Fino a un paio di settimane fa, la ratifica da parte del Senato americano della nomina a nuovo giudice della Corte Suprema del giurista di estrema destra, Brett Kavanaugh, sembrava dover essere una semplice formalità. Un’accusa di molestie sessuali risalente a 36 anni fa ha invece messo in discussione il prescelto del presidente Trump, i cui guai, con l’approssimarsi delle elezioni di “metà mandato”, rischiano anche di aggravare la situazione della Casa Bianca e del Partito Repubblicano, già costretti a fare i conti con un gradimento in picchiata e la prospettiva di perdere il controllo del Congresso di Washington.

 

 

Kavanaugh era stato selezionato da Trump per sostituire il giudice Anthony Kennedy dopo che quest’ultimo aveva annunciato il suo ritiro dal più altro tribunale americano nel mese di giugno. L’importanza di questo avvicendamento è da collegare alla posizione ideologica di Kennedy, considerato come l’ago della bilancia in molti casi cruciali all’attenzione di una Corte Suprema fino ad ora spaccata tra un blocco reazionario e un altro di orientamento più moderato. La nomina del 53enne Kavanaugh garantirebbe la formazione di una maggioranza di cinque giudici ultra-conservatori per molti anni a venire, con la possibilità di demolire una serie di precedenti sentenze e diritti democratici acquisiti, a cominciare da quello dell’accesso all’interruzione di gravidanza.

 

A stravolgere un iter di nomina che prevedeva un voto di conferma da parte della commissione Giustizia del Senato già settimana scorsa, è stata la pubblicazione di una lettera indirizzata da una docente della California ad alcuni membri del Congresso democratici, tra cui la senatrice Dianne Feinstein, membro della stessa commissione che aveva da poco ospitato le audizioni di routine del giudice nominato.

 

La donna, Christine Blasey Ford, sostiene di essere stata vittima di un tentativo di stupro durante una festa nell’estate del 1982 a cui aveva partecipato anche il giovane Kavanaugh. I due frequentavano all’epoca lo stesso liceo in un sobborgo di Washington, nello stato del Maryland. Il futuro giudice federale e un suo amico, Mark Judge, erano nella stanza dell’abitazione privata in cui sarebbero avvenuti i fatti denunciati dalla dottoressa Ford, ma fu Kavanaugh a cercare di violentare l’allora teenager prima di riuscire a liberarsi e fuggire.

 

La denuncia della presunta vittima era avvenuta già alla fine di luglio, ma era rimasta segreta per il suo desiderio di non rendere pubblica la vicenda e il timore di vedere inevitabilmente stravolgere la propria vita da un giorno all’altro. Nel mese di settembre, però, il nome di Christine Blasey Ford minacciava di trapelare alla stampa e l’accusatrice di Kavanaugh ha alla fine deciso di venire allo scoperto, innescando un polverone politico attorno alla sua nomina alla Corte Suprema.

 

Il caso ha subito monopolizzato l’attenzione dei media americani, soprattutto perché ha finito per saldarsi con il movimento “#MeToo”, cioè la sorta di caccia alle streghe che negli ultimi mesi ha messo alla gogna numerose personalità pubbliche accusate di ogni genere di molestie sessuali, quasi sempre in base alle sole testimonianze delle presunte vittime.

 

I guai improvvisi di Brett Kavanaugh hanno anche dato un’occasione inaspettata ai politici democratici per aprire un nuovo fronte d’attacco contro un presidente già sotto l’assedio del cosiddetto “Russiagate”. La speranza per gli oppositori del presidente è ora che la nomina di Kavanaugh salti del tutto o che venga congelata in attesa degli sviluppi delle recenti accuse. In particolare, lo scandalo potrebbe favorire ancora di più i democratici nel voto di novembre e, in caso di cambio di maggioranza al Congresso, questi ultimi potrebbero avere un peso decisivo nella scelta di un altro candidato alla Corte Suprema da parte di Trump.

 

Dopo un tira e molla di alcuni giorni, i legali della dottoressa Ford e i leader repubblicani si sono accordati per una testimonianza della loro assistita di fronte alla commissione Giustizia del Senato nella giornata di giovedì, quando apparirà nuovamente anche lo stesso Kavanaugh. L’accusatrice del candidato alla Corte Suprema sembrava in precedenza volersi sottrarre a questa incombenza, viste le pressioni a cui rischia di andare incontro, e chiedeva un’indagine preliminare da parte dell’FBI sui fatti del 1982. I repubblicani avevano però scartato questa ipotesi, poiché avrebbe ritardato forse anche di mesi il procedimento di conferma di Kavanaugh, e minacciato invece di procedere con un voto di conferma in tempi brevi.

 

La dottoressa Ford, probabilmente su consiglio diretto o indiretto della leadership democratica, ha allora accettato di apparire al Senato, anche perché non è chiaro su cosa avrebbe potuto basarsi un’eventuale indagine a 36 anni di distanza dai fatti denunciati se non sulla raccolta di deposizioni di possibili testimoni della festa di liceo dell’estate del 1982.

 

L’audizione di giovedì rischia di riprodurre lo scenario della conferma della nomina nel 1991 di Clarence Thomas, oggi giudice di estrema destra della Corte Suprema e all’epoca anch’egli accusato di molestie sessuale dalla docente di legge Anita Hill. Quest’ultima era stata sottoposta a un duro interrogatorio da parte dei senatori, tutti di sesso maschile, della commissione Giustizia, suscitando l’indignazione dei movimenti a difesa dei diritti delle donne. In seguito, le accuse rivolte dalla Hill al giudice Thomas sarebbero state considerate quasi universalmente veritiere e, anche per queste ragioni, i leader repubblicani, pur cercando di salvare la nomina di Kavanaugh, intendono oggi assumere un atteggiamento più cauto nei confronti della dottoressa Ford.

 

La posizione del giudice selezionato da Trump si è fatta però ancora più delicata nelle ultime ore. Almeno altre due accuse sono emerse in rapida successione e rischiano di far precipitare la situazione per la Casa Bianca e la leadership repubblicana. Queste ultime rivelazioni sollevano comunque parecchie perplessità, al di là delle possibili inclinazioni del giovane Kavanaugh.  Il New Yorker ha ad esempio scritto di una ex compagna di università a Yale che accusa il giudice di averla molestata da ubriaco all’interno di un dormitorio.

 

Addirittura, l’avvocato della porno star Stormy Daniels, che sarebbe stata pagata da Trump per tacere di una passata relazione con il presidente, ha sostenuto di avere le prove del fatto che Brett Kavanaugh fomentava e partecipava a stupri di gruppo durante gli anni del liceo. Le motivazioni per quest’ultima accusa sono evidenti, alla luce dell’accesa disputa tra l’attrice di film per adulti e il presidente americano, mentre quella sollevata dall’articolo del New Yorker non risulta al momento supportata da altre testimonianze di ex studenti di Yale che potrebbero essere a conoscenza dei fatti.

 

Dal momento che tutte queste accuse risalgono a oltre tre decenni fa e hanno poche o nessuna possibilità di essere indagate né tantomeno provate, è evidente che la sorte di Kavanaugh sarà decisa da questioni e calcoli esclusivamente di natura politica. I democratici hanno deciso in maniera deliberata di fare dello scandalo attorno al giudice in pectore della Corte Suprema un argomento a favore della loro campagna elettorale per il voto di “midterm”.

 

Questa strategia non ha nulla di democratico o progressista, nonostante le posizioni giuridiche autenticamente ripugnanti del giudice Kavanaugh. Per cominciare, le accuse a suo carico restano tali e, come per praticamente tutti coloro che sono finiti in questi mesi nella rete del movimento “#MeToo”, non dimostrate con prove indiscutibili né giudicate da un tribunale.

 

Se il principio della presunzione di innocenza sembra in questi casi invertirsi clamorosamente, l’atteggiamento dei politici democratici è vergognoso anche per un’altra ragione. Il partito oggi all’opposizione al Congresso si è infatti mobilitato con tutte le proprie forze, tanto da essere sul punto di far naufragare una nomina alla Corte Suprema che appariva ormai inevitabile, solo quando sono emerse le accuse di molestie sessuali, mentre non aveva in sostanza mosso un dito per ostacolare la candidatura di Kavanaugh sulla base delle sue idee classiste e anti-democratiche e della sua carriera legale al servizio dei poteri forti.

 

Brett Kavanaugh è un giudice della Corte d’Appello di Washington, ovvero il secondo tribunale più influente degli Stati Uniti dopo la Corte Suprema, e in questo come in altri incarichi che ha ricoperto, tra cui all’interno dell’amministrazione Bush jr., ha evidenziato inclinazioni favorevoli al rafforzamento dei poteri del governo, agli interessi delle grandi aziende private, allo smantellamento delle norme che regolano l’attività di queste ultime, agli interrogatori con metodi di tortura, alla limitazione del diritto all’aborto.

 

La nomina alla Corte Suprema dipenderà ad ogni modo dalla forza che i repubblicani avranno di resistere alle crescenti pressioni politiche e mediatiche, in larga misura dirette contro Trump, per affondare Kavanaugh. La difesa già per certi versi traballante di quest’ultimo potrà tenere infatti fino a quando non risulterà fatale per le prospettive elettorali già non particolarmente incoraggianti di un partito trascinato verso il basso dalla crescente impopolarità dell’inquilino della Casa Bianca.

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