Tra le primarie tenute martedì negli USA, in vista delle elezioni per il Congresso di novembre, ha fatto notizia la clamorosa sconfitta di uno dei più potenti deputati del Partito Democratico, superato in maniera netta da una giovanissima candidata di origine portoricana appartenente a un movimento autodefinitosi “socialista”.

 

La 28enne Alexandria Ocasio-Cortez ha ricevuto più del 57% dei voti nelle elezioni primarie democratiche del 14esimo distretto dello stato di New York, un’area con una forte minoranza ispanica e che include i “boroughs” di Queens e Bronx della principale città degli Stati Uniti.

 

Se l’etnia di appartenenza e il programma della neo-candidata a un seggio del Congresso di Washington sembravano del tutto appropriati per l’elettorato del distretto, il peso del suo sfidante, il 56enne Joe Crowley, indicava piuttosto un nuovo facile successo di quest’ultimo. Dopo le elezioni del 2004, Crowley aveva in pratica corso come candidato unico nelle primarie democratiche. In questa occasione, come in passato, godeva poi del supporto di tutto l’apparato del partito e la sua campagna aveva a disposizione fondi pari a 1,5 milioni di dollari, contro i poco più di 300 mila raccolti dalla Ocasio-Cortez.

 

 

Crowley detiene dal 1999 un seggio alla Camera dei Rappresentanti di Washington, dove è attualmente il numero quattro nelle gerarchie della leadership democratica. Secondo i giornali americani, Crowley ambiva seriamente a rimpiazzare la numero uno del partito alla Camera, Nancy Pelosi, nel caso la deputata della California avesse deciso di farsi da parte dopo le elezioni di “metà mandato”.

 

Il New York Times ha descritto quella di Crowley come “la sconfitta più significativa per un membro del Congresso democratico in carica da oltre un decennio a questa parte” ed essa potrebbe avere conseguenze importanti sugli stessi equilibri del partito a livello nazionale. Le implicazioni a cui fa riferimento il Times hanno a che fare con un possibile rimescolamento dei vertici democratici, con la relativa emarginazione dei veterani del partito a favore di una nuova generazione, possibilmente appartenente a una minoranza etnica, di sesso femminile e di orientamento progressista.

 

La vittoria di Alexandria Ocasio-Cortez nelle primarie di martedì è senza dubbio il risultato della crescente richiesta di politiche economiche e sociali di sinistra tra le fasce più deboli della popolazione. Il fatto che la 28enne candidata di New York non sia ufficialmente iscritta al Partito Democratico, ma faccia parte dei cosiddetti “Socialisti Democratici Americani” (DSA), significa in particolare che il voto a suo favore rappresenta un chiaro rifiuto di questo stesso partito, identificato correttamente con l’establishment e con le politiche anti-sociali e guerrafondaie perseguite dalla classe politica americana.

 

La Ocasio-Cortez è impegnata nella galassia di movimenti e attivisti che nelle presidenziali del 2016 avevano appoggiato la candidatura alla Casa Bianca di Bernie Sanders. Organizzazioni vicine al senatore “democratico socialista” si sono infatti mobilitate per la sua campagna elettorale in vista delle primarie contro Joe Crowley. Nei mesi precedenti il voto, la Ocasio-Cortez aveva coerentemente rifiutato contributi elettorali di aziende private e corporations e aveva caratterizzato la sua candidatura come una sfida aperta all’establishment del Partito Democratico.

 

Nel suo programma compaiono una serie di proposte, tutt’altro che rivoluzionarie o socialiste, che trovano ampi consensi tra la maggior parte della popolazione americana, ma che sono da tempo al di fuori di qualsiasi discussione all’interno di un quadro politico spostato sempre più a destra. Tra i punti centrali della sua campagna ci sono ad esempio la creazione di un sistema sanitario pubblico universale attraverso l’espansione del programma federale Medicare e di un piano per la piena occupazione gestito dal governo. La Ocasio-Cortez ha anche criticato duramente le politiche anti-migratorie dell’amministrazione Trump, chiedendo tra l’altro l’abolizione dell’agenzia dedicata al controllo delle frontiere (ICE).

 

Le dinamiche che hanno prodotto il risultato inaspettato nelle primarie di New York non si traducono ad ogni modo in uno spostamento automatico a sinistra del Partito Democratico né, tantomeno, del baricentro politico americano. Nelle primarie delle scorse settimane, infatti, molti candidati democratici “progressisti” o appoggiati dai movimenti vicini a Bernie Sanders erano stati sconfitti, talvolta anche in maniera netta.

 

L’apparato del partito continua a essere ostile a un possibile riorientamento a sinistra della propria linea politica e, tutt’al più, cerca di cavalcare determinate battaglie popolari, come ad esempio quella a favore dei migranti, o tollera la presenza di candidati progressisti più che altro come strategia per tenere sotto controllo potenziali movimenti indipendenti provenienti dal basso. Soprattutto, le aperture “progressiste” del Partito Democratico risultano quasi sempre legate a questioni identitarie o di genere. Quelle di classe, anche se decisamente più rilevanti, sono al contrario evitate in modo scrupoloso o trattate con estrema cautela.

 

In linea generale, il Partito Democratico sta perseguendo un piano di segno diametralmente opposto nel tentativo di riconquistare la maggioranza al Congresso di Washington. I suoi leader intendono cioè consolidare l’immagine di un partito allineato all’establishment militare e dell’intelligence, coerentemente con la battaglia da destra condotta contro l’amministrazione Trump utilizzando l’arma del “Russiagate”.

 

A conferma di ciò, un numero notevole di candidati democratici in questa stagione di primarie che precedono il voto di “midterm” ha precedenti nelle forze armate, nella CIA o in altre agenzie legate alla “sicurezza nazionale”. Significativamente, poi, il curriculum di questi candidati viene ostentato come un punto di forza e non, come accadeva in passato, una sorta di macchia da nascondere o di cui parlarne il meno possibile.

 

D’altro canto, la strategia dei movimenti come il DSA, di cui fa parte Alexandria Ocasio-Cortez, non lascia intravedere prospettive troppo incoraggianti. La scelta di escludere una mobilitazione indipendente, prediligendo il coordinamento con i democratici, nel tentativo di incoraggiare e sostenere candidature progressiste al fine di cambiare dall’interno il partito, è con ogni probabilità destinata alla sconfitta, visto anche il livello di integrazione di esso con il sistema economico-finanziario e di potere americano.

 

Alcuni segnali, come quello di martedì a New York, indicano comunque una tendenza positiva nell’elettorato americano. Oltre al successo della Ocasio-Cortez, questa tornata di primarie ha visto il successo di almeno altri due candidati democratici considerati “progressisti”. In Colorado, il deputato Jared Polis ha ottenuto la nomination per le elezioni a governatore dello stato, mentre per la stessa carica in Maryland ha prevalso l’ex presidente dell’associazione a difesa dei diritti civili NAACP, Ben Jealous.

 

Per quanto riguarda ancora Alexandria Ocasio-Cortez, la sua vittoria nelle primarie le dovrebbe garantire quasi certamente un seggio al Congresso nella sfida di novembre con il candidato repubblicano, Anthony Pappas. Il suo distretto è infatti a larga maggioranza democratico, come conferma il fatto che i repubblicani furono in grado di raccogliere appena il 17% dei consensi nell’ultimo appuntamento elettorale del 2016.

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