Il secondo falso allarme in appena quattro giorni, scattato per un inesistente missile lanciato dalla Corea del Nord, ha ricordato a tutto il pianeta come il rischio di una guerra anche nucleare rimanga altissimo nonostante gli stentati progressi sulla strada di un possibile dialogo tra Seoul e Pyongyang. Una conferenza decisamente discutibile organizzata in Canada questa settimana si è poi trasformata in un nuovo palcoscenico americano per minacciare in maniera pesante il regime di Kim Jong-un.

 

 

La rete pubblica giapponese NHK ha diffuso martedì sul proprio sito web e indirizzato agli abbonati al servizio di notifiche mobile un messaggio di allarme per un imminente attacco missilistico lanciato dalla Corea del Nord, invitando tutta la popolazione a cercare rifugio all’interno di edifici o sottoterra. Dopo cinque minuti è partita una rettifica, assieme alle scuse per quello che è stato definito come un errore nel processo di pubblicazione su internet di una notizia non meglio identificata.

 

Uno sbaglio da parte del personale addetto alla gestione delle emergenze alle Hawaii aveva ufficialmente provocato un simile falso allarme nello stato americano del Pacifico sabato scorso. In quel caso, però, erano trascorsi ben 38 minuti prima della diffusione del contrordine a una popolazione comprensibilmente nel panico.

A ben vedere, nonostante le rassicurazioni delle autorità, la coincidenza dei due episodi accaduti nell’arco di pochi giorni sembra tutt’altro che casuale. Soprattutto perché simili allarmi sono stati molto rari, se non inesistenti, negli ultimi decenni e, ancor più, essi si sono verificati nel pieno di una crisi, alimentata in primo luogo proprio dai governi di Stati Uniti e Giappone, che vede la penisola di Corea mai così vicina a una guerra dal 1953.

 

Più di un sito di informazione alternativa ha forse correttamente individuato un nesso tra i preparativi degli USA per un attacco contro la Corea del Nord e l’allarme missilistico alle Hawaii e in Giappone. Il sospetto, ad esempio, è che i governi di Washington e Tokyo abbiano voluto testare la reazione delle rispettive popolazioni all’inizio di un conflitto o, ancora, la risposta di paesi come Russia o Cina a un confronto militare tra gli USA e il regime di Kim.

 

Da considerare è ugualmente il pericolo che implicano “errori” come quelli registrati nei giorni scorsi alle Hawaii e in Giappone. Anche se ciò è stato evitato in entrambi i casi, è del tutto plausibile che, in una situazione nella quale le tensioni sono alle stelle, uno dei paesi coinvolti nella crisi possa decidere di ricorrere alla forza militare in risposta alla notizia di un attacco vero o presunto.

 

Come già anticipato, in ogni caso, i due falsi allarmi si inseriscono in uno scenario segnato dai preparativi ormai avanzati sia da parte del Giappone sia soprattutto degli Stati Uniti per una guerra contro la Corea del Nord. Anzi, in modo deliberato o meno, i due eventi sono stati utilizzati proprio per alimentare l’impressione di una minaccia nordcoreana e giustificare così le manovre militari in corso che servirebbero ad affrontarla adeguatamente.

 

La retorica bellica dell’amministrazione Trump è comunque proseguita nonostante i rappresentanti delle due Coree abbiano fatto qualche timido passo verso la distensione a partire dall’inizio del nuovo anno. Dopo un incontro in una località di confine, i due governi hanno trovato un accordo sulla partecipazione alle prossime Olimpiadi invernali di atleti nordcoreani, mentre sono stati fissati ulteriori incontri per discutere di questioni militari e legate alla sicurezza della penisola.

 

Proprio mercoledì è arrivata anche la notizia che gli atleti dei due paesi si presenteranno sotto un’unica bandiera nella cerimonia inaugurale dei giochi di febbraio, mentre nel torneo di hockey su ghiaccio femminile potrebbe essere schierata una sola squadra formata dalle rappresentanti di Seoul e Pyongyang.

 

I segnali di disgelo sono stati ridimensionati, tra l’altro, da un lungo articolo apparso martedì sul New York Times. In esso viene confermato come la macchina militare americana stia da tempo preparando una guerra nella penisola di Corea, attraverso massicce esercitazioni, inclusa una simulazione di invasione di un paese straniero e della mobilitazione di migliaia di riservisti da inviare in breve tempo oltreoceano. Nell’isola di Guam, nel Pacifico occidentale, è stato inoltre recentemente rafforzato il contingente militare americano con l’arrivo di bombardieri B-52 e B-2, entrambi equipaggiabili con testate nucleari.

 

La strategia americana di continuare a fare pressioni su Pyongyang, con il rischio di precipitare una guerra rovinosa, si è vista infine nel vertice internazionale tenuto martedì a Vancouver, in Canada, per discutere di possibili nuove iniziative destinate a isolare la Corea del Nord e a convincere il regime di Kim ad abbandonare il proprio programma nucleare.

 

All’incontro hanno partecipato i paesi che erano intervenuti a fianco degli USA nella guerra del 1950-1953 nella penisola di Corea. A conferma della natura provocatoria e controproducente del summit e del disinteresse dei partecipanti per una soluzione pacifica, nella città canadese erano assenti Russia e Cina, ovvero i due paesi con la maggiore influenza e i legami più stretti con la Corea del Nord.

 

Al termine dei lavori, il segretario di Stato americano, Rex Tillerson, ha riassunto la posizione del suo paese sulla crisi, apparentemente senza considerare l’esistenza di un dialogo dall’altra parte del Pacifico. Il capo della diplomazia USA ha prospettato cioè nuove misure punitive contro la Corea del Nord, come ad esempio un possibile blocco navale del paese, equivalente di fatto a un vero e proprio atto di guerra.

 

Tillerson ha poi escluso nuovamente la sospensione delle esercitazioni militari congiunte tra USA e Corea del Sud al di là della durata delle Olimpiadi, come richiesto da Mosca e Pechino, respingendo così l’unica proposta sul tavolo per provare a trattare con Pyonyang. L’amministrazione Trump resta d’altra parte ferma sulla propria posizione, secondo la quale Kim deve rinunciare preventivamente al proprio arsenale nucleare prima di entrare in un qualche negoziato con gli Stati Uniti.

 

Questa richiesta è rifiutata senza riserve dalla Corea del Nord, poiché il proprio programma nucleare è visto precisamente come un’assicurazione contro l’aggressione americana, permettendo altresì al regime di partire da una posizione di forza in un ipotetico negoziato.

 

Le richieste inaccettabili di Washington rischiano dunque di far naufragare precocemente il dialogo tra Seoul e Pyongyang. Infatti, le prime crepe nel timidissimo processo diplomatico in atto si sono viste nei giorni scorsi, quando il regime di Kim ha minacciato la rottura nel caso la Corea del Sud dovesse insistere, con ogni probabilità su richiesta americana, a includere nei colloqui bilaterali appena partiti la questione della denuclearizzazione della penisola.

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