A distanza di poche ore dalla chiusura delle urne negli Stati Uniti, mercoledì il presidente Trump ha lanciato una nuova bomba politica a Washington, licenziando il suo ministro della Giustizia (“Attorney General”), Jeff Sessions. L’allontanamento dell’ex senatore repubblicano dell’Alabama, tra i sostenitori della prima ora della campagna elettorale di Trump già nel 2015, ha implicazioni potenzialmente esplosive per la politica americana, visto che potrebbe stravolgere o, addirittura, affondare l’indagine sul cosiddetto “Russiagate” guidata dal procuratore speciale ed ex direttore dell’FBI, Robert Mueller.

 

 

Sessions è da almeno un anno nel mirino della Casa Bianca e la sua permanenza al dipartimento di Giustizia negli ultimi mesi era stata possibile solo grazie alle conseguenze politiche a cui Trump sarebbe andato incontro con il suo licenziamento.

 

La decisione di procedere in questo frangente è stata dettata probabilmente da due fattori. Il primo è il sostanziale disinteresse mostrato dagli elettori americani per la caccia alle streghe del “Russiagate”, evidenziato da una serie di successi nel voto di martedì di candidati vicini a Trump. L’altro è il tentativo di prevenire iniziative politiche e legali dei democratici, attraverso l’inchiesta d Mueller, una volta installati come nuova maggioranza alla Camera dei Rappresentanti.

 

Il presidente repubblicano si era scagliato pubblicamente su Sessions in varie circostanze nei mesi scorsi, mentre la stampa USA aveva raccontato di discussioni private in cui lo aveva definito, tra l’altro, un “traditore”, uno “stupido [americano] del sud” e un “ritardato mentale”. Nel corso di conferenze stampa e su Twitter, Trump aveva attaccato Sessions per non avere messo fine alle indagini sulle presunte “interferenze” russe nel processo elettorale americano e sulle altrettanto dubbie collusioni dello stesso presidente con ambienti vicini al Cremlino. Per Trump, l’ex senatore era anche colpevole di non avere ordinato l’apertura di un procedimento di indagine nei confronti di Hillary Clinton, tanto da lamentarsi in un’occasione  di “non avere un ministro della Giustizia”.

 

Il peccato originale di Jeff Sessions agli occhi di Trump era stata la sua decisione, presa poco dopo avere assunto il nuovo incarico a inizio 2017, di ricusare se stesso dall’intera vicenda del “Russiagate”. Sessions, cioè, aveva rinunciato a supervisionare l’inchiesta di Mueller per via di un possibile conflitto di interessi. Durante le audizioni al Senato che precedettero la ratifica della sua nomina nel gennaio dello scorso anno, Sessions aveva negato di avere avuto contatti con esponenti del governo russo durante la campagna elettorale per le presidenziali. In seguito era tuttavia emerso un suo incontro con l’allora ambasciatore di Mosca negli USA, Sergey Kislyak.

 

Dietro pressioni dei democratici, Sessions aveva allora lasciato piena autorità su Mueller e il “Russiagate” al suo vice, Rod Rosenstein, considerato peggio disposto nei confronti di Trump e, anzi, vicino agli oppositori del presidente. Da allora, Rosenstein, come lo stesso Sessions, è finito al centro delle critiche di Trump e più volte minacciato di licenziamento.

 

La fine anticipata del mandato di Sessions ha così gettato nel panico più totale un Partito Democratico appena uscito da una tornata elettorale non particolarmente entusiasmante, ma segnata comunque dalla riconquista della maggioranza alla Camera. Il timore della leadership democratica è che il licenziamento di Sessions sia una manovra di Trump per chiudere definitivamente l’affare del “Russiagate”.

 

Il presidente americano ha infatti scavalcato Rosenstein per scegliere come “Attorney General” ad interim il capo di gabinetto di Sessions, Matthew Whitaker. Quest’ultimo potrà rimanere nel suo nuovo incarico per circa sei mesi senza la necessità di un voto di conferma del Senato. Sui tempi della nomina del sostituto effettivo di Sessions, che richiederà la ratifica della Camera alta del Congresso di Washington, la Casa Bianca non ha dato per ora alcuna indicazione.

 

L’allarme dei democratici per la scelta di Whitaker è da collegare a una serie di sue dichiarazioni non esattamente favorevoli al lavoro del procuratore speciale Mueller. Se, come appare praticamente certo, Whitaker assumerà la responsabilità dell’indagine sul “Russiagate”, è probabile, quanto meno, che l’ufficio dell’ex direttore dell’FBI non riceva più il completo appoggio del dipartimento di Giustizia o, nel concreto, che la sua azione venga limitata in modo da salvaguardare la posizione del presidente.

 

A partire dal 2017, Whitaker è stato protagonista di interventi scritti e di persona sui media americani nei quali ha più volte messo in discussione la legittimità del mandato assegnato a Mueller. Ad esempio, in un articolo dell’anno scorso aveva avvertito che l’eventuale allargamento delle indagini alla situazione finanziaria della famiglia Trump avrebbe rappresentato uno sconfinamento di natura politica e quindi rimesso in discussione l’autorità del procuratore speciale.

 

Ancora a luglio del 2017, in un’intervista alla CNN, il neo-ministro della Giustizia ad interim aveva ipotizzato uno scenario nel quale Sessions sarebbe stato sostituito con una nomina diretta da parte di Trump, durante un periodo di sospensione delle sedute del Congresso, e il successore avrebbe lasciato Mueller al suo posto, svuotandone però l’incarico attraverso una drastica riduzione dei fondi necessari alle indagini.

 

Per queste prese di posizione, deputati e senatori democratici, assieme a numerose organizzazioni “liberal” che ruotano attorno al partito, hanno scatenato un’accesa polemica politica nella giornata di mercoledì. Pressoché unanime è stata la richiesta a Whitaker di ricusare se stesso dal “Russiagate” e di lasciare la supervisione dell’inchiesta nelle mani di Rosenstein.

 

In un clima di autentica isteria, i democratici sono sembrati prospettare il tracollo della democrazia americana in seguito alla decisione di Trump, che risulta essere in definitiva il licenziamento di uno dei ministri della Giustizia più reazionari della storia degli Stati Uniti. Il senatore del Connecticut, Richard Blumenthal, ha definito “irregolare e inaccettabile” la manovra di Trump, così che si renderebbe ora necessario un intervento del Congresso per “proteggere” il procuratore speciale Mueller.

 

Un’iniziativa di legge di questo genere l’ha auspicata anche la leader dei democratici alla Camera e prossima “speaker”, Nancy Pelosi, mentre il futuro presidente della commissione Giustizia della Camera, Jerrold Nadler, ha minacciato inchieste o addirittura incriminazioni per i responsabili, cioè lo stesso Trump, dell’avvicendamento ai vertici del dipartimento di Giustizia.

 

Ancora una volta, insomma, la vicenda del “Russiagate” ha portato in primo piano il carattere sostanzialmente reazionario dell’opposizione del Partito Democratico all’amministrazione Trump. L’impegno con cui i democratici e gli ambienti ad essi vicini hanno sostenuto e continuano a sostenere le indagini sulla Casa Bianca per le fantomatiche collusioni con Mosca ha ben poco a che vedere con principi morali o democratici.

 

Quest’arma è utilizzata piuttosto per rimettere in linea l’amministrazione repubblicana sul fronte strategico internazionale, in modo da impedire le timide aperture che Trump aveva mostrato nei confronti della Russia di Putin e tornare a una politica di muro contro muro contro questo paese, considerato da una parte dell’establishment americano il rivale numero uno degli Stati Uniti su scala globale.

 

Come la difesa a oltranza del “Russiagate” e la caccia alle streghe orchestrata da Mueller hanno messo il Partito Democratico nella posizione di difensore di metodi e procedimenti anti-democratici basati sul nulla, così il sostegno offerto a Jeff Sessions sta in qualche modo trasformando l’esecutore di molte iniziative ultra-reazionarie di Trump in una sorta di martire della democrazia.

 

La figura e l’operato dell’ex senatore del profondo sud americano sono stati ricordati mercoledì da un comunicato dell’organizzazione a difesa dei diritti umani ACLU. Sessions, cioè, “è stato il peggiore ministro della Giustizia della storia americana moderna”. Nei quasi due anni dall’inizio del suo mandato, Sessions “ha vergognosamente violato diritti e libertà civili”, facendo del dipartimento di Giustizia “il braccio politico dell’amministrazione Trump nello smantellamento dei diritti fondamentali che proteggono i cittadini, senza riguardo per la legge e i precedenti giuridici”.

 

Nel timore di perdere uno strumento fondamentale nella battaglia politica contro Donald Trump, i vertici democratici hanno anche annunciato una serie di proteste e mobilitazioni nel paese per protestare contro il licenziamento del ministro della Giustizia. Nessuna manifestazione di massa è stata mai organizzata invece dal Partito Democratico, né è prevista nell’immediato futuro, contro le politiche di estrema destra della Casa Bianca, a cominciare da quelle profondamente anti-democratiche e al limite del criminale che riguardano i migranti, molte delle quali scritte e implementate dallo stesso Jeff Sessions.

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