di Camilla Modica

Durante la sua campagna elettorale per il rinnovo della Knesset, Avigdor Lieberman aveva puntato su una proposta a dir poco singolare: privare della cittadinanza israeliana gli arabi di origine palestinese residenti in Israele, trasferendoli forzatamente sotto la sovranità dell’Autorità palestinese (Ap). Poi, con questa particolare “merce” sul tavolo, il governo avrebbe trattato con l’Ap il passaggio di alcuni territori. L’idea, sbandierata dal leader dell’Israel Beitenu (la Nostra Casa è Israele), ha fruttato alle elezioni dello scorso marzo un inatteso successo: 11 seggi sui 120 totali del Parlamento. Oggi, con una leadership israeliana in piena crisi, il primo ministro Ehud Olmert vede questi undici seggi come una boccata d’aria fresca, perfetti per rafforzare una maggioranza che, altrimenti, ne conterebbe in totale 67, con un vantaggio di soli sette seggi sull’opposizione, guidata dal Likud di Netanyahu. Da qui la decisione di avviare un rimpasto di governo, offrendo all’Israel Beitenu un posto all’interno della maggioranza, accanto a Kadima e al partito laburista. Lieberman dovrebbe diventare vice premier e ministro di un nuovo dicastero - quello per gli Affari strategici - creato su misura per lui (precedentemente queste competenze riguardavano il ministro della Difesa e il premier). L’alleanza con un partito nazionalista e di estrema destra come l’Israel Beitenu, ha subito scatenato il dissenso del laburista Amir Peretz. Già prima delle scorse elezioni, di fronte alla possibilità che l’Israel Beitenu entrasse a far parte del nuovo governo, aveva dichiarato: “Non c’è alcuna possibilità che possa esserci una coalizione tra me e Lieberman”. A rincarare adesso la dose è il ministro della Cultura, Ofir Pines-Paz: “Lo stesso Lieberman rappresenta la maggiore minaccia strategica per Israele”, ha dichiarato durante la sua visita in Cina. Il riferimento è a un’altra delle “fantasiose” proposte del leader nazionalista, fatta qualche anno fa: il bombardamento della diga di Assuan, in Egitto.
Ma, in questo momento, Olmert ha ben altri problemi, e può permettersi di non considerare il parere del secondo partito di coalizione e del suo leader che, da ministro della Difesa, è uscito molto indebolito dalla disastrosa lotta con gli Hezbollah. Il primo ministro vuole mettersi al sicuro da una possibile crisi di governo che potrebbe arrivare durante l’imminente e delicata discussione alla Knesset del bilancio. Senza dimenticare il rischio che venga chiesta una commissione di Stato per indagare le responsabilità del fallimento della guerra in Libano.

L’Israel Beitenu, come è evidente dal nome stesso del partito - Israele è Casa Nostra - è nazionalista e di estrema destra. “Yisrael Beytenu is the home for a secure and Jewish Israel” (“L’Israel Beitenu è la dimora per un Israele sicuro ed ebreo”), si legge sul suo sito ufficiale (www.yisraelbeytenu.com). In testa all’elenco programmatico che compare in home page c’è una voce abbastanza esplicita: “Far rivivere il sogno del Sionismo”. Non mancano, ovviamente, i riferimenti alla “difesa della nostra patria” e alla “bandiera dell’identità ebrea”. I suoi consensi, il partito di Avigdor Lieberman, li ha raccolti soprattutto tra i nuovi immigrati provenienti dall’ex Unione Sovietica.

Difficile credere che, con in tasca la seconda poltrona del governo e una ministeriale, le idee nazionaliste e antiarabe di Lieberman non arrivino ad accentuare ulteriormente questi elementi, già fortemente presenti nel governo uscito fuori a marzo. Olmert, dal canto suo, assicura però che “le linee guida della maggioranza resteranno immutate” e precisa che i compiti della new entry si limiteranno alla questione dell’Iran, mentre come vice primo ministro verranno evitate sovrapposizioni con altri dicasteri.
Una volta ratificata la nuova alleanza, però, non sarà facile relegare in un angolo questo partito. L’Israel Beitenu vorrà infatti incassare quello che, potenzialmente, avrebbe potuto ottenere rimanendo nella coalizione del Likud. Come riferisce l’Economist, infatti, un sondaggio recentemente pubblicato da un quotidiano israeliano (l’Yediot Achronot) dà le forze di destra in forte ascesa. Secondo il sondaggio, se si votasse adesso, il Likud otterrebbe 22 seggi, l’Israel Beitenu arriverebbe a quota 20, mentre Kadima e partito laburista crollerebbero a 15 seggi ciascuno (contro i 29 e i 19 ottenuti, rispettivamente, nelle elezioni di marzo).

I perché di questo crollo di consensi della guida di Olmert non sono pochi. C’è di certo una guerra in Libano che tutto ha fatto tranne che rendere più sicuri gli israeliani. C’è la recente ammissione (da parte dello stesso governo) di aver usato, in quella stessa guerra, le terribili armi al fosforo bianco contro la popolazione. Ci sono poi gli scandali che hanno minato la credibilità di due ministri: uno per molestie sessuali, l’altro per corruzione. Continuano, inoltre, le indagini sul presidente israeliano Moshe Katsav, accusato di aver abusato di alcune donne del suo staff.
Ma, probabilmente, a pesare ancora di più, c’è la sensazione di una debolezza strutturale del partito guida del Paese. Kadima era stato voluto da Ariel Sharon come partito che raccogliesse sotto di sé figure diverse, di destra come di sinistra. Ma adesso, divenuto orfano del suo vero elemento unificante - rappresentato dallo stesso Sharon - e in mano a Ehud Olmert, Kadima sembra avviarsi verso il crepuscolo politico.

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