Un clamoroso scontro pubblico tra la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il capo dei servizi segreti federali (BfV), Hans-Georg Maassen, sta provocando in questi giorni nuove pericolose tensioni all’interno del sempre più fragile governo di “grande coalizione”. Soprattutto, la vicenda che ha portato al licenziamento di Maassen o, per meglio dire, alla sua promozione, ha mostrato ancora una volta i legami tra l’intelligence tedesca e gli ambienti di estrema destra, così come il costante spostamento a destra del baricentro politico della prima potenza economica europea.

 

 

Le frizioni tra Maassen e la Merkel erano note da tempo ed erano emerse pubblicamente nel 2015, quando il numero uno del servizio segreto domestico della Germania aveva criticato le politiche governative di accoglienza dei migranti perché ritenute troppo accomodanti.

 

Il conflitto tra i due è alla fine esploso nei giorni scorsi, quando Maassen ha rilasciato un’intervista al magazine Bild sugli scontri avvenuti alla fine di agosto nella città di Chemnitz, già Karl-Marx-Stadt, nella Germania orientale. Per alcuni giorni, la città è stata attraversata da manifestazioni neo-fasciste, con gruppi di estrema destra protagonisti di inseguimenti, pestaggi e altri atti di violenza nei confronti di stranieri e attivisti di sinistra dopo l’accoltellamento di un cittadino tedesco, presumibilmente per mano di tre rifugiati.

 

Maassen, in particolare, aveva messo in dubbio l’autenticità di un filmato in cui un gruppo di manifestanti inseguiva degli immigrati urlando slogan razzisti. Allo stesso video, giudicato più che attendibile, aveva fatto riferimento in precedenza la cancelliera durante un intervento per denunciare i fatti di Chemnitz. Inoltre, Maassen aveva definito “omicidio” l’accoltellamento che aveva scatenato i disordini, anche se l’indagine avviata dalla procura di Dresda parlava soltanto di “omicidio colposo”.

 

Le parole del presidente del BfV avevano provocato proteste soprattutto a Chemnitz, ma anche scatenato pesanti critiche e polemiche tra la classe politica, col risultato di sottolineare ulteriormente le divisioni nell’esecutivo. Il Partito Socialdemocratico (SPD), partner di coalizione della Merkel, aveva chiesto la testa di Maassen, mentre il ministro dell’Interno cristiano-sociale (CSU), Horst Seehofer, atteso da una delicata elezione in Baviera il prossimo ottobre, si era esposto per difenderlo, rivendicando le competenze del suo dicastero sull’agenzia di intelligence.

 

Il compromesso tra i leader dei tre partiti della “grosse Koalition” è stato alla fine una farsa che, oltre a coprire di ridicolo il governo, ha servito un nuovo assist all’estrema destra tedesca. Maassen è stato infatti rimosso dal suo incarico, come volevano i suoi critici, ma invece di essere licenziato è stato promosso a una posizione più prestigiosa e meglio pagata, diventando di fatto il vice ministro dell’Interno.

 

Non solo, il nuovo incarico gli darebbe il potere di supervisione sul BfV, anche se il governo ha affermato di avere privato Maassen di questa autorità. Visti i buonissimi rapporti tra quest’ultimo e il ministro Seehofer, di cui sarà in pratica il braccio destro, è tuttavia improbabile che rimanga del tutto estraneo a quanto accade nel servizio segreto domestico.

 

Alla luce delle inclinazioni di Maassen, anzi, la sua promozione favorisce senza dubbio l’integrazione dell’estrema destra tedesca e, nello specifico, il partito Alternativa per la Germania (AfD), nelle istituzioni dello stato federale.

 

Un’altra vicenda che aveva messo l’ex capo dell’intelligence al centro di un polverone politico erano stati i suoi incontri con i leader dell’AfD, durante i quali è possibile abbia condiviso informazioni riservate, probabilmente su indagini o operazioni relative a membri del partito neo-fascista.

 

In due occasioni, nel novembre 2015, quando l’AfD non aveva ancora deputati in parlamento, si era incontrato con l’allora leader, Frauke Petry. In seguito, con il suo successore, Alexander Gauland, e l’attuale presidente della commissione Giustizia del “Bundestag”, Stephan Brandner.

 

Quest’ultimo ha confermato di avere discusso con Maassen del rapporto annuale del BfV sulle minacce alla sicurezza della Germania. In esso sarebbero state poi escluse molte formazioni neo-fasciste, incluse quelle vicine all’AfD, ma inclusi invece movimenti di sinistra e anti-fascisti.

 

Nei sei anni alla guida del BfV, o Ufficio Federale per la Difesa della Costituzione, Hans-Georg Maassen ha d’altra parte operato a difesa dell’estrema destra e per la sua promozione nel panorama politico “mainstream” tedesco. La sua condotta è stata esattamente contraria al mandato di riforma che aveva ottenuto dal governo nel 2012, quando i servizi segreti interni erano usciti profondamente screditati dallo scandalo legato alla cellula terroristica di estrema destra Clandestinità Nazionalsocialista (NSU).

 

Numerosi agenti del BfV erano attivi in questi ambienti e avevano contribuito materialmente agli omicidi commessi dai suoi membri. I vertici dell’intelligence, una volta emerse le circostanze, avevano cercato di insabbiare le indagini e, alla fine, il predecessore di Maassen era stato costretto alle dimissioni.

 

La carriera di Maassen fino alla guida del BfV, ad ogni modo, sembra essere stata favorita proprio da quella che il giornale tedesco Der Spiegel chiama una “reputazione di ultra-conservatore”, già ben nota al ministero dell’Interno prima del 2012. Queste tendenze erano chiare addirittura almeno dal 1997, quando venne pubblicata la sua tesi di dottorato in legge che conteneva svariate opinioni e teorie contro l’immigrazione tipiche della destra xenofoba e neo-fascista.

 

Tutto ciò indica in maniera inquietante gli sforzi della classe politica tedesca di promuovere l’estrema destra all’interno delle strutture di potere, in particolare nei servizi di sicurezza, evidentemente in funzione di controllo delle tensioni sociali e della minaccia del dissenso proveniente da sinistra.

 

Al di là della retorica anti-fascista e anti-nazista dei tradizionali partiti tedeschi, in questi ultimi anni l’estrema destra in Germania è stata per molti versi integrata nel panorama politico ufficiale. La SPD, la CSU e la CDU della Merkel hanno ad esempio promosso esponenti dell’AfD a incarichi di rilievo in Parlamento, inclusa la direzione di alcune importanti commissioni.

 

Il programma della “grande Coalizione” ora al governo include poi non pochi elementi più o meno direttamente riferibili a quello dell’AfD e della galassia di estrema destra, a cominciare dalla stretta sull’immigrazione con la nascita, tra l’altro, di veri e propri campi di internamento per i rifugiati, previsti dal recente “piano Seehofer”.

 

Tutt’altro che casualmente, queste dinamiche si manifestano in parallelo con il riemergere delle ambizioni da grande potenza della classe dirigente tedesca, evidenti dalla campagna militarista in atto e dai nuovi ingenti stanziamenti per espandere le forze armate del paese, ma anche dai propositi di partecipazione attiva ai conflitti internazionali, come accaduto in queste settimane in merito alla crisi siriana.

 

L’affare Maassen, nelle parole del network pubblico Deutsche Welle, rappresenta dunque una “grande vittoria” soprattutto per l’AfD e a consegnarla è stato in primo luogo il Partito Socialdemocratico. Dietro l’apparente intransigenza sulla rimozione del capo dell’intelligence c’è in realtà la sostanziale arrendevolezza di questo partito di fronte alla CSU e all’estrema destra.

 

L’atteggiamento della SPD rivela il panico per un possibile ritorno alle urne in tempi brevi a causa di una rottura nel governo di coalizione. Come hanno evidenziato i giornali tedeschi, i socialdemocratici si trovano infatti in una posizione estremamente delicata. Da un lato, qualsiasi compromesso con CSU e CDU non fa che alimentare le divisioni interne e l’alienazione della sua base elettorale teorica, mentre dall’altro uno scontro con i partner di governo potrebbe portare direttamente al voto anticipato e costringere la SPD a fare i conti con un livello di consenso nel paese sceso ormai ai minimi storici.

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