Donald Trump ha ritirato la firma degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare firmato dall’Iran e dal gruppo dei 5+1, ovvero i cinque membri permanenti con diritto di veto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ai quali si era aggiunta la Germania. Due anni di negoziati avevano prodotto un accordo positivo e bilanciato, nel quale a fronte delle garanzie iraniane di non proliferazione nucleare venivano cancellate le sanzioni economiche che avevano complicato non poco le sorti dell’economia persiana.

 

 

A giustificare il ritiro della firma degli Stati Uniti dall’accordo, Trump ha indicato presunte e mai provate “violazioni” iraniane dello stesso, riferendosi con ogni evidenza a quanto sostenuto dal premier israeliano Bibi Netanyahu alcuni giorni orsono.

 

Proprio con l’obiettivo di giustificare per Trump la marcia indietro (promessa in campagna elettorale) per la quale non trovava un contesto utile alla decisione, Netanyahu aveva messo su il teatrino della fantomatica scoperta del Mossad che si era introdotto in uffici governativi iraniani ed aveva – ma guarda un po’ – trovato chiare indicazioni su come l’Iran intenda non rispettare l’accordo. Sembrava di rivedere Colin Powell all’Onu sulle prove contro Saddam che aveva “armi di distruzione di massa”.

 

Così come fatto con la Siria, Trump non ha ritenuto di dover verificare  la veridicità delle accuse israeliane, proprio perché le accuse di Netanyahu e il ritiro della firma dall’accordo sono il risultato di un gioco di squadra destinato a soddisfare l’unica volontà politica evidente, ovvero quella di sostenere le pretese egemoniche di Israele in Medio Oriente.

 

 Il Congresso statunitense riproporrà ora le sanzioni e potrebbe arrivare persino a decidere l’embargo sulle esportazioni iraniane di greggio (circa 500.000 barili), causando così non pochi problemi alla comunità internazionale, vista l’offerta sul mercato appena sufficiente. Ma uno dei motivi della scelta di Trump è proprio questa: forzare le quote in sede Opec e riaprire i rubinetti della monarchia saudita e qatariota e, nel contempo, provare a piazzare energia made in USA.

 

Francia, Gran Bretagna e Germania si rammaricano per la decisione di Trump e non intendono - almeno non del tutto - seguirlo sulla strada della rottura con Teheran. E’ risultato inutile il tentativo di Macron, nei giorni scorsi a colloquio con Trump, di dissuadere gli Stati Uniti dal ritirarsi dall’accordo. D’altra parte Trump ha consegnato ad Israele le chiavi della politica estera della Casa Bianca nella regione mediorientale.

 

In un tweet, lo stesso Macron si augura di “poter lavorare ad un accordo più ampio con l’Iran”, mentre anche l’Italia – che ha svolto un lavoro importante nel processo di riavvicinamento tra l’Iran e i paesi occidentali - difende l’accordo affermando, in una nota di Gentiloni, che “contribuisce alla sicurezza nella regione e frena la proliferazione nucleare. L'Italia con gli alleati europei confermano gli impegni presi". L’Alto Rappresentante per la politica estera della Ue, Federica Mogherini, ha aggiunto che “l’accordo appartiene all’intera comunità internazionale e la UE è determinata a preservarlo perché è uno dei più grandi obiettivi raggiunti dalla comunità internazionale”.

 

Ma proprio Europa, Russia e Cina sono destinate le minacce di Trump: "Istituiremo il livello più alto di sanzioni: tutti i Paesi che aiuteranno l'Iran sul nucleare saranno colpiti dalle sanzioni. "Gli Stati Uniti non fanno più vuote minacce - ha aggiunto - Quando io faccio una promessa la mantengo".

 

Le sanzioni degli Stati Uniti contro l'Iran saranno applicate "immediatamente" ai nuovi contratti, ha poi annunciato il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca John Bolton, secondo cui la decisione mostra alla Corea del Nord che gli Usa non accetteranno accordi inadeguati. Bolton prima che un fascista è notoriamente uno stupido e non perde occasione per confermarlo: proprio il vedere quanto vale la firma degli Stati Uniti spingerà la Corea del Nord a garantirsi una exit strategy dall’accordo a cui forse non aveva ancora pensato.

 

L’Europa dovrà quindi scegliere che strada intraprendere: unirsi a Trump e non incorrere nelle sanzioni unilaterali americane ma accusare ricadute commerciali con l’Iran e soprattutto con la Russia, oppure andare avanti sulla difesa dell’accordo. In ambedue i casi il prezzo da pagare sarà alto e la crisi diplomatica tra Bruxelles e Washington si aggraverà.

 

Difficile, infatti, che scelga l’unico percorso possibile, ovvero quello di proseguire con l’accordo e rispondere alle sanzioni statunitensi con sanzioni europee agli USA sulla base del principio della reciprocità e proporzionalità, oltre che chiudere quelle in corso con la Russia. Sarebbe un ottimo segnale per l’arroganza imperiale statunitense che si ritroverebbe così con un effetto boomerang dalle pesanti ricadute e riceverebbe una chiara lezione circa la reciprocità degli obblighi insiti in una alleanza ed una indicazione sui limiti che i suoi obiettivi unipolari debbono avere.

 

L’Iran dal canto suo ha già fatto sapere che da parte sua l’accordo mantiene vigenza e legittimità e non poteva che essere così. Da una parte perché punta a capitalizzare la rottura tra USA e Unione Europea, che è questione di rilevanza storica; dall’altro perché intende fornire alla comunità internazionale la disponibilità ad una intesa che viene oggi messa in crisi dalla volontà guerrafondaia di Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita.

 

Dunque Teheran manterrà l’accordo, anche se nei giorni scorsi aveva avvertito come una sua rottura avrebbe comportato conseguenze durissime: “Gli "Usa non hanno piani e strategie per la guerra ma l'Iran sa come garantire i propri interessi nel cuore della regione" aveva avvertito il capo dei Pasdaran, generale Hossein Salami. "Se Trump farà lo sbaglio di uscire dall'intesa, sicuramente dovrà accettare i diritti del popolo iraniano più tardi, in condizioni peggiori", ha detto invece il ministro degli Esteri Javad Zarif.

 

Quella di Teheran appare una mossa tatticamente intelligente, visto che il piano israelo-saudita-statunitense prevede proprio una escalation militare come reazione alla rottura dell’accordo. Una ripresa del programma nucleare iraniano avrebbe comportato la messa in campo delle altre due opzioni che compongono la parte successiva del piano statunitense-israeliano-saudita: Ryad (come ha avvertito da mesi) avrebbe potuto dar vita al suo programma nucleare con l’aiuto degli Stati Uniti e con la scusa che Teheran la minaccia e Tel Aviv avrebbe potuto pianificare un attacco militare all’Iran dalle conseguenze terribili per l’intera regione.

 

Due scenari da incubo. Nel caso di un attacco militare israeliano la reazione iraniana sarebbe durissima e metterebbe a ferro e fuoco l’intera regione; inoltre, dotare la famiglia reale saudita dell’opzione nucleare significa consegnare la regione alle sue folle ambizioni di dominio sul Medio Oriente e Golfo Persico. Ryad ha due progetti: quello di distruggere il movimento sciita prima e di regolare i conti anche con quello sunnita poi (vedi Qatar ma non solo) che non si piega ai medievali wahabiti di Ryad. Il che, considerando la resistenza di Assad in Siria, la vittoria elettorale di Hezbollah in Libano e la possibile vittoria degli sciiti in Irak, alle elezioni del prossimo 18 maggio, appare al momento di difficile realizzazione.

 

La reazione della Russia è prudente ma è chiaro che da una rottura dell'accordo e dalla crisi tra USA e UE ha solo da guadagnare. Mosca si dice certa dell’esistenza di opzioni diplomatiche ancora da esplorare e ritiene che Washington non possa assumere su di sé la responsabilità di aver innescato una corsa generalizzata verso la proliferazione nucleare. Difficile darle torto. Preso atto che una firma statunitense vale solo per il presidente che l’appone, la caduta di credibilità politica degli Stati Uniti in materia di accordi internazionali è sotto gli occhi di tutti.

 

Difficilmente altri paesi accetteranno le promesse e le garanzie di Washington a fronte della riduzione della propria capacità militare e la corsa a dotarsi di armamento nucleari troverà ora una sua scusa prima ancora che una sua logica. L’esempio nordcoreano rischia di fare scuola: visto che accordare di non armarsi serve a poco, prima mi armo anch’io, poi vediamo se minacci ancora e quindi chi tra noi ha fretta di firmare accordi. Grazie a Trump, il Trattato di non proliferazione nucleare forse ha i mesi contati.

 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy