di Mario Lombardo

L’arresto nella giornata di sabato a Berlino del giornalista di Al Jazeera, Ahmed Mansour, ha segnato la prima risposta positiva da parte di un governo occidentale a uno dei numerosi mandati di cattura internazionali emessi dal sanguinario regime militare egiziano a partire dalla rimozione del presidente Mohamed Mursi nell’estate del 2013. La vicenda aveva subito scatenato una valanga di critiche sul governo tedesco, il quale ha solo parzialmente rimediato due giorni più tardi, disponendone il rilascio.

Il 52enne giornalista con doppia cittadinanza britannica ed egiziana era stato fermato dalle autorità tedesche all’aeroporto Tegel mentre stava per imbarcarsi su un volo diretto a Doha, nel Qatar, dove ha sede il network panarabo per cui lavora. Mansour era arrivato in Germania cinque giorni prima per motivi di lavoro, atterrando all’aeroporto di Monaco di Baviera, e non è chiara la ragione per cui non era stato arrestato in quell’occasione.

Domenica, un giudice nella capitale tedesca aveva convalidato l’arresto, in attesa di un’udienza per valutare la possibile estradizione verso l’Egitto. La polizia tedesca non aveva nemmeno comunicato quali erano le accuse nei confronti di Mansour, mentre i suoi legali hanno fatto sapere che esse consistono nell’avere danneggiato l’immagine del governo egiziano e torturato un avvocato nel 2011 durante le manifestazioni di piazza Tahrir che portarono al rovesciamento del regime di Hosni Mubarak. Nel paese nord-africano, lo scorso anno il giornalista era stato condannao a 15 anni di carcere in absentia proprio per avere commesso quest’ultimo presunto crimine.

Il procedimento in Germania sembra essere stato accelerato in maniera improvvisa e nel primo pomeriggio di lunedì Mansour ha potuto lasciare il carcere di Moabit per fare ritorno in Qatar. Tuttavia, il fatto che Berlino abbia anche solo dato seguito alla richiesta di arresto proveniente dal Cairo rappresenta un evento di estrema gravità.

Il governo Merkel, attraverso la polizia e il sistema giudiziario tedesco, ha infatti in qualche modo avallato la campagna repressiva volta a soffocare qualsiasi voce dissenziente messa in atto dalla giunta militare egiziana guidata dal generale Abdel Fattah al-Sisi.

Allo stesso tempo, l’arresto non può che essere interpretato come un messaggio inquietante per gli stessi giornalisti tedeschi ed europei in un clima di crescente ostilità nei confronti delle distruttive politiche economiche imposte da Berlino.

Visti i precedenti del regime egiziano circa il trattamento riservato ai giornalisti non disposti a sposare la linea ufficiale, il fermo di Mansour assesta anche un colpo pesantissimo alla credibilità del governo di Berlino, il cui capo, la cancelliera Angela Merkel, meno di sei mesi fa aveva marciato a Parigi per la libertà di stampa subito dopo la strage nella redazione del magazine “satirico” francese, Charlie Hebdo.

L’Egitto di Sisi ha preso di mira, tra gli altri, proprio Al Jazeera, particolarmente critica del regime salito al potere in maniera violenta dopo la deposizione del governo dei Fratelli Musulmani, a sua volta appoggiato dalla famiglia regnante del Qatar, proprietaria del network. Nel dicembre del 2013, ad esempio, tre giornalisti di Al Jazeera erano stati arrestati con l’accusa di avere diffuso notizie false e di avere “danneggiato la sicurezza nazionale” egiziana.

Qualche mese più tardi, pur senza prove significative a loro carico e al termine dell’ennesimo processo-farsa celebrato in Egitto, l’australiano Peter Greste e gli egiziani Mohamed Fahmy e Baher Mohamed sarebbero stati condannati a sette anni di carcere. Dietro le pressioni internazionali, recentemente Greste è stato deportato in Australia, mentre gli altri due giornalisti sono stati liberati su cauzione, ma dovranno sostenere un nuovo processo.

L’arresto di Mansour era stato accolto dalle proteste di numerosi manifestanti a Berlino, mentre giornalisti e personalità della cultura avevano condannato il governo tedesco per la decisione di assecondare la campagna di persecuzioni della dittatura egiziana.

Un portavoce del ministero degli Esteri tedesco aveva cercato di gettare acqua sul fuoco nella giornata di lunedì, assicurando che la Germania non intende estradare nessuno verso un paese nel quale rischierebbe la pena di morte. Il governo dispone infatti del potere di bloccare un eventuale verdetto di estradizione disposto da un giudice.

L’imbarazzo per il governo di Berlino era stato però amplificato dalla conferma che anche l’Interpol aveva respinto una richiesta di arresto a carico di Mansour, con ogni probabilità a causa delle accuse interamente fabbricate e del livello di criminalità che caratterizza il richiedente, cioè il regime di Sisi.

L’arresto di Ahmed Mansour avvenuto sabato a Berlino stride infine con l’arrivo indisturbato in terra di Germania ai primi di giugno dello stesso presidente egiziano Sisi, accolto quasi trionfalmente da buona parte della classe politica tedesca nonostante i crimini commessi dal suo regime negli ultimi due anni siano infinitamente più gravi di quelli attribuiti al giornalista di Al Jazeera.

Sisi, dopo essere stato ricevuto altrettanto calorosamente a Roma e a Parigi nei mesi precedenti, aveva incontrato la cancelliera Merkel e il presidente tedesco, Joachim Gauck, anche se la sua presenza in Germania era risultata talmente tossica che alcune importanti personalità politiche si erano rifiutate di incontrarlo, come il presidente del “Bundestag”, Norbert Lammert.

Gesti come l’accoglienza di Sisi e l’arresto di un giornalista su ordine di quest’ultimo in base ad accuse fabbricate confermano dunque come la Germania e i governi occidentali in genere siano totalmente disponibili a sdoganare e collaborare - sia economicamente sia militarmente - con un regime golpista fondato sulla violenza e la repressione del dissenso.

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