Con il voto di una maggioranza risicata dei suoi delegati, nel fine settimana il Partito Social Democratico tedesco (SPD) ha dato con ogni probabilità il via libera ad un governo di “grande coalizione” ancora più a destra di quelli guidati finora dalla cancelliera, Angela Merkel.

 

Se l’OK all’avvio della fase finale dei negoziati con i Cristiano Democratici (CDU) e i Cristiano Sociali bavaresi (CSU) ha fatto trarre un respiro di sollievo a molti a Berlino e a Bruxelles, a fare le spese dell’accordo in vista non saranno soltanto i lavoratori tedeschi, ma lo stesso partito guidato da Martin Schulz.

 

Il dato più importante ricavato dal congresso straordinario di Bonn della SPD è rappresentato dalle divisioni interne attorno alla partecipazione a un esecutivo che potrebbe facilmente decidere dell’esistenza stessa del partito dopo il peggior risultato dal dopoguerra a oggi, incassato nelle elezioni dello scorso settembre.

 

 

Il 56% dei delegati ha alla fine accettato la proposta di una leadership che dopo il voto aveva escluso categoricamente la partecipazione a un nuovo gabinetto Merkel, giudicando più opportuno il posizionamento all’opposizione per cercare di ricostruire l’immagine del partito.

 

Proprio il possibile tracollo della SPD, sull’onda di una nuova collaborazione con la destra tedesca, ha motivato il massiccio voto contrario alla “Grosse Koalition”, in particolare tra i rappresentanti dell’organizzazione giovanile del partito. Ad alimentare le paure in questo senso è tra l’altro l’esempio della parabola dei partiti socialdemocratici in vari paesi europei, penalizzati pesantemente dagli elettori, se non virtualmente spariti dal panorama politico, per avere perseguito politiche di destra, a cominciare dal PASOK greco e dal PS francese.

 

Dall’altro lato, il timore di prolungare lo stallo politico a livello federale, in un frangente segnato da crescenti instabilità sia sul fronte domestico che internazionale, ha finito col prevalere. Questi scrupoli si sono intrecciati a quelli di un eventuale nuovo giudizio degli elettori tedeschi che, secondo alcuni sondaggi, in caso di voto anticipato punirebbero in maniera ancora più dura la SPD rispetto alle elezioni di settembre.

 

La necessità di Schulz di tenere assieme le due anime del partito in vista dei prossimi negoziati di governo è così sfociata domenica in un discorso contraddittorio, nel quale il leader socialdemocratico ha cercato di presentare la terza “grande coalizione” come l’inizio di una nuova era post-austerity e, allo stesso tempo, ha promesso di estrarre maggiori concessioni dalla CDU/CSU in cambio dell’appoggio a un altro governo Merkel.

 

La sinistra interna del partito ha attaccato da parte sua la leadership proprio per non essere stata in grado di ottenere, nel corso dei negoziati preliminari, l’introduzione nella piattaforma del nuovo governo proposte di stampo almeno in apparenza progressista che avrebbero potuto appunto facilitare l’accettazione di un nuovo governo Merkel all’elettorato di riferimento della SPD.

 

Il pronunciamento del congresso socialdemocratico di Bonn rafforza però ora proprio la cancelliera, la quale, incassato un appoggio di fatto decisivo, molto difficilmente sarà disposta a considerare ulteriori concessioni alla SPD. Ciò anche per la necessità di non agitare le acque nei rapporti con la CSU, i cui leader hanno scelto da tempo di competere all’estrema destra con gli xenofobi dell’AfD (“Alternativa per la Germania”) e vedono con ostilità qualsiasi cedimento al prossimo partner di governo, in particolare sulla questione dei migranti.

 

In ogni caso, la stessa improbabile promessa di Schulz di cercare di spostare la nuova coalizione di governo verso sinistra è la conferma che l’accordo preliminare sottoscritto una decina di giorni fa dai negoziatori dei tre partiti coinvolti contiene poco o nulla di progressista.

 

L’impegno ad aumentare in maniera relativamente modesta la spesa sociale e a ridurre le tasse per i redditi più bassi è in larga misura fumo negli occhi per promuovere un’agenda che ha come riferimento gli interessi del business tedesco e, parallelamente, punta a una maggiore integrazione europea sempre per garantire una posizione di forza alla Germania nella sfida con le potenze rivali sul piano internazionale.

 

Nell’intesa preliminare SPD-CDU-CSU, da cui i partiti partiranno per i negoziati delle prossime settimane, vi sono ad esempio riferimenti al rafforzamento della competitività europea e a un maggiore controllo sulle dinamiche fiscali dei paesi membri che, nella sostanza, significano una prosecuzione e un’intensificazione delle pesantissime politiche di austerity degli ultimi anni.

 

Per quanto riguarda poi la questione della sicurezza, è in previsione un rafforzamento dell’apparato di polizia, principalmente con l’aggiunta di migliaia di agenti a livello federale e statale, e dei poteri di controllo della popolazione da affidare ai servizi di intelligence.

 

La politica estera del prossimo governo di Berlino sarà improntata anch’essa alla promozione degli interessi del capitalismo tedesco, in primo luogo attraverso un forte impulso alla militarizzazione. In questo senso va intesa anche la volontà di integrare l’UE sul piano militare, in linea con le posizioni prese nel recente passato proprio dagli esponenti socialdemocratici nel governo Merkel.

 

Per quanto riguarda infine le politiche migratorie, i tre partiti hanno di fatto già adottato una delle proposte principali dell’estrema destra tedesca, cioè un tetto massimo annuale agli ingressi nel paese, da fissare probabilmente attorno alle 200 mila unità.

 

Alla luce dell’impostazione autoritaria e liberista che ha caratterizzato le prime trattative per la creazione del prossimo gabinetto di coalizione tedesco, è dunque illusorio pensare, in vista degli imminenti negoziati, a una qualche concessione significativa accettabile alla sinistra della SPD e che, soprattutto, possa contribuire a risollevare l’immagine del partito.

 

Un accordo definitivo è comunque atteso entro i prossimi due mesi e, se le parti coinvolte saranno in grado di superare divisioni, contrasti e tensioni politiche e sociali, l’ultimo ostacolo cruciale sarà rappresentato molto probabilmente dal voto decisivo degli oltre 400 mila iscritti alla SPD.

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