di Michele Paris

Il precipitare della situazione in Ucraina sta portando alla luce tutte le divisioni e le contraddizioni che attraversano i governi occidentali, costretti a fare i conti con una crisi che essi stessi hanno creato e che si sta rapidamente ritorcendo contro i loro interessi. La distanza che separa la Germania e gli Stati Uniti è apparsa evidente nel fine settimana, quando, di ritorno da Mosca, dove ha incontrato Putin assieme al presidente francese Hollande, Angela Merkel è stata protagonista a Monaco di Baviera di uno scontro verbale a distanza con alcuni senatori americani.

La cancelliera tedesca ha messo in guardia dall’eventuale fornitura di armi, sia pure ufficialmente “difensive”, al regime di Kiev per reprimere la rivolta nelle province sud-orientali, dopo che nei giorni scorsi alcuni giornali americani avevano parlato di un’amministrazione Obama pronta a valutare questa opzione.

La Merkel ha affermato di non volere “immaginare una situazione nella quale l’invio di armi all’esercito ucraino spinge il presidente Putin a credere in una sconfitta militare”. Chiaramente, il capo del governo di Berlino comprende come uno scenario del genere non possa che trascinare la Russia in un intervento diretto nel conflitto in Ucraina, scatenando una guerra che i primi a non volere sono proprio i governi europei.

La soluzione non può essere militare, ha aggiunto perciò la Merkel, così che “la comunità internazionale deve pensare a una soluzione diversa”. Questi timori e la necessità di stabilizzare la situazione disperata in cui si trova il governo di Kiev, sia economicamente che militarmente, sono stati la ragione principale della missione - conclusasi senza risultati di rilievo - della stessa Cancelliera e di Hollande al Cremlino venerdì scorso.

Se alcuni giornali hanno parlato di un’iniziativa che non è stata coordinata con Washington, è probabile invece che la trasferta moscovita dei due leader europei abbia avuto quanto meno il tacito assenso della Casa Bianca.

Negli Stati Uniti sembrano esserci infatti ulteriori divisioni interne tra i “falchi”, principalmente al Congresso e in misura minore al Pentagono, e una fazione più moderata, verosimilmente alla Casa Bianca. Se così fosse, la notizia apparsa sul New York Times la scorsa settimana sulla disponibilità di Obama a valutare la fornitura di armi a Kiev, potrebbe essere per lo più un tentativo di fare pressioni su Putin per accettare una soluzione diplomatica favorevole all’Occidente.

La questione degli aiuti militari all’Ucraina ha tuttavia galvanizzato i fautori di un intervento più deciso in questo paese, come è apparso chiaro dalle parole del senatore repubblicano Lindsey Graham all’annuale conferenza sulla sicurezza di Monaco. Quest’ultimo ha avuto parole molto dure per Angela Merkel, affermando che il governo tedesco “sta voltando le spalle a una democrazia in difficoltà”.

La posizione della Casa Bianca non è dunque del tutto chiara sulla questione delle armi al regime golpista ucraino. Il vice-presidente, Joe Biden, a Monaco ha ad esempio toccato solo indirettamente l’argomento, ma qualche giorno fa il prossimo capo del Pentagono, Ashton Carter, nel corso di un’audizione al Senato si era detto “incline” a garantire forniture più massicce di armamenti al governo-fantoccio di Kiev.

In ogni caso, dopo che la Merkel e Hollande hanno lasciato Mosca, nella capitale russa sono rimasti i negoziatori di Germania e Francia per lavorare a un accordo che prenda le mosse da quello raggiunto a settembre a Minsk. Proprio nella capitale bielorussa si incontreranno mercoledì i leader di Russia, Ucraina, Germania e Francia, mentre oggi la Merkel avrà un faccia a faccia a Washington con il presidente americano Obama.

Il desiderio dei governi occidentali di trovare un via d’uscita pacifica alla crisi non comporta tuttavia che quest’ultima sia a portata di mano. L’ostacolo principale, oltre naturalmente ai diversi punti di vista di Washington da una parte e Berlino e Parigi dall’altra, è rappresentato dalla forma federale da dare all’Ucraina e le conquiste territoriali dei separatisti filo-russi.

I “ribelli” sono infatti avanzati sensibilmente negli ultimi mesi e sembrano ora ben decisi a respingere le richieste di Kiev e dell’Occidente di ritirarsi oltre la linea di demarcazione originariamente fissata a Minsk. Inoltre, se anche un qualche accordo dovesse essere raggiunto a breve, resta da vedere fino a che punto i governi occidentali riusciranno a fare pressioni sul regime ucraino per rispettarne i termini. Kiev, d’altra parte, ha finora utilizzato accordi e tregue varie per riorganizzare le proprie forze e lanciare nuove offensive contro i filo-russi.

Le dissennate decisioni prese da Washington e Berlino nell’ultimo anno hanno comunque complicato enormemente la situazione in Ucraina, portando l’Europa sull’orlo di una guerra tra potenze nucleari. Ciò è riconosciuto anche dagli stessi membri dei governi occidentali, anche se la responsabilità della crisi continua a essere assegnata invariabilmente alla Russia.

Anche coloro, come la stessa Merkel, che mettono in guardia da possibili pericolose escalation militari sono nondimeno protagonisti nell’esercitare pressioni sul Cremlino, come appare evidente dalle nuove e continue sanzioni economiche decise per penalizzare la Russia e dalle manovre della NATO per stanziare un numero sempre maggiore di truppe nei paesi dell’Europa orientale.

L’offensiva contro Mosca per portare l’Ucraina sotto l’influenza occidentale, così, non solo ha prodotto un regime poggiato su forze apertamente neo-naziste, come quello al potere a Kiev, ma ha anche contribuito a scatenare un conflitto inevitabile nelle regioni filo-russe, la cui soluzione appare oggi lontanissima e, anzi, rischia di infiammare l’intero continente con conseguenze difficili da calcolare.

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