Alcuni risvolti inediti dell’assalto al gay club Pulse di Orlando, in Florida, nel giugno del 2016 sono emersi questa settimana nel corso del processo alla moglie dell’attentatore, l’allora 29enne di origine afgana Omar Mateen. Il padre di quest’ultimo sarebbe stato cioè un informatore dell’FBI per parecchi anni, così che uno dei più sanguinosi episodi di terrorismo mai accaduti sul territorio americano potrebbe ancora una volta intrecciarsi in maniera inquietante con le pratiche a dir poco ambigue dei servizi di sicurezza degli Stati Uniti.

 

 

Le motivazioni dietro alla strage compiuta da Omar Mateen non sono mai state del tutto chiarite. Inizialmente sembrava che la ragione del gesto fosse da ricercare nei sentimenti contradditori nutriti verso la comunità gay dall’attentatore, lacerato tra la sua più o meno latente omosessualità e i dettami della religione islamica. In seguito sarebbe emerso invece che Mateen non conosceva nemmeno il Pulse di Orlando, scelto forse a caso come bersaglio.

 

Durante l’assedio, inoltre, prima di essere ucciso dal fuoco della polizia quest’ultimo aveva sostenuto con i negoziatori di agire per conto dello Stato Islamico (ISIS), come lasciava intendere la volontà espressa di vendicare le aggressioni militari occidentali nei paesi musulmani. Le successive indagini ufficiali non avrebbero però rivelato connessioni particolari con organizzazioni fondamentaliste.

 

L’informazione sui legami con l’FBI del padre di Omar Mateen, Seddique Mateen, è contenuta in una mozione presentata dai legali della vedova dell’attentatore, Noor Salman, i quali chiedono l’archiviazione del processo contro la loro assistita anche a causa della mancata rivelazione di questo rapporto da parte delle autorità americane.

 

Noor Salman è accusata di complicità nell’uccisione di 49 persone e nel ferimento di altre 60 che si trovavano al Pulse durante l’attacco. La pena massima prevista è l’ergastolo. Il suo contributo alla strage consisterebbe nell’avere accompagnato il marito in un giro di ricognizione in auto per esaminare gli accessi al night club prima dell’assalto.

 

La presunta prova della sua responsabilità è stata però smontata nel corso del processo. La vedova di Omar Mateen, a cui viene attribuito un QI ben al di sotto della media, sarebbe stata pesantemente influenzata dagli agenti dell’FBI e, inoltre, questi ultimi avrebbero compilato la confessione in base ai loro ricordi, senza registrare l’interrogatorio.

 

Non solo, prove dei tracciati telefonici di Noor Salman presentate dalla difesa hanno mostrato che l’accusata non si trovava nei pressi del Pulse nella data indicata dagli investigatori. Una testimonianza in aula di un agente dell’FBI ha anche rivelato che le autorità erano venuti a conoscenza già pochi giorni dopo la strage che le informazioni sui movimenti della moglie dell’attentatore erano false.

 

Queste manipolazioni delle indagini si sommano ora al tentativo di occultare i precedenti del padre di Omar Mateen, il quale infatti non era stato stranamente nemmeno chiamato a testimoniare dall’accusa nel processo a Noor Salman. Gli sviluppi degli ultimi giorni rendono dunque sempre più probabile un’archiviazione del caso in cui è coinvolta quest’ultima.

 

Al di là delle vicende legali, il fatto che Seddique Mateen abbia lavorato per l’FBI tra il gennaio 2005 e il giugno 2016 solleva una serie di interrogativi sia sull’azione del figlio sia sulla gestione dell’anti-terrorismo negli Stati Uniti. Il padre di Omar Mateen, nato in Afghanistan ed emigrato in America negli anni Ottanta del secolo scorso, si era visto interrompere il suo rapporto con l’FBI subito dopo la strage commessa dal figlio a Orlando.

 

La perquisizione della sua abitazione aveva portato al reperimento di ricevute di pagamenti effettuati dallo stesso Seddique Mateen a beneficiari in Turchia e in Afghanistan. Il ritrovamento aveva fatto emergere relazioni più che sospette con ambienti fondamentalisti oltreoceano, ma per le autorità americane la scoperta non era esattamente cosa nuova.

 

A inizio novembre del 2012, ad esempio, l’FBI aveva ricevuto una soffiata sul tentativo di Seddique Mateen di raccogliere tra i 50 e i 100 mila dollari per finanziare un’operazione terroristica in Pakistan. Dopo avere ottenuto questa informazione, l’FBI decise comunque di continuare il proprio rapporto con il cittadino afgano emigrato negli USA. Sia pure risiedendo in America, Seddique Mateen era inoltre piuttosto attivo nelle vicende del suo paese di origine, dimostrandosi estremamente critico verso l’attuale regime sostenuto da Washington. Per una rete satellitare afgana con sede negli USA conduceva anche un programma dai toni piuttosto accesi.

 

Nonostante le apparenti incongruenze, è del tutto plausibile che l’FBI abbia deciso di tenere Seddique Mateen come informatore proprio per i suoi possibili legami con ambienti del terrorismo internazionale. Le ragioni possono essere molteplici e complesse, tra le quali non vanno probabilmente esclusi i rapporti ambigui tra l’apparato dell’intelligence americano e i movimenti jihadisti che ufficialmente dovrebbe combattere o la coltivazione di elementi estremisti, spesso psicologicamente instabili, da utilizzare come finta minaccia terroristica sul suolo domestico.

 

Molti punti oscuri della vicenda potrebbero essere chiariti se fosse noto il contenuto della collaborazione di Seddique Mateen con l’FBI. Gli agenti del “Bureau”, in ogni caso, non sembravano troppo allarmati dalle attività del loro informatore, né presumibilmente del figlio. Omar Mateen stava infatti progettando un viaggio in Turchia proprio nel periodo in cui il padre inviava somme di denaro in questo paese. Per i legali di Noor Salman, ciò dimostrerebbe che il futuro attentatore di Orlando intendeva unirsi a un gruppo estremista finanziato dal padre.

 

L’FBI aveva peraltro condotto due indagini su Omar Mateen ricorrendo a interrogatori e attività di sorveglianza. In uno dei casi l’indagine era scattata in seguito alle segnalazioni di alcuni suoi colleghi che avevano descritto come Mateen avesse vantato legami con organizzazioni come al-Qaeda, i Fratelli Musulmani e, in maniera del tutto incoerente, Hezbollah. A sua discolpa, Mateen aveva sostenuto di avere ostentato simili contatti per far cessare le vessazioni subite dai colleghi di lavoro per via della sua religione.

 

Dopo dieci mesi di controlli, l’FBI decise comunque di non procedere ulteriormente. Sempre secondo i difensori di Noor Salman, in questa indagine del 2013-2014 Seddique Mateen avrebbe interceduto con l’FBI per convincere gli agenti incaricati del caso ad archiviare la pratica che riguardava suo figlio.

 

La seconda indagine sarebbe stata aperta un anno più tardi a causa dei rapporti tra Omar Mateen e Moner Mohammad Abusalha, un cittadino americano della Florida fattosi esplodere in un attentato suicida in Siria. Per l’FBI i legami tra i due non erano però rilevanti, essendo limitati alla frequentazione della stessa moschea in Florida. Anche questa indagine venne così lasciata cadere, non è chiaro se con o senza l’intervento del padre di Omar Mateen.

 

Le frequentazioni e gli orientamenti della famiglia Mateen non erano dunque un impedimento alla costruzione di rapporti proficui con l’FBI. Oltre al padre Seddique, infatti, anche il figlio Omar era entrato almeno in un’occasione nel radar dei federali americani. Nella sua testimonianza in aula di questa settimana, l’agente dell’FBI Juvenal Martin, responsabile della gestione dell’informatore Seddique Mateen fin dal 2006, ha rivelato di avere valutato in passato la possibilità di reclutare a questo scopo anche il figlio Omar.

 

Anche in assenza di prove e con molti aspetti oscuri, l’intreccio di rapporti tra la famiglia Mateen, gli ambienti del fondamentalismo internazionale e le forze di intelligence e di sicurezza americane rendono i contorni dell’attentato di Orlando estremamente sospetti. Quanto meno, una seria e approfondita indagine sull’accaduto dovrebbe fare luce in primo luogo su quanto potevano eventualmente sapere sulla preparazione della strage sia l’FBI sia il suo informatore, Seddique Mateen.

 

Per quanto riguarda l’FBI, d’altra parte, i precedenti richiederebbero particolare attenzione. L’attentato alla maratona di Boston del 2014 presenta ad esempio aspetti per certi versi simili all’attacco di Orlando. I due attentatori, Tamerlan e Dzhokar Tsarnaev, erano infatti da tempo all’attenzione delle autorità americane, soprattutto dopo una segnalazione dell’intelligence russa sui legami di uno di loro con gli ambienti fondamentalisti.

 

Uno zio dei due fratelli di origine kirghiza aveva inoltre contatti documentati con la CIA ed era a capo di un’organizzazione che riforniva di armi i separatisti islamici in Cecenia, ovvero uno dei tanti “asset” strategici degli Stati Uniti per la promozione dei propri interessi all’estero.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy