Con il crollo relativamente imprevisto dei negoziati per la formazione del nuovo governo tedesco, la cancelliera Angela Merkel si troverà a dover gestire una situazione politica estremamente delicata che potrebbe sfociare in nuove elezioni o in un governo di minoranza. Due scenari, cioè, particolarmente rari, se non del tutto inediti, per la Germania del dopoguerra.

 

 

La prima scadenza auto-imposta dai partiti che avevano accettato di aprire le discussioni per la formazione dell’esecutivo era già scaduta alla mezzanotte di giovedì scorso. La proroga e alcune dichiarazioni ottimistiche dei vari leader coinvolti sembravano presagire però il raggiungimento di una qualche intesa, nonostante una serie di divergenze prevalentemente di natura tattica.

 

Nella tarda serata di domenica, il numero uno dei liberali (FDP), Christian Lindner, ha alla fine abbandonato bruscamente le trattative, lamentando l’assenza di una “base di fiducia” tra i partecipanti che avrebbe messo in serio dubbio il raggiungimento di un compromesso. Vista la situazione, ha concluso Lindner, “è meglio non governare che governare male”.

 

I negoziati in corso da quattro settimane in Germania erano seguiti alle elezioni federali del 24 settembre, il cui esito aveva penalizzato il partito della Merkel (CDU) e quello gemello bavarese della CSU, pur confermandoli complessivamente come la prima forza politica nel paese. L’impossibilità di mettere assieme una maggioranza in maniera autonoma e l’indisponibilità dei socialdemocratici (SPD) a dar vita a una nuova “grande coalizione” avevano finito per coinvolgere nelle trattative sia i liberali dell’FDP che i Verdi. Il tentativo di formare un nuovo esecutivo in questo modo, già testato a livello locale ma mai a Berlino, è stato battezzato “coalizione Giamaica”, dal colore dei partiti/blocchi politici che corrispondono a quelli della bandiera del paese caraibico.

 

I punti più controversi nei colloqui, che avrebbero portato a divisioni insanabili, sembrano riguardare in primo luogo la questione dell’immigrazione, seguita dalle politiche ambientali e da quelle fiscali. Secondo la stampa tedesca, sarebbero stati in particolare i Verdi ad avanzare proposte relativamente più accomodanti su migranti e sulla riduzione dell’energia generata dal carbone, provocando uno scontro con gli altri partiti.

 

Nel fine settimana, l’accettazione da parte dei Verdi di un compromesso che prevedeva un tetto di 200 mila immigrati all’anno in cambio di norme più semplificate per i ricongiungimenti famigliari era apparso tuttavia poter spianare la strada a un accordo almeno in questo ambito. Proprio la questione dell’immigrazione ha pesato con ogni probabilità in modo particolare sul naufragio delle trattative per il nuovo governo tedesco. Se in realtà le differenze tra i partiti coinvolti apparivano tutt’altro che inconciliabili, visti anche i precedenti dei Verdi in alcuni stati (“Länder”) dove sono al governo, le spinte xenofobe e il generale spostamento a destra dell’asse politico in Germania hanno finito per creare tensioni insostenibili all’interno delle singole formazioni politiche, riflettendosi sui rapporti tra i potenziali partner di governo.

 

Il risultato nel voto di settembre del partito di estrema destra AfD (“Alternativa per la Germania”) è stato determinante in questo senso. I consensi ottenuti e il numero considerevole di deputati installati al “Bundestag” dai populisti di destra hanno messo cioè ulteriori pressioni sui partiti tradizionali, puniti in maniera quasi indistinta da un elettorato ampiamente frustrato con l’establishment politico tradizionale.

 

Come accaduto in altri paesi europei, ciò ha spinto i partiti tradizionali a rincorrere la destra estrema nell’illusione di arginarne la crescita, provocando nel contempo tensioni e profonde lacerazioni interne che, tra l’altro, hanno finito per riflettersi sulla formazione del nuovo gabinetto Merkel. Nella stessa CDU, infatti, anche la leadership della cancelliera era già apparsa meno solida dopo il voto e, ancora prima, in seguito alla gestione considerata troppo tenera della “crisi” dei migranti. Anche nella CSU, gravemente penalizzata nelle ultime elezioni, il conflitto interno ha fatto traballare la posizione del segretario, Horst Seehofer, sotto la spinta di uno scontro determinato dagli indirizzi da dare a un partito il cui elettorato rischia di essere risucchiato dall’estrema destra.

 

Il protrarsi della crisi politica in Germania si sovrappone comunque a un clima internazionale particolarmente complesso e rischia anche di mettere quanto meno in stallo importanti decisioni che attendono di essere prese a livello europeo e non solo. Le possibili vie d’uscita non appaiono infatti facilmente percorribili, da un nuovo voto che non vogliono soprattutto i partiti che stavano discutendo del nuovo governo, a un difficile rilancio della soluzione “giamaicana”, a un esecutivo di minoranza mai sperimentato a livello federale e senza la forza necessaria per rispondere alle richieste dei grandi interessi economici tedeschi.

 

Nella giornata di lunedì, la Merkel ha discusso della situazione con il presidente federale, il socialdemocratico Frank-Walter Steinmeier, costituzionalmente incaricato di sciogliere la crisi. Quest’ultimo non ha però preso nessun provvedimento, ma ha invitato i partiti ad adoperarsi per dare vita a un governo nel “prossimo futuro” e, a conferma della sua contrarietà al voto anticipato, ha affermato che essi “semplicemente non possono delegare le loro responsabilità agli elettori”.

 

In un’intervista alla ZDF dopo il colloquio con Steinmeier, la Merkel si è detta “molto scettica” riguardo l’eventualità di guidare un governo di minoranza, preferendo invece, se necessario, guidare il suo paese verso nuove elezioni.

 

L’insolita prospettiva di un voto anticipato a pochi mesi da quello dello scorso settembre è vista con timore dalla gran parte del panorama politico tradizionale, visto che l’attitudine anti-sistema degli elettori rischia di acuirsi dopo settimane di negoziati inconcludenti tra CDU/CSU, FDP e Verdi, con il risultato di premiare ancor più l’estrema destra populista.

 

I vertici della SPD, da parte loro, continuano per ora a dirsi contrari a una nuova “Grosse Koalition”, sia perché questa eventualità si tradurrebbe quasi certamente in un’altra batosta alle prossime elezioni sia per non concedere alla AfD il ruolo di principale forza di opposizione. Steinmeier, tuttavia, potrebbe convincere il suo partito a fare un passo indietro e, per la stabilità e il bene del paese, ovvero dei grandi interessi economici tedeschi, a entrare in un nuovo governo guidato dalla cancelliera. Questa ipotesi è stata scartata ufficialmente ancora lunedì dal leader socialdemocratico, Martin Schulz, il quale ha indicato come scelta preferita nuove elezioni.

 

Al di là delle apparenze, anche nella SPD potrebbe esserci scarso appetito per il voto e la posizione di Schulz un tentativo di prendere tempo, proiettando un’immagine di integrità di fronte agli elettori in attesa che le condizioni politiche cambino per aprire alla partecipazione del suo partito a un terzo governo di coalizione con la Merkel.

 

L’aspetto singolare della crisi politica tedesca e, assieme, la conferma della gravità delle scosse che stanno agitando il sistema “democratico” tradizionale è infine il sostanziale accordo sui temi principali tra i partiti che fino a poche ore fa stavano trattando per far nascere il nuovo governo federale. Che dal possibile nuovo gabinetto fosse uscita ad esempio una linea più dura sull’immigrazione era infatti scontato e in larga misura riconosciuto da tutti i partiti. Allo stesso modo, la presunta necessità di rafforzare l’apparato della sicurezza dello stato e la macchina militare tedesca trovava ampi consensi, così come ben pochi erano i dubbi sulla prosecuzione delle politiche di rigore in ambito economico e finanziario promosse dall’ex ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble.

 

Le divergenze sono state più che altro di natura tattica e, significativamente, al contrario di quanto appariva logico pensare viste le differenze ideologiche teoriche, spesso non hanno messo di fronte i partiti di (centro-)destra e i Verdi. Al contrario, questi ultimi sono stati quasi sempre disponibili ad adeguarsi alle posizioni dei potenziali partner di governo pur di garantire stabilità al sistema Germania. Dopo l’interruzione dei negoziati da parte dei rappresentati dell’FDP, alcuni leader dei Verdi hanno confermato questa realtà.

 

Il “co-leader” del partito, Cem Özdemir ha ad esempio tenuto ad assicurare che i Verdi hanno sempre mostrato la propria “disponibilità al compromesso sulle questioni chiave”, mentre il deputato Reinhard Bütikofer ha denunciato in un “tweet” proprio il numero uno dell’FDP per avere preferito “le frenesie populiste alla responsabilità politica”.

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