Una prova di forza impressionante. Una dimostrazione di come il Frente Sandinista abbia il pieno controllo del paese e di quanto il popolo nicaraguense s’identifichi con il governo è andata in scena ieri in tutto il Nicaragua, dove in ogni singola provincia moltitudini di sandinisti hanno festeggiato il 19 Luglio. E’ stata una esibizione muscolare del FSLN che ha voluto rimettere cose e persone al loro posto; una mobilitazione che ha inteso inviare un messaggio di forza netto e diretto a tutti, dentro e fuori il Paese.

 

A Managua, alla presenza del Ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez, e di quello venezuelano, Jorge Arreaza, e del Nunzio papale e d tutto il corpo diplomatico accreditato, oltre 500.000 persone hanno partecipato alla manifestazione conclusa dal Presidente Daniel Ortega.

 

Il Comandante Sandinista ha ricordato fasi e rivelato retroscena inediti degli avvenimenti che hanno accompagnato il tentativo di colpo di stato, denunciando con forza l’orrore del terrorismo golpista e la complicità delle gerarchie ecclesiali, che invece di favorire il dialogo offrivano ridicoli ultimatum al governo. Gerarchie cattoliche alle quali ha ripetutamente chiesto di rettificare l’atteggiamento, di emarginare le spinte golpiste che provengono da alcuni dei suoi vescovi e parroci, che hanno Cristo nelle parole e Somoza nei cuori. E seppure il golpe è fallito e la destra con i suoi padrini e padroni sia in ritirata, Daniel ha invitato il sandinismo a “non abbassare la guardia” per garantire agibilità politica e sicurezza fisica della comunità sandinista.

 

 

Nemmeno un accenno da parte del presidente alla risoluzione dell’OEA della vigilia, anche perché il valore oggettivo della stessa non meritava lo scenario straordinario di una piazza come quella di ieri. Ma, forse, non è stata criticata proprio perché, sebbene non sia amichevole nei confronti del governo, per quanto sia ingiusta, pregiudizievole e frutto della volontà imperiale statunitense, non rappresenta comunque un problema per il governo, mentre invece, paradossalmente, ne crea alcuni al golpismo.

 

A leggerla in controluce, infatti, pur priva di valore giuridico, trattandosi solo di un atto politico che il Nicaragua, nella sua sovranità, deciderà se adottare o minimizzare o, addirittura, ignorare, la risoluzione è delude la destra nicaraguense. Perché essa, nonostante il lavoro di lobby dei terroristi nicaraguensi a Washington, non ha potuto assumere quanto chiesto.

 

Seppure critica sull’operato del governo nicaraguense - che evidentemente avrebbe dovuto lasciare che la devastazione e i massacri continuassero senza muovere un dito - la risoluzione  condanna “tutti gli atti di violenza” per poi specificare “compresi quelli commessi dalla polizia”. Il che significa che il racconto di manifestanti pacifici (“angioletti” come li definisce il vescovo somozista Silvio Baez) attaccati dalla polizia è ormai improponibile persino per la OEA. Che, anzi, invita a “perseguire i responsabili di violenze con i corrispondenti procedimenti giudiziari”, cosa che la Polizia Nazionale e la magistratura stanno facendo.

 

Anche la gerarchia ecclesiale storce il naso: da “mediatrice” o “testimone” viene ridotta a “partecipe” nel dialogo nazionale. E’ una presa di distanza importante, che la si misura anche nel merito del negoziato (al punto 4). Sulle elezioni anticipate, infatti, l’atteggiamento ultimativo delle gerarchie cattoliche viene sconfessato: non c’è adesione alla sua richiesta perentoria di elezioni entro il marzo 2019 ma ci si riferisce ad un “calendario elettorale da definire congiuntamente nell’ambito del dialogo nazionale”.

 

La gerarchia ecclesiale nicaraguense, dominata dall’animo somozista di Baez, Mata e Alvares, paga le prove, che testimoniano incontrovertibilmente il loro ruolo di direzione politica del golpe e non di mediatori. L’impianto ideologico della CEN è emerso ovunque: negli atteggiamenti verso il governo (tipici dell’interlocuzione avversa e non della mediazione); nei confronti dei golpisti (ai quali è stata offerta copertura e sostegno diretto nei momenti in cui dovevano ritirarsi); nell’indifferenza verso le vittime sandiniste (per le quali la chiesa non è mai intervenuta). Ad una donna che chiedeva come mai non fossero corsi anche per salvare suo figlio, sandinista, il Cardinale Brenes ha risposto: “Non ho tempo”.

 

La fuga delle gerarchie ecclesiali da Diriamba resta l’immagine simbolica del mutamento intervenuto in questa crisi nella relazione tra chiesa e popolo. La Chiesa paga l’incapacità di gestione politica di un ruolo che avrebbe avuto bisogno di neutralità autentica, di sostegno alla ricerca della pace, di lucidità politica ed abilità negoziale e non di furia ideologica di farisei somozisti in tonaca. Ma la partecipazione diretta al golpe, l’affiancamento politico al M19 e persino l’orrido contributo diretto di alcuni suoi sacerdoti alle torture nei confronti dei sandinisti prigionieri delle maras (evidenziato da decine di video ed immagini ndr), hanno seppellito il ruolo politico dei vescovi e anche il rispetto e l’affetto che la gran parte della popolazione nutriva nei loro confronti.

 

Solo una operazione di profonda ristrutturazione interna alla Conferenza Episcopale Nicaraguense, che veda tanto il cambio di posizione politica quanto l’emarginazione delle figure più compromesse con il terrorismo golpista, può far riavvicinare i fedeli alla chiesa e far tornare la stessa a svolgere un ruolo importante nella vita del Paese.

 

Anche per la destra la prova di forza del sandinismo ieri avrà ripercussioni interne. Parallelamente alla grande mobilitazione sandinista, c’è da registrare come il crescente isolamento del golpismo si fosse già manifestato in occasione dei due scioperi nazionali miseramente falliti e da una “catena della pace” che si prevedeva “vulcanica” ma che ha coinvolto solo 3-400 persone. In tre mesi di terrore ed insolenza, di menzogne e spudoratezza, il capitale politico di cui disponeva la destra é divenuto un ricordo. Ed è perfettamente inutile concentrarsi sul piano internazionale, perché quando i rapporti di forza nel paese sono quelli esibiti ieri, le posizioni internazionali lasciano il tempo che trovano.

 

Quel che resta è una destra divisa, ormai priva di consenso popolare ed alle prese con rese dei conti interne e che vede ridursi seriamente lo spazio negoziale che avrebbe avuto nei primi giorni della protesta. L’illusione che li ha rovinati è stata quella di credere che l’odio e il denaro avrebbero avuto la meglio su quello che loro ritenevano un sandinismo ormai accomodato e non più belligerante, su un FSLN diviso e distratto, capace solo di drenare voti. Ciò ha generato l’illusione che sarebbe bastata una spallata, una campagna militare basata sul terrore, per portare ad uno stato d’ingovernabilità  che avrebbe determinato la caduta del governo e, con lui, del FSLN.

 

Errore macroscopico, frutto di imperizia politica e di incapacità di leggere il paese. Cattiva valutazione di chi sogna i mercati azionari ma non mette piede in quelli rionali. Incapaci di capire il Nicaragua e il FSLN, hanno creduto al racconto pettegolo di un sandinismo che volevano compiaciuto e satollo, ormai impegnato solo nell’imprenditoria. Si sono scambiate le chiacchiere al rum nei club esclusivi e nelle case di lusso di Managua per la realtà socio-culturale del paese. Hanno ipotizzato un distacco crescente tra i quadri storici del FSLN ed il governo attuale, come se ogni opinione o qualunque malumore potessero trasformarsi in un abbandono o un tradimento, come se i sandinisti fossero tutti concepiti sul modello MRS.

 

Ma l’agenzia del rancore e dell’odio che va sotto il nome di MRS è solo un aggregatore di rabbia senza prospettiva; la sua cupola è composta dalla borghesia nicaraguense (Cuadra, Chamorro, Cardenal, Belli etc.), fu sandinista quando c’era da governare e divenne destra quando la destra arrivò al governo. Tra i suoi nuovi amici annovera i i nazisti di Arena in El Salvador e ha dimostrato di non valere politicamente nemmeno il 2 per cento del quale è accreditato.

 

Invece il FSLN ha dimostrato di essere più unito e vivo che mai, di essere capace di sprigionare una forza politica e militare all’altezza di ogni sfida, di essere capace di salvaguardare Costituzione e Istituzioni, di saper tenere insieme governanti e governati, di essere in grado di tenere il Paese in sicurezza e di riconoscere nella figura del suo Comandante di sempre, Daniel Ortega, una leadership inattaccabile e di altissimo profilo.

 

A ricordare i rispettivi pesi e misure, storia e destini, valori e ideali, trentanove anni dopo quel 19 Luglio del 1979, quando l’entrata a Managua dei Sandinisti cancellava per sempre la dittatura somozista, ieri una piazza ancor più grande ha voluto ribadire che Nicaragua e Sandinismo sono come madre e figlio e ha voluto avvertire il somozismo di ritorno, comunque si chiami oggi, che potranno morire di rancore e nostalgia, ma non torneranno.

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