Gli equilibri all’interno del Partito Laburista britannico si sono spostati sensibilmente a sinistra nei mesi seguiti alle elezioni generali del giugno 2017. Mentre i vertici del partito e la grande maggioranza dei suoi parlamentari avevano fino ad allora condotto una feroce battaglia contro il segretario, Jerermy Corbyn, quest’ultimo si trova oggi in una posizione decisamente più solida, come ha confermato il recente voto per eleggere tre nuovi delegati che siederanno nel direttivo del “Labour”.

 

 

I candidati per le posizioni aperte nel cosiddetto Comitato Esecutivo Nazionale (NEC) laburista sono stati scelti da una consultazione tra tutti gli iscritti, cresciuti di quasi tre volte, fino a sfiorare quota 600 mila, nel periodo seguito all’elezione di Corbyn alla guida del partito.

 

La popolarità dell’agenda progressista di quest’ultimo è indiscutibile all’interno dell’elettorato laburista e ciò è apparso chiaro dalla distanza in termini di voti tra i tre delegati eletti e il quarto classificato, riconducibile alla destra “blairita” del partito.

 

Gli alleati di Corbyn che andranno a occupare le nuove posizioni nel NEC, Jon Lansman, Yasmine Dar e Rachel Garnham, hanno ottenuto complessivamente quasi 200 mila voti. La candidata che tra i tre ha ricevuto meno voti ha staccato di quasi 24 mila preferenze il primo oppositore di Corbyn, l’attore Eddie Izzard.

 

L’elezione di Lansman è particolarmente significativa, poiché conferma il ruolo decisivo dell’organizzazione “Momentum”, di cui Lansman è appunto il fondatore, nel sostegno alla leadership di Corbyn.

 

Proprio Lansman ha indicato alcune delle ragioni del suo successo e del rafforzamento del controllo di Corbyn sul partito. Per il neo-eletto al NEC laburista, l’esito del recente voto dimostra “il desiderio, diffuso tra i suoi membri, di un nuovo partito come movimento sociale in grado di trasformare la Gran Bretagna”.

 

I cambiamenti avvenuti in questi mesi all’interno del “Labour” sono cioè la diretta conseguenza dello spostamento a sinistra di una parte importante della popolazione britannica, in risposta alla deriva verso destra dell’establishment politico e alla vocazione ultra-liberista dei governi conservatori. Questo bisogno di un cambiamento di impronta quanto meno progressista ha trovato una qualche corrispondenza, anche se in parte malriposta, nella proposta e nella storia politica di Jeremy Corbyn.

 

Il leader laburista è dunque ora apparentemente in pieno controllo del suo partito. Una serie di rimpasti hanno garantito a Corbyn il sostegno del suo governo-ombra all’opposizione, così come a suo favore è ora la maggioranza dei 39 membri del NEC.

 

Lo stesso voto interno di qualche giorno fa era stato il risultato dello spostamento degli equilibri nel “Labour”. Nel congresso dello scorso anno era stato infatti deciso di ampliare il numero dei membri del direttivo, da eleggere attraverso una consultazione aperta a tutti gli iscritti, tra i quali Corbyn gode appunto di un ampio consenso rispetto a una destra del partito tuttora screditata dagli anni di governo di Tony Blair e Gordon Brown.

 

Il sostegno del NEC potrebbe ora consentire a Corbyn di implementare varie riforme dello statuto laburista che diano ancora maggior peso al ruolo agli iscritti, dalla definizione dell’agenda politica del partito alla selezione di leader e candidati per le elezioni generali e locali.

 

L’appoggio popolare incassato da Corbyn ha dunque ribaltato gli equilibri nel “Labour”, facendo dimenticare, almeno per il momento, le manovre della destra del partito per costringerlo alle dimissioni. Quando, ad esempio, nel 2016 gli oppositori interni di Corbyn forzarono una seconda elezione per la leadership, il NEC aveva ottenuto di impedire la partecipazione al voto degli iscritti più recenti, temendo a ragione che questi ultimi avrebbero votato a valanga per il segretario in carica.

 

Corbyn venne confermato ugualmente alla guida del partito, ma la destra interna avrebbe continuato a tramare contro la sua leadership, fino al tentativo più o meno deliberato di fare incassare al “Labour” un tracollo elettorale nel voto dello scorso anno per il rinnovo del parlamento. La quasi sconfitta dei conservatori e l’affermazione molto più positiva del previsto dei laburisti, proprio grazie a Corbyn, hanno invece innescato il processo di consolidamento di quest’ultimo ai vertici del partito.

La recente consultazione per i nuovi seggi nel NEC ha scatenato un certo panico tra i “moderati” all’interno del “Labour”, in allarme per una possibile purga per mano di Corbyn e della sinistra. Allo stesso modo, la sua crescente popolarità e la possibile emarginazione della destra del partito sono già state accolte da commenti e pseudo-analisi sui principali media britannici che mettono in guardia da una deriva socialista nel paese e dall’esplosione di una sorta di guerra civile se Corbyn dovesse installarsi a Downing Street.

 

Una parte dell’ala destra del Partito Laburista ha invece assunto posizioni più concilianti e attendiste, con l’obiettivo, da un lato, di influenzare le politiche avanzate da Corbyn e, dall’altro, di continuare in maniera meno esplicita i tentativi di assalto alla leadership. Tra le manovre già in atto ci sono quelle che puntano all’installazione di uomini vicini alla destra del partito ai vertici dei principali sindacati britannici, i quali conservano un’influenza cruciale sul “Labour”.

 

Corbyn ha già mostrato peraltro di nutrire poco interesse per iniziative che allontanino dal partito i suoi più fermi oppositori, nonostante da essi siano arrivati attacchi senza scrupoli alla sua leadership. In molti casi, soprattutto prima delle elezioni del 2017, Corbyn aveva infatti risposto alle trame dell’ala “blairita” del partito con decisioni che avevano finito per premiare i suoi membri in nome dell’unità interna.

 

Le divisioni nel Partito Laburista si incrociano poi con la delicata questione della “Brexit”. Un nuovo referendum sull’uscita di Londra dall’Unione Europea è un obiettivo primario della destra laburista, al cui interno sono in molti a cercare di fare di Corbyn un’alternativa al governo May gradita al business britannico, cercando di convincere il numero uno del partito ad abbracciare lo stop alla “Brexit”.

 

Corbyn, da parte sua, continua a mostrarsi cauto su questo fronte, muovendosi tra la necessità di assecondare i più che giustificati sentimenti anti-europeisti della “working-class” britannica tornata a guardare al “Labour” e la disponibilità teorica a valutare una svolta anti-“Brexit”, se dovessero presentarsi le condizioni politiche.

 

La questione appare ad ogni modo molto delicata, visto che un cambiamento di rotta in questo senso potrebbe contribuire a riportare alla luce la vera natura del “Labour” dopo l’ubriacatura progressista, o presunta tale, inaugurata dalla leadership di Corbyn.

 

I principali sostenitori della permanenza della Gran Bretagna nella UE sono infatti una parte dei grandi interessi economici privati, allineati alla destra laburista. Non a caso, l’opposizione anti-Corbyn nel partito aveva duramente criticato quest’ultimo dopo il voto sulla “Brexit” per non essersi battuto a sufficienza a favore della permanenza nell’Unione.

 

Un altro ostacolo all’ulteriore allargamento dei consensi del Partito Laburista è la persistente immagine di esso come responsabile dell’implementazione delle politiche di austerity del governo May, anche se a livello locale. Molte amministrazioni cittadine guidate dal partito all’opposizione a livello nazionale stanno cioè imponendo senza troppi scrupoli i tagli alla spesa e ai servizi pubblici in linea con le politiche di classe decise a Londra.

 

In generale, il consolidamento dell’autorità di Corbyn sul “Labour” lascerà sempre meno spazio a scuse o attenuanti per la mancata promozione di politiche autenticamente di sinistra, come richiesto senza equivoci dall’elettorato del partito.

 

La direzione che Corbyn darà nel prossimo futuro a un partito che ha rappresentato finora uno strumento nelle mani dei poteri forti britannici rivelerà così le reali intenzioni della leadership. Se a prevalere sarà cioè il cambiamento o, più probabilmente, la volontà di contenere le istanze sociali provenienti dal basso per garantire la stabilizzazione del sistema.

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