del bilancio pubblico. Vista la loro entità, i sussidi sono tradizionalmente criticati dagli ambienti di potere nazionali ed esteri perché considerati uno spreco di denaro pubblico e una distorsione intollerabile del mercato.

I principali media, inoltre, continuano a sostenere che i prezzi artificialmente bassi di alcuni beni di prima necessità favoriscono in larga misura i cittadini più benestanti, i quali oltretutto non ne avrebbero nemmeno bisogno. I sussidi statali, in realtà, nonostante riguardino anche le aziende, consentono agli egiziani che appartengono alle classi più disagiate di sopravvivere a fronte di livelli drammatici di povertà e di disoccupazione.

Quella annunciata domenica è comunque solo la prima fase di un progetto che, nel caso dovesse andare in porto, prevede la rimozione di tutti i sussidi del settore energetico in un periodo dai tre ai cinque anni. Secondo quanto affermato in maniera improbabile dal primo ministro egiziano, Ibrahim Mehleb, le risorse così risparmiate consentiranno di liberare risorse che il governo potrebbe spendere nel settore sanitario e in quello dell’educazione.

Implementati per alleviare la povertà e contenere le tensioni sociali, i sussidi statali in Egitto non erano mai stati toccati nei tre decenni dell’era Mubarak, mentre della loro eliminazione si è iniziato a discutere dopo la rivoluzione del 2011.

Il presidente eletto tra le fila dei Fratelli Musulmani, Mohamed Mursi, aveva negoziato un prestito da 4,8 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), a patto che l’Egitto procedesse con un piano di austerity che comprendeva, appunto, la riduzione dei sussidi.

Con l’economia in caduta libera e il malumore crescente tra la popolazione, la questione del taglio dei sussidi non è stata però affrontata in maniera concreta e il prestito del FMI è rimasto congelato. La decisione presa settimana scorsa dal regime non è ufficialmente legata ai negoziati col Fondo, anche se il ministro delle Finanze, Hany Kadri, ha affermato che l’Egitto avrebbe ora diritto ad accedere al prestito perché sta adottando “riforme più dure” di quelle richieste dal FMI.

La decisione di Sisi ricorda invece quella presa nel gennaio 1977 dall’allora presidente egiziano Anwar al-Sadat. In quell’occasione, l’eliminazione dei sussidi per i beni alimentari di prima necessità - su richiesta del FMI e della Banca Mondiale - fece scoppiare la protesta di centinaia di migliaia di egiziani delle classi più povere, ai quali il regime rispose con l’intervento dell’esercito. Dopo giorni di scontri e un’ottantina di morti, fu solo il ripristino dei sussidi a riportare l’ordine nel paese nordafricano.

I timori per una nuova esplosione di rabbia tra la popolazione pervadono anche oggi la classe dirigente egiziana. La recente elezione a presidente con una percentuale schiacciante, nonostante l’astensionismo di massa, deve avere però convinto Sisi di essere sufficientemente forte da far digerire a decine di milioni di persone un drastico aumento del costo della vita.

Meno sicuri sono apparsi al contrario quasi tutti i partiti politici egiziani. Se quelli di ispirazione liberista hanno tiepidamente applaudito l’iniziativa, pur criticando le modalità con cui la soppressione di alcuni sussidi è stata frettolosamente implementata, altre formazioni di sinistra hanno bocciato la decisione del governo.

L’atteggiamento critico di questi ultimi partiti appare tuttavia poco più di una manovra politica, dal momento che essi avevano in gran parte appoggiato il colpo di stato militare guidato da Sisi nel luglio dello scorso anno, contribuendo a promuovere l’immagine “democratica” dell’ex generale nonostante fosse più che evidente la natura contro-rivoluzionaria del colpo di mano ai danni del presidente eletto Mursi.

L’offensiva del nuovo regime contro i lavoratori e i poveri egiziani, d’altra parte, conferma ancora una volta come il golpe portato a termine poco più di un anno fa non abbia rappresentato in nessun modo un’azione volta a difendere le conquiste rivoluzionarie del 2011.

Al contrario, la manovra dei militari - appoggiata dagli Stati Uniti e dai loro alleati in Occidente - si era resa necessaria per bloccare sul nascere una nuova mobilitazione popolare e riportare una qualche stabilità nel paese, così da procedere con le richieste del capitalismo domestico e internazionale. In questa prospettiva, la soppressione dei sussidi statali è solo la prima delle “riforme” che il nuovo governo ha in serbo per la popolazione egiziana.

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