di Fabrizio Casari

“Vogliamo che il Brasile diventi più giusto e dichiariamo che i poveri saranno la priorità del nostro governo”. Sono state le prime parole a caldo di Ignacio Lula da Silva, detto Lula, a pochi minuti dalla proclamazione della vittoria, pronunciate con addosso una maglietta che recitava la scritta: “La vittoria è del Brasile”. L’Avenida paulista, immediatamente riempitasi di militanti e simpatizzanti dell’ex operaio siderurgico, è stata così, per la seconda volta dal 2002, il teatro del trionfo del fondatore del Pt. Cinquantotto milioni di voti, dodici in più rispetto al primo turno, hanno assegnato al Presidente brasiliano una vittoria schiacciante, in barba alle previsioni che ritenevano ancora incerto il risultato finale. Incertezze che, tuttavia, erano solo patrimonio esclusivo di commentatori e politologi. Nella realtà, il 61 per cento del popolo brasiliano ha scelto di scommettere ancora su Lula, eletto ancora Presidente del Brasile con il 20 per cento di scarto sul suo avversari e in ascesa in tutti gli Stati del Paese rispetto al primo turno. Lula governerà quindi il gigante carioca fino al 31 dicembre del 2010. Il Brasile conferma la sua voglia di voltare pagina e sceglie di consolidare ulteriormente la sua democrazia. E non solo. In un paese sterminato, dopo solo un’ora dalla chiusura dei seggi, i risultati erano pressoché definitivi; una lezione di tecnologia impartita al mondo intero. Dopo che al primo turno i consensi si erano rivelati inferiori alle attese, Lula aveva deciso di giocare in proprio la partita decisiva. Diversamente da quanto visto nella prima parte della campagna elettorale, il sessantunenne presidente si è presentato in tutti i dibattiti televisivi, dove ha letteralmente detronizzato il suo rivale socialdemocratico, Alckmin, incartatosi nella polemica sugli scandali che hanno attraversato il Pt nei due anni passati.

Lula ha brillantemente superato le difficoltà causate dagli scandali che hanno travolto alcuni dei massimi dirigenti del suo partito, anch’esso troppo frettolosamente quanto strumentalmente messo sulla graticola mediatica da una stampa dichiaratamente avversa. Anche per sottolineare questo elemento, ieri sera nell’Avenida paulista veleggiava uno striscione con su scritto: “Il popolo ha battuto i mass media”. Ed è vero, perché non c’era Tg o rivista, quotidiano o radio, sito internet o agenzia di stampa che non attaccasse violentemente il Presidente con uno stillicidio quotidiano che durava ormai da due anni. “Sono pronti a saltarci addosso con accuse vere e false, ma mai che dicano i risultati che otteniamo”, si era lamentato Lula nei mesi scorsi.

Il momento più difficile si è avuto alla fine del 2005, quando nei sondaggi l’operato del presidente operaio era stato valutato “pessimo” dal 29 per cento degli intervistati contro il 28 che lo reputavano “ottimo”. Una spaccatura verticale che sembrava porre le basi della fine del feeling tra Lula e gli elettori, la fine del “sogno che sconfigge la paura”, parola d’ordine vittoriosa nelle precedenti elezioni. E hai voglia per l’opposizione a puntare il dito sugli scandali, denunciati poi da chi, con altrettanti scandali e repressione, ha divorato il Brasile per decenni. I risultati della politica economica, ossia l'aver messo le classi più deboli al centro dell’agenda politica, ha significato aver misurato sulla tavola e nelle tasche dei brasiliani che le cose stanno andando meglio, molto meglio rispetto a quattro anni prima. E forse anche il “lulismo”, quel movimento d’opinione che tende a separare Lula dal Pt, non assegnando al presidente responsabilità dirette negli scandali che hanno coinvolto il partito, è servito a mantenere una base di consenso anche nella classe media. Ma chi ha davvero contato in quest'ultima tornata elettorale sono state le fasce più deboli, quelle che hanno investito maggiormente sulla rielezione del “presidente-operaio”. Le fasce che hanno ottenuto i maggiori benefici dai primi quattro anni di questo governo democratico che è riuscito ad aumentare la spesa sociale senza aumentare le imposte; che ha ridotto la disoccupazione e stabilizzato una crescita economica a livelli record, pur mantenendo tutti gli impegni finanziari con gli organismi internazionali creditori, garantendo così la stabilità monetaria necessaria per agire concretamente nell’ampliamento del welfare. Istruzione, alimentazione e lavoro sono entrate nelle urne molto più di quanto la destra auspicava.

La vittoria di Lula sembra confermare il trend progressista latinoamericano che, negli ultimi anni, ha imposto una nuova agenda politica al continente, disegnando un rinascimento del centro-sud America che agita non poco la Casa Bianca. Le politiche interne e quelle regionali, improntate sulla scommessa dell’integrazione continentale, vengono perseguite con decisione dai governi progressisti del subcontinente e, a tutt’oggi, riscuotono un consenso elettorale di proporzioni straordinarie.

Questo è quanto accaduto in Brasile. I poveri dell' immenso paese di Lula gli hanno consegnato i file con le loro speranze; lui ha garantito che quei file saranno ancora la parte principale del programma. L’ex operaio, il figlio di raccoglitori di canna da zucchero, il sindacalista, è Presidente per la seconda volta, come volevano i brasiliani.
Il sogno americano stasera parla portoghese e si muove al ritmo di una seducente bossanova.

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