La Turchia e i suoi alleati dell’Esercito libero siriano (Els) hanno conquistato Afrin, enclave curda nel nord ovest della Siria. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha raggiunto così l’obiettivo di sottrarre la città al controllo dell’Unità di Protezione Popolare (Ypg), la milizia curdo-siriana accusata dai turchi di avere legami con il Pkk, movimento secessionista curdo attivo in Turchia e classificato fra le organizzazioni terroristiche da Ankara, Ue e Usa.


“La città è stata conquistata alle 8.30 - ha detto Erdogan domenica - la maggioranza dei terroristi è già fuggita con la coda fra le gambe. Le nostre forze speciali e i membri dell'Els si stanno occupando di quelli che restano e delle trappole che hanno lasciato dietro di loro”.


Ma i miliziani curdi hanno chiarito che non intendono arrendersi: “Combatteremo fino alla liberazione di Afrin - si legge in una nota - la resistenza continuerà fino a che ogni millimetro sarà liberato e il popolo ritornerà alle proprie case. La nostra guerra contro l'occupazione turca e le forze militanti chiamate Esercito libero siriano è entrata in una nuova fase, passando dal confronto diretto ad una tattica colpisci e scappa”.

 


La presa di Afrin rientra nell’ambito dell’offensiva “Ramoscello d'Ulivo” lanciata lo scorso 20 gennaio dalla Turchia contro la Siria settentrionale. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, in meno di due mesi sono stati uccisi oltre 280 civili e più di 1.500 combattenti curdi, soprattutto a causa di raid aerei e colpi di artiglieria. Ankara ha riferito della morte di 46 soldati turchi e di oltre 400 ribelli filo-turchi.


Insomma, una volta la Turchia aiutava l’Isis in funzione anti-Assad, oggi invece massacra i curdi, che hanno svolto un ruolo decisivo nella sconfitta dell’Isis in Siria (le Ypg erano il pilastro delle Syrian democratic Forces, la coalizione sostenuta e addestrata dagli Usa che ha conseguito i maggiori successi nella guerra contro lo Stato Islamico). E lo fa con i metodi più brutali, senza pietà per malati o bambini.

 

In un comunicato, l’Amministrazione autonoma di Afrin afferma che “l’esercito invasore colpisce deliberatamente cliniche e forni che forniscono servizi vitali ai civili. Decine di migliaia di residenti sono stati costretti a fuggire e stanno affrontando un’immane tragedia. Chiediamo che le organizzazioni internazionali condannino questi barbari attacchi e aiutino le decine di migliaia di civili nel loro tragitto attraverso il deserto di Shehba. Ci sono bambini, anziani e feriti senza cibo né acqua”.

 

Tutto questo accade mentre i Paesi Nato e la Russia restano a guardare indifferenti. Mosca a gennaio ha perfino ritirato i propri militari dal cantone di Afrin, consentendo all'aviazione turca di volare (e bombardare) in uno spazio aereo tuttora sotto il controllo russo. Il presidente Vladimir Putin non vuole rinunciare all'alleanza con Erdogan, soprattutto ora che può trarre vantaggio dalla tensione sempre più alta fra Ankara e Washington.


Intanto gli Usa e gli altri alleati Nato fingono di non vedere che il Presidente turco sta usando il loro arsenale per condurre un’offensiva giustificata solo dai suoi obiettivi politici. Ora non resta che capire fin dove si spingerà la sete di potere di Erdogan.


La presa di Afrin non è la tappa conclusiva, ma solo il primo atto di un’offensiva anti-curda dalla portata ben più ampia. Il Presidente turco non ha mai fatto mistero di voler estendere l'operazione a Manbij, per poi arrivare agli altri distretti siriani controllati dai curdi, compresa Kobane. L’obiettivo finale dovrebbe essere quello di cacciare Ypg e Pkk anche dal Kurdistan iracheno.


Il problema è che a Manbij si trovano quasi 2mila soldati americani: Erdogan ha già chiesto agli Usa di abbandonare la città, ma gli statunitensi hanno chiarito più volte che non intendono obbedire. Il rischio che un nuovo conflitto sia alle porte esiste. Forse anche per questo, oggi, tutto il mondo rimane in silenzio di fronte massacro di Afrin.

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