Il tentativo dei governi europei di evitare le conseguenze della reimposizione delle sanzioni americane contro l’Iran e di conservare i rapporti economico-commerciali con questo paese si è subito scontrato nei giorni scorsi con una realtà decisamente complicata. Le iniziative ipotizzate nel corso di un vertice a Bruxelles tra i membri europei e il capo della diplomazia iraniana sono apparse applicabili ed efficaci solo in teoria.

 

Concretamente, la recente decisione dell’amministrazione Trump di lasciare l’accordo sul nucleare di Vienna (JCPOA) minaccia di creare un delicatissimo dilemma per le compagnie europee attive nella Repubblica Islamica. Ben poche delle quali saranno infatti disposte a rischiare misure punitive americane per preservare le opportunità relativamente limitate offerte dal mercato iraniano.

 

Il problema per l’Europa deriva dalle cosiddette “sanzioni secondarie” implementate dagli Stati Uniti, cioè quelle che finiscono di riflesso per escludere dal mercato o dal sistema finanziario americano quelle aziende che continueranno a fare affari con l’Iran.

 

L’intenzione di Washington di utilizzare senza alcuno scrupolo tutto il proprio peso per mettere all’angolo l’Iran e imporre i propri interessi anche ai paesi alleati è risultata evidente dalle dichiarazioni del neo-consigliere per la sicurezza nazionale del presidente, il super-falco John Bolton.

 

L’ex ambasciatore USA alle Nazioni Unite ha affermato recentemente che “non sarà permesso nessun nuovo contratto” commerciale con l’Iran e le compagnie europee avranno tra i 90 e i 180 giorni per abbandonare contratti e affari che le vedono coinvolte, relativamente ai settori gravati dalle sanzioni, come quelli energetico, della componentistica industriale o dei trasporti.

 

Il timore dell’Europa non è da collegare soltanto alla prospettiva di perdere occasioni economiche, comunque di un certo rilievo come conferma la crescita degli scambi commerciali con l’Iran fino a circa 25 miliardi di euro nel 2017. I governi europei sono ben consapevoli che la logica conseguenza delle azioni americane è l’esplosione di una guerra rovinosa con l’Iran. Un conflitto che supererebbe per intensità anche le catastrofi di Iraq e Siria, con il risultato, per l’Europa, di assistere a una nuova ondata di profughi, così come di provocare gravi destabilizzazioni in Medio Oriente e, quanto meno, un’impennata del prezzo del petrolio.

 

Ufficialmente, l’intenzione di Bruxelles sarebbe così quella di adottare provvedimenti che, come hanno sostenuto questa settimana la numero uno della diplomazia UE, Federica Mogherini, e il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, proteggano le compagnie europee che fanno affari in Iran, salvaguardino le attuali importazioni di greggio e garantiscano le relative transazioni bancarie.

 

Di tutto questo si è parlato martedì a Bruxelles e se ne discuterà ulteriormente nei prossimi incontri tra i rappresentati dell’Europa e quelli iraniani. Il governo di Teheran, tuttavia, chiede che la continua implementazione dell’accordo sul nucleare e il mantenimento delle relazioni commerciali siano garantite legalmente e, a questo proposito, l’UE dovrà fornire una soluzione adeguata nelle prossime settimane.

 

Proprio su garanzie di questo genere rischia di arenarsi il dialogo tra Teheran e Bruxelles. La stessa Mogherini ha ammesso apertamente che, almeno a questo punto dei colloqui, non esistono strade percorribili. Dietro all’ostentazione della fermezza nel mantenere gli impegni di Vienna con l’Iran, c’è d’altra parte la consapevolezza della sostanziale impotenza europea nel contrastare Washington sul piano economico e finanziario.

 

I rapporti dell’Europa con gli USA in questi ambiti sono nettamente superiori rispetto a quelli stabiliti con la Repubblica Islamica a partire dal 2015 e le stesse compagnie che negli ultimi anni hanno stipulato contratti con questo paese stanno già con ogni probabilità valutando l’ipotesi di una qualche marcia indietro.

 

Le soluzioni legali per proteggere il business con l’Iran sarebbero in teoria a disposizione, come il provvedimento che nel 1996 fu adottato per evitare gli effetti delle sanzioni USA contro Cuba o quello che prevede la possibilità di recuperare i costi sostenuti a causa delle misure punitive americane attraverso l’imposizione di dazi sulle importazioni dagli Stati Uniti. Altre ipotesi sono state avanzate in questi giorni anche per quanto riguarda le questioni finanziarie e bancarie, inclusa la possibilità di pagare il petrolio iraniano in euro invece che in dollari.

 

L’improbabilità di queste e altre iniziative dipende dal fatto che tutte comporterebbero uno scontro frontale con gli Stati Uniti sul piano economico e commerciale, in un frangente già caratterizzato dall’aggravamento delle tensioni transatlantiche a causa delle inclinazioni protezionistiche dell’amministrazione Trump. Visti soprattutto gli interessi economici legati agli USA delle grandi compagnie europee, è perciò inverosimile che i governi europei o i vertici dell’Unione si assumano la responsabilità politica di agire in questa direzione.

 

Le posizioni europee sembrano piuttosto un tentativo di fare pressioni su Washington, o quanto meno su sezioni più moderate della classe dirigente americana, per indurre la Casa Bianca ad ammorbidire la propria linea e accettare almeno un tentativo di rinegoziare alcune questioni con Teheran, come quella dei missili balistici o delle presunte attività “destabilizzanti” iraniane in Medio Oriente.

 

Gli Stati Uniti sono però decisi a proseguire con gli attacchi frontali contro la Repubblica Islamica, con l’obiettivo finale di forzare in un modo o nell’altro il cambio di regime e togliere di mezzo il principale ostacolo al consolidamento del controllo americano sul Medio Oriente, anche a spese degli alleati europei.

 

Un messaggio molto chiaro in questo senso è giunto da Washington alla vigilia del vertice di Bruxelles di martedì, quando il dipartimento del Tesoro ha annunciato nuove sanzioni contro il governatore della banca centrale iraniana e uno dei suoi vice per avere fornito “supporto” ai Guardiani della Rivoluzione e a Hezbollah.

 

Qualunque sia alla fine l’esito della disputa sulla sopravvivenza dell’accordo sul nucleare iraniano, appare inevitabile un ulteriore inasprimento delle divisioni tra Stati Uniti ed Europa. Lo scontro in atto sul divergere degli interessi dei due alleati in Iran è soltanto uno dei fronti su cui si sta evolvendo il confronto, già infiammato, tra l’altro, dalla questione dei dazi o della risposta al cambiamento climatico.

 

Per quanto le posizioni europee implichino nel caso iraniano un allentamento delle tensioni in Medio Oriente, esse si basano su calcoli puramente strategici e di convenienza economica esattamente come quelle di Washington. Inoltre, come dimostrano chiare tendenze in atto ad esempio in Germania e in Francia, l’escalation di tensioni con gli Stati Uniti si sta già traducendo in un impulso sempre più evidente alla militarizzazione anche da questa parte dell’Oceano Atlantico.

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