E’ ripreso a Managua il dialogo nazionale, ovvero il tavolo del negoziato tra governo e opposizione con la “mediazione” della Conferenza Episcopale, che sebbene sia parte in causa diretta con il sostegno pieno all’opposizione, per comune convenienza viene investita del ruolo di arbitro. Insieme alla ripresa del dialogo, è tornata a Managua la delegazione della CIDH, la Commissione Interamericana per i diritti umani, per una ulteriore missione nell’ambito della partecipazione di entità internazionali in assistenza ai colloqui.

 

 

La CIDH, ancor più che la Chiesa, dovrà ora dimostrare che può fare di meglio di quanto visto finora, dal momento che alcuni giorni orsono ha presentato un suo “rapporto” su quanto avvenuto in Nicaragua dal 18 Aprile ad oggi che si caratterizza per la sua evidente faziosità. In 87 pagine nemmeno un paragrafo è dedicato alla denuncia e condanna dei delitti delle bande armate della destra e viene dato per acquisito e certo quanto spacciato dalla propaganda della famiglia Chamorro attraverso i suoi giornali e le sue tv antigovernative. D’altra parte non è un caso che nei suoi tre giorni di presenza nel paese la delegazione della CIDH fosse stata perennemente accompagnata da Pedro Ramirez, esponente del MRS. Uno strano modo di muoversi senza condizionamenti ed alla ricerca della verità.

 

Nel “rapporto” non vengono citati i blocchi stradali, gli assalti alle istituzioni pubbliche, i sequestri, le torture e gli assassinii di funzionari dello Stato ed appartenenti al FSLN. Senza alcuna vergogna viene completamente rovesciata nella dinamica e nelle responsabilità la strage di una intera famiglia sandinista, che si era rifiutata sia di aderire allo sciopero indetto dalla destra che a consentire ai tiratori armati di fucili di installarsi al secondo piano della casa per sparare sulla polizia. Le maras dei “pacifici studenti” hanno bruciato la casa con la famiglia dentro: sei morti tra cui due bambini.

 

A leggere il “rapporto” sembrerebbe che i sandinisti siano unici ed esclusivi responsabili non solo di ogni violenza, ma persino di quella che li ha visti come vittime. Militanti uccisi e bruciati, case e veicoli incendiati, sedi istituzionali in fiamme, commissariati assaltati e poliziotti uccisi sarebbero allora evidentemente prodotto di una generale sindrome autolesionista che si sarebbe impadronita del sandinismo?

 

Nessun familiare delle vittime sandiniste è stato ascoltato, meno che mai sono entrati nei commissariati sotto assedio a chiedere alla polizia informazioni sugli avvenimenti, così come non  è stato visionato nessun documento fotografico e nessun video che indicasse con evidenza i crimini dei terroristi incappucciati. In sostanza, il “rapporto”, in barba alla enorme mole di documentazioni, vuole sostenere che gli assaltatori siano assaltati, che l’opposizione armata non esiste e che gli unici armati nel paese siano polizia e strutture del FSLN, quando è del tutto chiaro che l’opposizione politica è ormai solo sostegno indiretto a quella militare, diretta dal MRS e da alcune bande criminali.

 

Ha assunto per questo uno scarso peso in sede OEA il “rapporto”, peraltro categoricamente respinto dal governo di Managua. Tale è la sua parzialità e l’assenza di equilibrio ed oggettività, così evidentemente prodotto di un disegno politico invece che di una inchiesta destinata a scoprire la verità degli eventi, che il “rapporto” rischia di rivelarsi un boomerang.

 

Che Stati Uniti, Canada, Argentina o Colombia possano votare contro il governo nicaraguense è indipendente dal giudizio di merito su quanto accade, tanto è radicato il pregiudizio politico ostile contro i sandinisti, ma molti dei paesi che compongono l’OEA conoscono la situazione in Nicaragua e non ritengono che tra l’iniziativa golpista di una minoranza violenta e la risposta delle legittime istituzioni possano darsi ai primi le ragioni ed ai secondi i torti. Si determinerebbe un pericoloso precedente che potrebbe in futuro essere utilizzato in ogni scenario e per ogni paese.

 

Un “rapporto” così concepito si rivela quindi sostanzialmente inutile ai fini degli equilibri politici interni all’organismo continentale. Nella precedente votazione sulla mozione presentata dagli Usa per colpire il Nicaragua, i voti contrari e gli astenuti avevano superato di gran lunga i favorevoli e la linea della OEA è stata appena riconfermata dal suo Segretario Generale, Luis Almagro, che ha riaffermato come l’unica soluzione per il Nicaragua sia il dialogo e l’intesa politica accompagnata dalle riforme, ribadendo come percorribile solo il percorso di riforme già accordato con Daniel Ortega nel 2017. Almagro ha voluto poi indirizzare un messaggio chiaro alla borghesia nicaraguense ricordando che “sono i cittadini attraverso le elezioni a scegliere i governi, non le elites”.

 

Il panorama politico interno al paese centroamericano resta quindi difficile ma si va delineando con forza ogni giorno maggiore la stanchezza popolare per il clima di violenza voluto dalla destra, che isterica ed inabile al conflitto politico e capace solo di spargere odio, si trova all’angolo. Ormai i blocchi stradali resistono solo a Monimbò, un quartiere di Masaya dove con tutta probabilità hanno trovato rifugio alcuni dei dirigenti militari dell’opposizione, ma complessivamente il Nicaragua vede un quadro di scontri armati decisamente inferiore a quello di poche settimane fa.

 

Del resto senza soldi non si fanno guerre. Una buona parte degli imprenditori - tra i quali Carlos Pellas e Piero Cohen - che finanziavano le bande mercenarie hanno già chiuso i rubinetti lasciando alla famiglia Chamorro il classico cerino in mano e anche  questo aggiunge problemi e pone la destra dinanzi ad un confronto interno tutt’altro che semplice.

 

Cercava il golpe, ma ha avuto solo vandalismo e terrorismo permanente; chiedeva la cacciata immediata del governo, ma Daniel Ortega è al suo posto e lì resta; voleva truppe straniere ma ha ottenuto solo ingerenze poco convinte ed ora non nessuna idea plausibile su come uscire fuori dall’empasse. Capisce che la soluzione politica è l’unica soluzione e sa che più passa il tempo, più la popolazione isola i delinquenti. Inoltre, il rifiuto di abbandonare la violenza li penalizza, allontana la data dell’accordo e, con esso, quella sulle elezioni che dicono di volere al più presto. Ma sarà vero?

 

Difficilmente gli imprenditori e la chiesa potranno fornire il collante sufficiente a ricostruire un cammino politico. I liberali sono divisi in fazioni l’una contro l’altra, i conservatori sono sostanzialmente scomparsi e l’MRS, che pure se ultraminoritario si è fatto carico del lavoro più sporco, vorrà essere premiato, sebbene non appare credibile che la destra consegni agli ex di ogni decenza le chiavi della sua direzione politica. Poi ci sarà da sistemare le bande delinquenziali che hanno sparso il terrore agli ordini del MRS e anche qui si tratterà di vedere quale soluzione trovare e chi pagherà per tacitarli. Certo non è immaginabile che restino impuniti ma chiederanno protezione a chi li ha finanziati e diretti.

 

Insomma il dialogo mette paura ad una destra che non sa proporre altro che il prorogarsi indefinito di violenza perché completamente priva di prospettiva politica. Non dispone di nessun leader all’orizzonte ed è ingolfata di gnomi che provano a dipingersi come giganti. E non si rende conto che ogni giorno che passa non solo non compie passi avanti ma costruisce inesorabilmente ulteriore margine per la vittoria del FSLN alle prossime elezioni.

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