La sorte del presidente sudafricano, Jacob Zuma, ha subito una drammatica accelerazione nell’ultima settimana, dopo che il direttivo dell’African National Congress (ANC) ha deciso di procedere alla sua rapida liquidazione per installare alla guida del paese il suo nuovo leader, Cyril Ramaphosa.

 

Il probabile epilogo della carriera politica di Zuma è il risultato di un precipitoso e a tratti sorprendente riallineamento contro il presidente all’interno dell’organo direttivo dell’ANC, il Comitato Esecutivo Nazionale (NEC), determinato a sua volta dall’aggravarsi della crisi politica, economica e sociale che sta attraversando il Sudafrica.

 

 

I vertici del partito avevano cercato di convincere Zuma a dimettersi spontaneamente, in modo da evitare un imbarazzante voto di sfiducia in Parlamento. Il presidente si è però fermamente rifiutato di piegarsi, chiedendo tutt’al più alcune concessioni in cambio dell’accettazione ad abbandonare l’incarico che occupa dal 2009.

 

Tra le richieste che Zuma avrebbe fatto a Ramaphosa c’è una sorta di immunità per sé e la propria famiglia, visti i numerosi guai giudiziari degli ultimi anni, e la possibilità di rimanere alla presidenza del Sudafrica ancora per altri tre mesi. Secondo il normale calendario, le elezioni presidenziali sono previste per il prossimo anno.

 

La motivazione ufficiale delle pressioni e delle manovre in corso contro Zuma è legata alle svariate accuse di corruzione nei confronti del presidente, come molti altri all’interno dell’ANC arricchitosi in maniera sostanziosa negli anni seguiti alla fine dell’apartheid grazie agli stretti legami con il business domestico e internazionale, a cui il partito ha garantito mano libera nel paese.

 

Il discredito di Zuma rischia in realtà di coagulare l’opposizione popolare nei confronti della classe dirigente dell’ANC, costretta a trovare una soluzione di facciata per dare l’impressione del cambiamento in direzione apparentemente progressista e, allo stesso tempo, per rassicurare gli ambienti finanziari della determinazione di proseguire con le “riforme” economiche in senso liberista.

 

Un’anticipazione dello scontro interno al partito di governo sudafricano si era avuta lo scorso mese di dicembre con l’avvicendamento alla segreteria tra Zuma e Ramaphosa. L’elezione di quest’ultimo, ex sindacalista diventato imprenditore multimiliardario, aveva dato inizio alla resa dei conti tra le fazioni che fanno riferimento ai due leader, ma la rapidità con cui si è evoluto lo scontro era solo parzialmente prevedibile.

 

Ad ogni modo, dopo il rifiuto di Zuma a rimettere volontariamente il proprio mandato, il direttivo dell’ANC ha indetto lunedì una riunione che nelle prime ore di martedì ha deliberato di procedere con la rimozione del presidente. Ramaphosa e un altro leader del partito hanno comunicato a Zuma la decisione, imponendogli le dimissioni entro 48 ore.

 

Di fronte all’irremovibilità di quest’ultimo, l’ANC è precipitato nel caos. Dapprima era circolata la notizia che sarebbe stata presentata una mozione di sfiducia in Parlamento contro Zuma già nella giornata di giovedì. In seguito, la direzione del partito ha fatto sapere invece di non avere fissato alcuna scadenza né per le eventuali dimissioni del presidente né per la possibile mozione.

 

La persistente incertezza politica è il segnale che sono in corso ulteriori trattative tra le due fazioni all’interno dell’ANC, ma anche che Zuma conserva una certa influenza nel partito, nonostante nei giorni scorsi alcuni membri del NEC, considerati suoi sostenitori, si fossero espressi a favore della rimozione immediata. L’uscita di scena di Zuma appare comunque l’esito più ovvio della crisi politica sudafricana, anche se i tempi e le modalità restano al momento incerti.

 

Singolarmente, la spallata a Zuma sta avvenendo con modalità per molti versi simili a quella che nel 2009 portò quest’ultimo a sostituire prima alla guida del partito e poi alla presidenza del Sudafrica Thabo Mbeki. Ciò è il sintomo di una crisi all’interno del partito in corso ormai da tempo.

 

 

Se Zuma non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali nel corso del braccio di ferro con i vertici del suo partito, la moglie, Tobeka Madiba-Zuma, è intervenuta sui social network per assicurare che il presidente è preparato a combattere quella che ha definito come “una cospirazione orchestrata dall’Occidente”. La moglie di Zuma ha spiegato che quest’ultimo “finirà ciò che ha iniziato, poiché non intende prendere ordini provenienti da oltreoceano”.

 

Al di là della retorica, queste dichiarazioni che dovrebbero esprimere il pensiero di Zuma indicano comunque una realtà di fatto che ha probabilmente influito in qualche modo sulle manovre in atto in Sudafrica. La possibile fine di Zuma è da collegare cioè non solo agli stenti dell’ANC e alla crisi economica e sociale del paese, ma anche alla collocazione internazionale del Sudafrica, sempre meno allineato all’Occidente e, come membro dei cosiddetti BRICS, protagonista delle tendenze multipolari in atto a livello globale.

 

Se l’installazione di Ramaphosa alla presidenza sudafricana è il tentativo dell’ANC e della classe dirigente indigena di recuperare una qualche legittimità popolare, è evidente che le inclinazioni del nuovo leader sono destinate a produrre uno scontro sociale ancora più duro in un futuro non troppo lontano.

 

Di ciò ne sono consapevoli le élite sudafricane, tanto che sono in molti in questi giorni a chiedere al partito iniziative più efficaci per ristabilire quella che un commento apparso nel fine settimana sul quotidiano Mail and Guardian ha definito “l’identificazione dell’ANC con il destino della nazione”.

 

Il livello di corruzione che pervade il partito e la svendita delle ricchezze del paese a pochi interessi privati ha determinato una situazione di degrado tale che manovre come quella in atto ai danni di Zuma, accompagnate da proclami contro il malaffare e per il ristabilimento di un certo livello di moralità, risultano ormai inadeguate a far fronte al malcontento diffuso, all’impoverimento di massa e alla radicalizzazione dell’opposizione popolare.

 

L’avvicendamento alla guida del paese rischia così di scalfire solo superficialmente la complessa realtà sudafricana, senza risolvere nessuna delle contraddizioni prodotte dagli anni di governo dell’ANC. Come ha spiegato la stessa analisi del Mail and Guardian, così, il complotto di questi giorni finirà solo per dare l’impressione, sostanzialmente corretta, della sostituzione di una fazione dell’élite, facente capo a Zuma, che si è arricchita grazie allo stato con un’altra, riferibile a Ramaphosa, che punta allo stesso obiettivo ma attraverso i meccanismo del mercato.

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