Dopo il terzo fine settimana di proteste del movimento dei cosiddetti “gilet gialli”, il presidente francese, Emmanuel Macron, si ritrova sempre più sotto pressione per cercare di risolvere una gravissima crisi che si sta rapidamente diffondendo in tutto il paese.

 

Da un lato, l’inquilino dell’Eliseo ha prospettato colloqui con i leader di tutti gli schieramenti politici e possibili trattative con i rappresentanti della protesta, mentre dall’altro non ha escluso l’introduzione dello stato di emergenza, con l’evidente obiettivo di reprimere con la forza tutte le manifestazioni di piazza.

 

 

Le dimostrazioni di queste settimane, così come gli scontri con le forze di polizia, sono tra le più intense registrate in Francia dal maggio 1968 e si stanno abbattendo su un presidente sempre più impopolare e giustamente identificato con gli interessi dei poteri forti d’oltralpe. Com’è noto, le proteste erano iniziate in risposta all’aumento delle imposte sui carburanti, ma si sono ben presto trasformate in un movimento contro le politiche economiche dell’amministrazione Macron, fatte di tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni, precarizzazione del lavoro e benefici fiscali per imprese e redditi più elevati.

 

Anche sabato scorso, la polizia francese ha usato un mix di provocazioni e misure repressive per intimidire i manifestanti. Le azioni violente di pochi individui, la cui identità e reale appartenenza al movimento di protesta sono apparse spesso dubbie a molti, hanno dato l’occasione alle forze dell’ordine di fare ampio uso di gas lacrimogeni, di attaccare i dimostranti e di operare arresti di massa.

 

Alla fine della giornata, solo a Parigi sono stati fermati quasi 300 manifestanti e più di 400 in tutto il territorio francese. Finora, nel corso delle proteste, hanno perso la vita tre persone e i feriti ammontano a circa 260. In un clima già tesissimo, tra la classe politica transalpina circola parecchio nervosismo in vista del prossimo fine settimana, per il quale i coordinatori dei “gilet gialli” hanno indetto una nuova manifestazione nella capitale.

 

Alla luce della crescente opposizione, Macron si è ritrovato così a dover fare i conti con il movimento che sta attraversando la Francia. Malgrado qualche tiepida apertura, la linea dell’Eliseo e del governo di Parigi è però quella di continuare sulla strada intrapresa, cioè dell’implementazione della tassa sul diesel e, più in generale, delle riforme in senso neo-liberista.

 

Già la settimana scorsa, Macron aveva tenuto un discorso pubblico in risposta alle dimostrazioni del sabato precedente. In esso, il presidente francese aveva cercato di spiegare con motivazioni di carattere ambientalista la necessità di aumentare le imposte sui carburanti, mentre le richieste dei “gilet gialli” di aumentare la spesa pubblica e di abbassare le tasse, in modo da disporre di maggiore potere di acquisto, erano state sostanzialmente scartate perché irrealistiche.

 

Oltre all’intervento di Macron, sempre la settimana scorsa c’era stato un incontro tra due dei fondatori dei primi gruppi di protesta sui social networks e il ministro dell’Ecologia francese, François de Rugy. La discussione non aveva tuttavia portato a nulla e i rappresentanti del movimento anti-Macron non avevano potuto che prendere atto del disinteresse del presidente e del governo ad adottare provvedimenti per “migliorare la vita delle persone”.

 

Un nuovo incontro era programmato per martedì, ma i delegati di uno dei “collettivi” impegnati nelle proteste hanno fatto sapere che non si recheranno a Palazzo Matignon, dove ha sede il governo. I rappresentanti di questa parte dei “gilet gialli” hanno fatto riferimento ancora una volta alla mancanza di disponibilità del governo e, evidenziando probabilmente alcune divisioni interne al movimento, anche a minacce ricevute da altri membri dei gruppi di protesta.

 

La già ricordata ipotesi di reintrodurre lo stato di emergenza, a lungo in vigore dopo gli attentati terroristici del 2015 a Parigi, indica comunque un estremo nervosismo nelle stanze del potere e il desiderio di mettere fine il prima possibile a proteste che continuano a incontrare i favori della gran parte della popolazione francese. Alcuni leader dell’opposizione, finora tiepidi o con atteggiamenti contraddittori nei confronti delle proteste, come Jean-Luc Mélénchon del movimento di sinistra “La France Insoumise” e quella dell’ex Fronte Nazionale, Marine Le Pen, hanno chiesto invece elezioni anticipate, nel tentativo di approfittare politicamente dell’ondata anti-Macron.

 

In parallelo, la gran parte della classe politica e i media ufficiali hanno condotto e stanno conducendo una campagna di discredito nei confronti dei partecipanti alle manifestazioni dei “gilet gialli”. Questi ultimi sono stati classificati come elementi di estrema destra o, talvolta, infiltrati da estremisti di sinistra, mentre in più in generale il movimento sarebbe l’espressione di una Francia retrograda e provinciale, incapace di adeguarsi alla nuova realtà economica e sociale o indifferente se non ostile alle tematiche ambientali.

 

Ciò che è emerso e giunto al punto di rottura in queste settimane è piuttosto il divario abissale tra la Francia della classe dirigente e dei grandi interessi economici e quella scesa nelle strade, fatta non di elementi reazionari, bensì di lavoratori, giovani, pensionati e appartenenti alla classe media, tutti uniti nell’avversione per le distruttive politiche ultra-liberiste promosse da Macron, così come dai presidenti e dai governi che l’hanno preceduto.

 

A ben vedere, poi, gli eventi che hanno scosso la Francia in queste ultime settimane, mentre non riguardano più soltanto l’aumento delle tasse sui carburanti, allo stesso modo non rappresentano un fenomeno limitato a questo paese. Essi si inseriscono in un clima di tensioni sempre più profonde, nonché evidenti nel numero crescente di scioperi e proteste ma anche nel dilagare del voto di protesta a livello internazionale, che testimoniano di una condizione comune fatta di attacchi alle condizioni di vita, alla stabilità del lavoro e al welfare.

 

L’altro aspetto del movimento dei “gilet gialli” che agita i sonni di Macron e delle élites transalpine è infine il carattere spontaneo della mobilitazione in corso. I manifestanti hanno coordinato le loro azioni quasi esclusivamente tramite la rete e non hanno in genere alcun legame con organizzazioni sindacali o partiti politici, nei confronti dei quali nutrono anzi spesso un più che legittimo risentimento.

 

Questa indipendenza e assenza di leadership, se da un lato espone il movimento di protesta a strumentalizzazioni o alla possibile appropriazione di esso da parte dell’estrema destra, lo rende anche particolarmente temuto dalla classe dirigente, proprio perché non controllabile da organismi, come appunto i sindacati, che agiscono tradizionalmente da freno sulle forze destabilizzanti del sistema.

 

Ciò contribuisce a spiegare la persistente tendenza a screditare questo movimento e a bollarlo, a seconda dei casi, come reazionario, anarchico o violento, mentre sembra in realtà esprimere, in larghissima misura, valori di uguaglianza, giustizia sociale e democrazia, da tempo sacrificati, in Francia come altrove, alla difesa del privilegio e alla stabilizzazione del capitalismo in crisi.

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