Le propaggini della caccia alle streghe in corso negli Stati Uniti contro i presunti responsabili di molestie nei confronti delle donne, nota quasi universalmente con il nome di “#MeToo”, si sono avvicinate nei giorni scorsi alla Casa Bianca, minacciando di saldarsi alla campagna contro l’amministrazione Trump per le altrettanto dubbie collusioni con il governo di Mosca.

 

Quello che è stato subito trasformato in un nuovo scandalo dai media ufficiali riguarda due membri dello staff del presidente repubblicano, di fatto licenziati dopo che erano emerse accuse di maltrattamenti contro le rispettive ex mogli. Il caso ritenuto più serio sarebbe quello dell’ormai ex segretario dello staff presidenziale, Rob Porter, mentre l’altro riguarda David Sorensen, uno degli autori dei discorsi di Trump.

 

 

I dettagli della vicenda sono stati sviscerati in particolare da giornali e network che stanno anche alimentando le polemiche sul “Russiagate”, a cominciare da New York Times e Washington Post, come se essa fosse la questione più importante tra quelle sull’agenda domestica e internazionale dell’amministrazione Trump. Le implicazioni più gravi sarebbero legate alla gestione soprattutto del caso Porter da parte del capo di gabinetto di Trump, l’ex generale John Kelly.

 

L’altro aspetto su cui si è scagliata la stampa è inoltre la risposta del presidente all’emersione dello “scandalo”. Trump sarebbe cioè colpevole di avere difeso i due consiglieri e ricordato come quelle che rimangono per ora semplici accuse possano distruggere la carriera di chi le subisce.

 

Trump, in sostanza, ha per una volta difeso i principi più ovvi del diritto e di uno stato democratico, visto che i due accusati già alle dipendenze della Casa Bianca non sono stati incriminati né tantomeno condannati per gli abusi che sono stati loro addebitati dalle ex consorti.

 

Il meccanismo in questo caso ha funzionato come per i numerosissimi casi che hanno coinvolto personalità dello spettacolo e della politica USA, accusati di avere commesso abusi sessuali. Le loro carriere e le loro immagini pubbliche sono state gravemente compromesse, se non totalmente rovinate, soltanto sulla base di accuse non provate e spesso addirittura anonime.

 

Alla Casa Bianca, in ogni caso, i problemi di Porter erano stati inizialmente considerati contenibili e lo stesso Kelly sembrava voler difendere il segretario dello staff. L’ex generale aveva accolto le richieste del capo ufficio stampa della Casa Bianca, Sarah Sanders, e della numero uno delle comunicazioni, Hope Hicks, per emettere un comunicato ufficiale a sostegno di Porter. La Hicks, oltretutto, aveva avuto una relazione con Porter.

 

Prevedibilmente, la spirale accusatoria contro quest’ultimo è diventata alla fine insostenibile, soprattutto dopo la pubblicazione di un’immagine della ex moglie di Porter che mostrava segni di possibili percosse. Porter ha da parte sua escluso maltrattamenti, pur ammettendo rapporti coniugali molto tesi nel periodo del divorzio, e ha attribuito i segni sul viso della ex moglie a un incidente. Anche Sorensen ha respinto ogni accusa, sostenendo anzi di essere stato lui a subire maltrattamenti fisici dalla moglie durante il matrimonio.

 

Gli attacchi si sono così concentrati sul capo di gabinetto Kelly, tanto da far pensare a una nuova resa dei conti all’interno della Casa Bianca, simile a quelle che negli ultimi dodici mesi hanno portato all’allontanamento prematuro di svariati collaboratori di Trump. Queste faide sono alimentate dai rappresentanti delle fazioni dell’establishment americano che si stanno fronteggiando, in primo luogo attorno al “Russiagate”.

 

Sulla posizione di Kelly, malgrado i retroscena dell’episodio più recente restino in larga misura sconosciuti, è possibile si stiano addensando nubi minacciose forse a causa della condotta dell’ex generale alla Casa Bianca in questi sei mesi dalla sostituzione del suo predecessore, Reince Priebus.

 

Kelly era arrivato alla Casa Bianca dopo un breve mandato alla guida del dipartimento dell’Interno e nel pieno dello scompiglio che stava scuotendo l’amministrazione Trump su vari fronti. La promozione di un ex generale a un incarico cruciale del governo americano era stata accolta con entusiasmo dagli oppositori di Trump, incluso il Partito Democratico e non pochi ambienti “liberal”, che vedevano Kelly, assieme ad altri militari approdati alla Casa Bianca, come un fattore decisivo nel contenimento degli eccessi del presidente.

 

Soprattutto, la presenza di coloro che vengono descritti come gli “adulti” al fianco di Trump avrebbe dovuto agire da correttivo delle tendenze di quest’ultimo in politica estera, ostacolando in primo luogo il timido tentativo di ristabilire relazioni cordiali con la Russia e il possibile disimpegno degli Stati Uniti da alcuni scenari di crisi internazionale, come la Siria e il Medio Oriente in genere.

 

Se su queste ultime questioni l’amministrazione Trump ha indubbiamente fatto registrare un cambio di rotta negli ultimi mesi, adeguandosi in gran parte agli orientamenti strategici di Obama anche grazie all’influenza dei militari, la campagna del “Russiagate” ha solo scalfito il muro della Casa Bianca e John Kelly ha sostanzialmente sempre assecondato e difeso il presidente.

 

L’ossessione dei media e della politica americana per i presunti abusatori della Casa Bianca è da collegare però anche agli sviluppi interni e internazionali degli ultimi giorni o, meglio, agli sforzi per sviare da essi l’attenzione dell’opinione pubblica domestica, così da tenere all’ordine del giorno una vicenda di interesse decisamente trascurabile.

 

Questa strategia è in pratica la stessa che sta almeno in parte alla base del movimento “#MeToo” e della iniziativa diffusa contro le molestie sessuali, non a caso già in più occasioni rivolta direttamente contro lo stesso Trump. Infatti, mentre i media USA proponevano una copertura pressoché totale dei crimini coniugali di Rob Porter e David Sorensen, la guerra in Siria tornava a infuriare, i preparativi di guerra in Corea proseguivano nonostante i segnali di distensione, il Congresso approvava un aumento enorme del bilancio del Pentagono e la borsa americana faceva segnare un sensibile declino dopo i record degli ultimi mesi.

 

In definitiva, anche l’ultima crisi che sta attraversando la Casa Bianca dimostra come l’opposizione a una delle amministrazioni più reazionarie della storia americana continui a essere condotta su un piano anti-democratico. Mentre Trump sta portando gli Stati Uniti sull’orlo della guerra nucleare e implementando politiche sociali ed economiche rovinose per le classi più povere, i suoi oppositori insistono con una linea d’attacco ugualmente reazionaria e basata quasi sempre su accuse senza alcun fondamento.

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