Alla vigilia del sesto round di colloqui, voluti dal presidente americano Trump, per la revisione del Trattato di Libero Scambio Nord Americano (NAFTA), il governo canadese ha inviato segnali piuttosto chiari sullo stato dei negoziati, lasciando intendere un sempre più probabile ritiro di Washington dall’accordo entrato in vigore oltre due decenni fa.

 

 

Un’esclusiva pubblicata questa settimana dalla Reuters ha citato fonti governative a Ottawa che assicurano come il gabinetto del primo ministro, Justin Trudeau, sia ormai convinto che l’amministrazione Trump annuncerà a breve il ritiro degli Stati Uniti dal NAFTA. In previsione di questi sviluppi, il governo canadese avrebbe già predisposto dei piani per affrontare la situazione che si verrà a creare in ambito commerciale.

 

Ufficialmente, la Casa Bianca ha fatto sapere che la posizione americana non è cambiata e che Washington si aspetta modifiche al trattato, ma qualsiasi decisione verrà presa solo al termine dei colloqui. Un’altra fonte anonima all’interno della Casa Bianca ha però assicurato sempre alla Reuters che Trump si sarebbe ormai convinto a uscire dal trattato, visti gli scarsi risultati delle trattative in corso con Canada e Messico.

 

Il sesto e penultimo atto delle discussioni per trovare un’intesa sulle modifiche al NAFTA proposte dal governo USA si terrà a Montréal tra il 23 e il 28 gennaio. Un ultimo appuntamento tra i rappresentanti dei tre governi è previsto alla fine di marzo.

 

Le notizie provenienti da Ottawa, anche se ben lontane dal presagire il tracollo del NAFTA, hanno moltiplicato i timori di quelle sezioni del business nordamericano che hanno beneficiato della creazione di una gigantesca area di libero scambio dal Canada al Messico. Le valute e le borse di questi due paesi hanno subito fatto segnare sensibili flessioni, anche se un eventuale annuncio di ritiro dal NAFTA da parte di Trump non comporterebbe un’uscita automatica degli Stati Uniti dall’accordo. La decisione farebbe scattare un periodo di sei mesi, durante il quale potrebbero avere luogo altri negoziati, mentre sono in molti a ipotizzare anche un possibile intervento del Congresso di Washington per neutralizzare l’iniziativa della Casa Bianca.

 

Se Trump dovesse muoversi in questo senso, la sorte del NAFTA sarebbe comunque in grave pericolo, soprattutto perché la decisione si sommerebbe alle altre misure già implementate negli ultimi mesi e che mostrano un’attitudine estremamente critica dell’amministrazione repubblicana nei confronti dei trattati di libero scambio. Inoltre, mentre il Canada ha garantito che rimarrà al tavolo delle trattative, il Messico ha minacciato di uscire dall’accordo se Trump dovesse fare l’annuncio ipotizzato da Ottawa.

 

Per qualcuno, l’atteggiamento americano potrebbe essere solo una tattica negoziale per mettere pressioni ai partner canadesi e messicani, visto lo stallo dei colloqui in corso. Il clima tra i paesi membri del trattato resta però molto teso, così come difficilmente colmabili sembrano essere le distanze sulle questioni messe sul tavolo da Washington.

 

La revisione del NAFTA promossa da Trump rientra in una strategia ultra-nazionalistica del governo americano che, in ambito commerciale, prevede il ritorno a pericolose pratiche protezionistiche, attraverso la cancellazione o la rinegoziazione di accordi collettivi di libero scambio a favore di altri bilaterali con condizioni particolarmente favorevoli agli Stati Uniti.

 

Che il NAFTA finisca o meno per sopravvivere, le scosse di questi mesi confermano come la crisi del capitalismo globale stia facendo riesplodere rivalità commerciali a livello internazionale che si traducono in misure e ritorsioni di stampo protezionista, con echi inquietanti del periodo precedente la Seconda Guerra Mondiale.

 

Le modifiche al NAFTA auspicate dalla Casa Bianca puntano a modellare il trattato in modo da risultare ancora più favorevole agli interessi americani. Ciò è confermato dalle principali proposte avanzate da Washington, come l’innalzamento della percentuale di parti costruite in America nelle automobili scambiate senza tariffe doganali.

 

Ancora, gli USA vorrebbero maggiore accesso per le proprie compagnie private agli appalti pubblici in Canada e in Messico, mentre intendono fissare una tacita scadenza quinquennale al NAFTA, annullabile solo tramite un nuovo impegno esplicito a prolungare l’intesa da parte dei tre paesi membri.

 

Il futuro del NAFTA resta comunque incerto. Negli ambienti del business americano ci sono infatti forti opposizioni alla linea dell’amministrazione Trump, soprattutto in quei settori che beneficiano del trattato, sia attraverso l’export sia grazie all’impiego di manodopera a bassissimo costo in Messico, dove vengono prodotti beni e manufatti inviati negli USA senza dazi doganali.

 

Le tensioni sul fronte commerciale tra Washington e Ottawa sono da tempo vicine al livello di guardia, malgrado la solidità della partnership strategica e militare tra i due paesi. Un certo imbarazzo era stato registrato lo scorso ottobre nel corso di una visita del premier canadese Trudeau negli USA, durante la quale Trump aveva minacciato il ritiro dal NAFTA.

 

In precedenza, il dipartimento del Commercio americano aveva applicato tariffe esorbitanti sulle importazioni dal Canada di un certo tipo di legname e sui jet commerciali della compagnia Bombardier. In risposta a quest’ultima misura, Trudeau aveva cancellato un contratto per l’acquisto di velivoli militari “Super Hornet” della Boeing, sostituendoli con FA-18 costruiti in Australia.

 

Lo scontro Washington-Ottawa ha raggiunto infine un nuovo livello proprio in questi giorni. Mercoledì è circolata cioè la notizia che il governo canadese alla fine di dicembre aveva presentato un ricorso contro gli Stati Uniti presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) per una serie di pratiche commerciali ritenute illegittime.

 

La portata della causa è tale da essere definita addirittura “senza precedenti” da un consulente per il commercio in Nord America citato dalla BBC. Ottawa mette tra l’altro in discussione i metodi utilizzati dagli USA nelle indagini anti-dumping e anti-sovvenzioni in merito a procedimenti che risalgono fino al 1996. In questo modo, sostiene il Canada, Washington ha calcolato in modo inappropriato dazi e tariffe doganali nell’ambito di numerosi reclami presentanti al WTO contro svariati paesi, giungendo anche a ostacolare questi ultimi nella presentazione di prove a propria difesa.

 

La pratica avviata dal Canada fa scattare un periodo di 60 giorni di “consultazioni”, seguito, in assenza di esito positivo, da un arbitrato del WTO. All’iniziativa canadese l’amministrazione Trump ha risposto seccamente. Il responsabile del Commercio USA, Robert Lighthizer, ha definito le accuse “infondate” e condannato l’attacco “irresponsabile” che “riduce la fiducia americana nel Canada come partner impegnato nella costruzione di relazioni commerciali reciprocamente vantaggiose”.

 

Anche in questo caso, la strategia canadese potrebbe essere quella di fare pressioni su Washington per giungere a più miti consigli relativamente alle trattative sul NAFTA e ai recenti dazi imposti sui beni importati dal vicino settentrionale. Tanto più che il ricorso al WTO prende di mira pratiche anti-dumping a cui ha già fatto ricorso in molti casi proprio l’amministrazione Trump.

 

Il calcolo di Ottawa potrebbe però risultare più azzardato del previsto, alla luce delle crescenti rivalità commerciali, e rendere il clima internazionale ancora più tossico di quello attuale.

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