Le Nazioni Unite non ritengono il Nicaragua un “caso” su cui discutere e deliberare. Smentendo l’attività dei suoi solerti funzionari che hanno stilato un rapporto sulla base di quanto dettato dall’opposizione e dai suoi finti organismi per i diritti umani, il Consiglio di Sicurezza ha respinto la richiesta USA di discutere della situazione in Nicaragua. E’ una solenne sconfitta per i piani d’ingerenza statunitensi e rappresenta anche una sostanziale smentita dell’attività di alcuni funzionari ONU e OEA che, invece di investigare i fatti, elaborano progetti politici.

 

La vittoria diplomatica nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU rappresenta un ostacolo oggettivo per i golpisti e per la strategia statunitense che vuole esercitare una pressione internazionale tale da mettere il Presidente Ortega sulla difensiva. Il governo però, dopo aver dato segno di disponibilità nell’accogliere delegazioni delle diverse istituzioni internazionali ed aver ricevuto in cambio ostilità politica preconcetta e scorrettezza nei procedimenti investigativi, ha deciso di rendersi indisponibile ad una sorta di osservazione speciale, ipocrita e di parte, esigendo il riconoscimento delle istituzioni nicaraguensi e il rispetto della sua sovranità nazionale imprescindibili nelle relazioni internazionali.

 

Nel frattempo, a Managua, mentre a parole la destra golpista e la chiesa chiedono la riapertura del dialogo nazionale, con singolare simultaneità, l’arrivo di 1,5 milioni di dollari provenenti dalla USAID e destinati al MRS, ha coinciso con il rigurgito di incidenti ed atti di teppismo nel corso di una manifestazione della cosiddetta Alleanza Civica a Managua. Ma se quest’ultima provocazione doveva essere la dimostrazione che la contesa politica è ancora viva, l’appuntamento è fallito. E’ servita solo a dimostrare come il legame tra i proclami dell’Alleanza Civica e i delinquenti che si scatenano nelle strade siano strutturali e non circostanziali.

 

Il Paese è in cammino verso la piena normalità. Il governo ha dato il via all’unico dialogo nazionale possibile, definito “cammino della riconciliazione”, ovvero assemblee popolari ovunque dove gli esponenti religiosi, se vorranno, potranno partecipare e contribuire. Parallelamente si svolgeranno le assemblee per la sicurezza tra le popolazioni e la polizia nazionale, mentre la Procura Generale della Repubblica continuerà ad assegnare i titoli di proprietà alle famiglie aventi diritto. Sostegno pieno all’iniziativa da parte degli evangelici: il loro presidente, Miguel Angel Casco, ha elogiato “il dialogo tra il popolo” ed ha affermato che “con i distruttori e i golpisti non si deve dialogare. I golpisti dicono di amare il Nicaragua ma preferiscono vederla distrutta in mille pezzi piuttosto che governata dal Frente Sandinista, a causa dell’odio malato che abita nei loro cuori”.

 

A rendere impraticabile il dialogo richiesto dalla destra, vi sono le condizioni poste che non tengono minimamente conto della situazione nel Paese. Nella recente lettera dei golpisti al Presidente Ortega, si chiedeva la ripresa del dialogo con la Chiesa nel ruolo di mediatrice, la liberazione dei delinquenti arrestati (trasformati per l’occasione in prigionieri politici) e l’anticipazione delle elezioni. Esattamente quanto chiesto in Aprile, a parte l’abbandono del paese da parte del Presidente. Come se nel mentre il golpe non fosse stato schiacciato, come se la maggior parte della cupola golpista non fosse già scappata tra USA e Costa Rica, come se la fantomatica Alleanza, della quale non si conoscono numeri, rappresentanza e riferimenti, fosse un interlocutore credibile.

 

Le richieste dimostrano che il dialogo è per l’opposizione un asset di propaganda per acquisire un ruolo politico al fine di smuovere i portafogli stranieri e il governo, comprensibilmente, non ha risposto. La propaganda sfacciata non ha a che vedere con il dialogo. D’altra parte perché esso potesse ipotizzarsi nella forma fin qui conosciuta sarebbe necessaria la presenza di almeno tre attori: il governo, l’opposizione e i mediatori che mediano tra i due poli. Il governo c’è, è evidente. Ma gli altri soggetti sono in grado di rappresentare i loro ambiti?

 

L’opposizione

Divisa al suo interno, non ha identità, non esprime un blocco politico riconoscibile e riconosciuto. Non ci sono partiti che, forti del loro insediamento sociale ed elettorale, legalmente rappresentati nelle istituzioni, possano sedersi al tavolo. I liberali sono due partiti in guerra tra loro. I conservatori sono ridotti a percentuali ridicole. I partiti che si sono presentati alle elezioni in opposizione al Frente sono accusati dalla stessa destra golpista di essere stati al giogo dei sandinisti. Quindi con chi dialogare?

 

L’MRS è una organizzazione di ultradestra golpista diretta da esponenti delle famiglie ricche del paese (Cuadra, Chamorro, Belli, Cardenal etc..). Furono sandinisti quando il Fsln governava e smisero di esserlo quando finì all’opposizione e oggi provano a riconsegnare il Paese alle loro famiglie oligarchiche. Il loro programma è solo odio e rancore.  Godono dell’appoggio statunitense ed europeo, sono uno dei maggiori collettori di denaro e relazioni e proprietari occulti delle diverse ONG, fondate allo scopo di ottenere appoggi internazionali e denaro. Ma rappresentano al massimo il 2% dell’elettorato e di conseguenza è difficile cucirgli un ruolo politico che gli stessi liberali non gli riconoscono.

 

Gli imprenditori

Il Cosep? Rappresenta le aziende che producono il 30% del PIL, che per il 70% è prodotto da chi del Cosep non fa parte, ovvero dalle micro imprese, cooperative e piccole società e lavoro informale. La stessa incidenza delle imprese straniere nelle zone franche supera di gran lunga, per occupazione e investimenti, il valore delle associate Cosep. Benché la gestione di questi mesi sia stata disastrosa, generando una pesante sconfitta politica e d’immagine e perdite multimilionarie che hanno prodotto oltre 3000 licenziamenti, il direttivo ha appena confermato Aguerri come presidente e addirittura promosso Healy a vice. Con ciò confermando la linea golpista fin qui seguita, che pone gli imprenditori oltre il margine possibile di ogni dialogo.

 

Nelle scelte dell’associazione hanno certamente inciso le pressioni statunitensi, che con la Nica Act (legge che ordina agli USA di bloccare i prestiti degli organismi internazionali al Nicaragua) votata dal Congresso e in attesa del voto al Senato e la piratesca legge Magnitsky (sanziona a totale capriccio degli USA ipotetici “corrotti”, come del resto già succede con “terroristi” e “violatori di diritti umani”, tutti guarda caso avversari di Washington ndr) hanno contribuito a determinare un brusco cambio di rotta per chi, con il governo di riconciliazione, aveva ottenuto diversi vantaggi e a cui, fino a 10 giorni prima del tentato golpe, gli riconosceva successi straordinari, guardandosi bene dal definirlo una “dittatura”.

 

Ma la secolare dipendenza dai voleri statunitensi, la naturale inclinazione verso la dimensione di colonizzati dall’esterno e padroni verso l’interno, il noto fastidio per il concetto di patria e di sovranità nazionale, ha riproposto il ruolo del Cosep nella sua versione storica. I cosiddetti imprenditori nicaraguensi sono sempre stati solo latifondisti e burguesia compradora. Non dispongono di nessuna idea di come sviluppare il Paese che non sia la consegna della sua economia nelle mani del latifondo e l’inginocchiamento di fronte a Washington, nessuna idea di modernizzazione, bensì la riedizione del rapporto schiavistico senza nemmeno curarsi della dimensione 2.0.

 

Del resto hanno governato per 16 anni il paese e, nonostante la condonazione del suo debito e i massicci aiuti economici venuti da USA ed Europa, lasciarono il Nicaragua in un abisso: corruzione ai massimi livelli, saccheggio delle risorse pubbliche, assenza di elettricità, istruzione e salute pubblica, infrastruttura viaria vicina al collasso, insicurezza diffusa e reddito procapite pari a quello di Haiti, il paese più povero dell’intero continente americano. Proprio in considerazione di ciò il popolo nicaraguense si guarda bene dall’andargli dietro.

 

La Chiesa

Quanto alla Chiesa, che ormai divide con le comunità evangeliche la leadership religiosa, la sua credibilità è totalmente compromessa, visto il sostegno ai gruppi golpisti. Solo il Nunzio inviato da Papa Francesco potrebbe sedere in un ipotetico dialogo. Non è possibile, infatti, far partecipare i somozisti Baez, Alvarez o Mata in rappresentanza della chiesa.

 

Sono stati istigatori di odio al riparo dell’immunità diplomatica, alcuni loro sottoposti hanno partecipato direttamente alle operazioni paramilitari ed altri persino alle torture dei sandinisti prigionieri. La copertura politica, logistica e mediatica che le gerarchie ecclesiali hanno offerto al tentato colpo di stato ne rende oggettivamente  impossibile qualunque loro ruolo di mediazione. Non sono mediatori, sono parte integrante e attiva della strategia golpista.

 

Di quale dialogo si parla?

Appare quindi strumentale la richiesta dell’opposizione di aprire di nuovo il tavolo del dialogo nazionale. Il Presidente Ortega, sin dalla vittoria elettorale del 2006, aveva stabilito una modalità di governo basata sul dialogo e sulla concertazione tra le diverse forze sociali (sindacati, imprese, governo) in considerazione della necessità storica di chiudere con le scorie del conflitto armato e del sottosviluppo cronico del Paese.

 

Ed effettivamente così avvenne: quel modello di governance ridusse al minimo il conflitto sociale, stabilì le fondamenta della sovranità energetica ed alimentare (oggi il Nicaragua produce la maggior parte dell’energia che utilizza e del cibo che consuma) e diede il via alla più grande opera di modernizzazione del Paese che, solo per citare un dato tra i tanti, pone il Nicaragua al sesto posto su 144 nel Gender gap report 2017 del Foro Economico Mondiale.

 

Nonostante l’intento golpista di Cosep, destra e Chiesa, un tavolo di conciliazione e mediazione era stato proposto dal governo anche nei primi giorni della crisi, nella speranza che fermare gli scontri potesse essere tema caro a tutti. Venne però rifiutato, tanto dai golpisti in abiti civili come da quelli in tonaca. Furono infatti gli esponenti del M19 a dichiarare, nella prima riunione, che erano disposti solo ad accettare dimissioni e fuga del governo e fu la Chiesa a sospenderlo unilateralmente contro il parere del governo. Riproporlo ora che si è perso, dopo averlo rifiutato quando si sperava di vincere, non è serio.

 

Il dialogo non è una passerella mediatica, bensì un momento decisivo per una politica di concertazione; ha valore politico sistemico di per sé e non può diventare un autobus della propaganda su cui salire o scendere a piacimento. Proprio quel modello di governo, che aveva nel dialogo tra le parti sociali una leva determinante, è stato la prima vittima del tentativo di colpo di stato. All’ordine del giorno c’è il recupero della tranquillità e della pace e la ripresa dell’economia danneggiata dai golpisti, non la legittimazione del golpismo con una passerella mediatica per battere cassa a Washington e Miami.

 

Il tempo necessario a curare le ferite e a depurare l’aria dall’odio dei golpisti stabilirà le condizioni per il confronto politico interno al paese. Il Nicaragua riprende la strada interrotta verso il suo sviluppo, ma ricominciare a camminare non comporta chiudere gli occhi e guardare al futuro non implica dimenticare il passato. Riconciliazione quindi, ma non impunità: questa è la strada su cui l’idea di nazione sfiderà e sconfiggerà, come sempre in passato, l’ossessione statunitense di una impossibile annessione.

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