di Michele Paris

Con il calare del sole nella serata di lunedì, l’ultimo accordo per il cessate il fuoco in Siria, negoziato tra Russia e Stati Uniti, è entrato in vigore in un paese che nel fine settimana aveva registrato una nuova impennata nei combattimenti tra forze regolari e formazioni “ribelli”. L’intesa è il frutto di lunghi negoziati tra il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov e il segretario di Stato americano, John Kerry.

Ma nonostante il relativo entusiasmo che ha accompagnato l’annuncio, anche la nuova tregua sembra poter fare poco per conciliare gli obiettivi divergenti delle due potenze con i maggiori interessi in un conflitto che dura ormai da più di cinque anni.

Subito dopo la notizia dell’accordo, quest’ultimo è stato messo in dubbio da svariati gruppi armati che si battono contro le forze di Assad. Quanto meno ambigua è stata ad esempio la risposta del cosiddetto Libero Esercito della Siria (FSA). Il portavoce di una fazione di quest’ultimo ha detto alla CNN di avere indirizzato un messaggio all’amministrazione Obama per manifestare i propri dubbi sulla tregua, visto che essa non include la formazione jihadista Jabhat Fateh al-Sham, già nota come Fronte al-Nusra e legata ad al-Qaeda, la quale gioca un ruolo di spicco nella guerra al regime.

Mentre la posizione ufficiale dell’FSA dovrebbe comunque prevedere l’appoggio alla tregua, a condizione che Mosca e Damasco ne rispettino i termini, altri rappresentanti dell’opposizione armata si sono lamentati della necessità che i gruppi “moderati” si separino da quelli fondamentalisti, come Jabhat Fateh al-Sham, visto che le formazioni di entrambe le tendenze collaborano regolarmente sul campo.

Il cessate il fuoco è stato respinto poi da Ahrar al-Sham, un altro gruppo fondamentalista attivo in Siria, appoggiato dall’Arabia Saudita e molto vicino all’ex Fronte al-Nusra. La Russia, considera terroristica questa formazione ma Washington ha finora declinato gli inviti a definirla ufficialmente come tale, sia per non fare un torto a Riyadh sia per non mettere ulteriormente in crisi l’opposizione anti-Assad che conta in larga misura proprio su gruppi integralisti come questo.

Simili disaccordi confermano ancora una volta come, a differenza di quanto sostenuto in Occidente, nella galassia dell’opposizione armata siriana sia molto difficile individuare i “ribelli” buoni e quelli cattivi, o i moderati e i fondamentalisti. La questione della separazione dei gruppi che si battono contro Assad è perciò uno scoglio probabilmente insormontabile nell’implementazione della tregua appena sottoscritta da Russia e Stati Uniti.

Tutti questi gruppi, nonostante le rivalità interne, fanno parte dello stesso progetto dei governi occidentali e dei loro alleati in Medio Oriente per rovesciare il regime di Damasco e le distinzioni proposte dai loro sostenitori e dalla stampa internazionale sono ingannevoli. Proprio sull’impossibilità di separare i ribelli accettabili da quelli impresentabili si sono spesso arenati gli sforzi diplomatici nel recente passato, come nel caso della precedente tregua negoziata tra Mosca e Washington a inizio anno, naufragata in breve tempo. La separazione non è infatti mai avvenuta ed è lecito dubitare che ciò possa avvenire in questa occasione.

Lo stop alle ostilità dovrebbe in ogni caso durare per almeno sette giorni, in seguito ai quali, se dovessero esserci segnali positivi, Russia e Stati Uniti inizieranno una fase di collaborazione per colpire congiuntamente lo Stato Islamico (ISIS/Daesh) e altri gruppi estremisti. Se ciò dovesse accadere, le aree in cui opererebbero gli aerei da guerra russi e americani diventeranno off-limits per i velivoli del regime, accelerando di fatto la creazione di una no-fly zone che dovrebbe in qualche modo essere fatta rispettare, con il rischio di scontri diretti tra l’aviazione siriana e le forze americane.

La tregua non influirà inoltre nemmeno sulle operazioni militari che la Turchia sta conducendo nel nord della Siria, ufficialmente dirette contro l’ISIS/Daesh e, soprattutto, le forze curde. Anzi, lo stesso presidente Erdogan ha avvertito nei giorni scorsi che l’intervento oltre il confine meridionale dovrà essere allargato, visto il “dovere” del suo paese di sconfiggere l’ISIS/Daesh.

Se i contorni dell’invasione della Turchia sono ancora oggetto di discussione e l’operazione potrebbe essere stata concordata o, più probabilmente, tollerata da Mosca e Damasco, la mossa di Erdogan può potenzialmente facilitare anche un’intensificazione degli sforzi per rimuovere Assad, saldandosi alle manovre degli Stati Uniti e dei loro alleati tramite l’entrata in vigore del cessate il fuoco.

Ciò è del tutto possibile se si considerano il senso della tregua stessa e le reali intenzioni di coloro che l’hanno negoziata, soprattutto a Washington. Visto l’impegno e gli investimenti degli Stati Uniti in oltre cinque anni per forzare il cambio di regime a Damasco, è impensabile che l’obiettivo americano sia esclusivamente quello di riportare la pace in Siria, tanto più attraverso un’intesa con un governo - quello russo - che, sostenendo militarmente Assad, rappresenta il principale ostacolo alla realizzazione dei piani USA per il futuro di questo paese.

Molto più verosimile è piuttosto l’ipotesi che l’amministrazione Obama intenda prendere tempo e far respirare le forze “ribelli” fiaccate dalla controffensiva del regime con l’aiuto di Russia, Iran e Hezbollah. Ad Aleppo, in particolare, l’opposizione armata è sull’orlo di una sconfitta catastrofica che rischia di compromettere l’intero progetto per abbattere il regime alauita.

Considerando anche che la strategia siriana dell’amministrazione Obama sembra essere in pieno caos, sono in molti a credere che l’impegno del segretario Kerry rifletta il tentativo di rallentare il tracollo dei “ribelli” tramite un cessate il fuoco, in modo da consentire a questi ultimi di riorganizzarsi. In questo modo, gli Stati Uniti potrebbero temporeggiare fino all’installazione di un nuovo presidente alla Casa Bianca, il quale sarebbe chiamato a delineare i piani futuri per la Siria.

Soprattutto in caso di successo di Hillary Clinton, l’intervento per rimuovere Assad verrebbe rinvigorito, visto che l’ex first lady ha più volte fatto capire di essere disposta a valutare azioni più incisive che Obama è stato invece finora molto cauto nel prendere in considerazione.

La tregua, infine, nella migliore delle ipotesi dovrebbe facilitare la ripresa del processo diplomatico per una soluzione pacifica del conflitto. Anche in questo caso è tutt’altro che chiaro come potranno essere superati gli ostacoli che erano apparsi insormontabili nei precedenti round di negoziati tra i rappresentanti del governo di Damasco, dell’opposizione armata e delle potenze coinvolte nel conflitto.

Gli Stati Uniti e i loro alleati continuano a parlare di una transizione politica in Siria nella quale il presidente Assad dovrà necessariamente farsi da parte. La stessa posizione continua a essere sostenuta anche dall’opposizione. Il cosiddetto Alto Comitato per i Negoziati, un organo composto da leader “ribelli” e promosso dall’Arabia Saudita, ha recentemente presentato un proprio piano per il futuro della Siria, incentrato nuovamente sulla rinuncia di Assad al potere.

Alla luce degli sforzi nel sostenere il regime siriano, è molto improbabile che la Russia possa acconsentire a una transizione politica a Damasco in questi termini. Inoltre, la situazione sul campo e, a ben vedere, il fatto che l’attuale governo siriano sia molto più popolare dei “ribelli”, le persistenti richieste di dimissioni preventive di Assad appaiono inverosimili.

Ciò induce anche a interrogarsi sulle ragioni per cui Mosca abbia accettato di negoziare così a lungo e accettare un accordo con un paese, come gli Stati Uniti, che ha evidentemente altri obiettivi rispetto al ristabilimento della pace in Siria. La decisione presa da Putin va forse in parte collegata a un’attitudine al dialogo con l’Occidente che non è mai venuta meno, nonostante le tensioni di questi ultimi anni, per cercare un qualche accomodamento nel perseguimento dei rispettivi interessi sul piano internazionale.

Alcuni osservatori ritengono invece, come ha spiegato un commento apparso questa settimana sul sito web della testata Sputnik News, finanziata dal governo di Mosca, che anche Siria e Russia possano avere fatto i loro calcoli e la tregua sia utile per rilanciare un’offensiva contro i “ribelli” in maniera ancora più decisa.

Oppure, visto che il Cremlino deve ben conoscere l’inclinazione all’inganno di Washington, pur sapendo che la più recente iniziativa è destinata a fallire, si è vista nella tregua un’occasione per promuovere l’immagine di una Russia che si adopera per la pace. Così facendo, l’eventuale naufragio del cessate il fuoco potrebbe mostrare la falsità delle intenzioni americane, con la probabile mancata separazione delle diverse fazioni “ribelli”.

Quali che siano le intenzioni di Mosca e Washington, malgrado l’accordo appena raggiunto dai due governi, le probabilità di un nuovo aggravamento della guerra in Siria continuano ad apparire maggiori rispetto a quelle di una soluzione pacifica o anche solo di un attenuamento del sanguinoso conflitto in corso.

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