Allo scoccare del 32esimo giorno di chiusura forzata di una parte degli uffici federali americani, le prospettive per la risoluzione della crisi politica in atto negli Stati Uniti attorno al cosiddetto “shutdown” continuano a scontrarsi con le posizioni ancora inconciliabili della Casa Bianca e della leadership democratica al Congresso.

 

Malgrado i toni dello scontro, è fondamentale premettere che tra democratici e repubblicani esiste un sostanziale accordo sull’implementazione di politiche migratorie rigorose e volte a ridurre drasticamente ingressi e richieste di asilo. Le divergenze che stanno impedendo un’intesa sul finanziamento del bilancio federale hanno a che fare piuttosto e in larga misura, per quanto riguarda il presidente Trump, con il bisogno di compiacere la propria base elettorale ultra-reazionaria e, sul fronte democratico, con la necessità di evitare l’accostamento del partito alla eventuale costruzione di un muro al confine con il Messico.

 

 

Com’è noto, Trump e i vertici repubblicani chiedono lo stanziamento di circa 5,7 miliardi di dollari per il muro anti-migranti, in cambio dello sblocco del denaro necessario a finanziare le attività del governo federale per l’anno fiscale in corso. I democratici continuano a opporsi a questa ipotesi, anche se sono favorevoli a valutare stanziamenti per svariati miliardi di dollari da destinare alla “sicurezza” delle frontiere. Qualsiasi trattativa, però, dovrebbe essere preceduta dalla riapertura di uffici e agenzie governative.

 

Nel fine settimana, la Casa Bianca ha avanzato una proposta su cui negoziare con i democratici, i quali da qualche giorno sono tornati a detenere la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti e dispongono anche di numeri sufficienti al Senato per bloccare ogni misura non gradita in materia di bilancio. Trump ha cioè rispolverato una bozza di intesa che era naufragata qualche mese fa e che, prevedendo meno concessioni dell’originale, è già stata respinta dai democratici.

 

La proposta consiste in una proroga di tre anni del permesso di risiedere negli Stati Uniti per circa un milione di stranieri ufficialmente “irregolari” o con uno status precario. Le categorie di migranti interessati sarebbero due: 700 mila persone arrivate “illegalmente” nel paese quando erano minori e coperte finora da un programma approvato dall’amministrazione Obama (“DACA”) e altre 300 mila protette da una legge riguardante paesi di provenienza colpiti da gravi emergenze, come disastri naturali o violenza dilagante.

 

Oltre a queste garanzie, il disegno di legge che ha preso forma lunedì include un aumento della spesa pubblica in alcuni ambiti, tra cui quasi 13 miliardi di dollari destinati ad aggiungersi agli stanziamenti già approvati per aree del paese devastate negli ultimi anni da uragani e incendi. In compenso, la proposta complica ulteriormente le procedure di richiesta di asilo, soprattutto per i minori, andando potenzialmente ad aggiungersi alle pratiche di dubbia costituzionalità già adottate dall’amministrazione Trump per impedire l’ingresso di stranieri in territorio americano.

 

Come anticipato in precedenza, la “speaker” della Camera, Nancy Pelosi, e il leader di minoranza al Senato, Chuck Schumer, hanno dunque rimandato al mittente la proposta, così che un possibile voto al Senato nei prossimi giorni sembra non avere alcuna chance di successo. Il compromesso avanzato da Trump non può d’altra parte nemmeno essere considerato tale, visto che le due categorie di immigrati che potrebbero rimanere negli USA temporaneamente erano state minacciate di espulsione proprio da altrettanti decreti firmati dallo stesso presidente. I democratici, inoltre, chiedono tutt’al più una soluzione definitiva per i 700 mila immigrati protetti dal “DACA” e che offra possibilmente un percorso verso l’ottenimento della cittadinanza americana.

 

La Casa Bianca deve comunque fare i conti con l’opposizione dell’estrema destra repubblicana anche a una proposta temporanea e decisamente limitata come quella offerta da Trump. In molti in questi ambienti hanno infatti bollato l’iniziativa come una sorta di “amnistia” per i migranti “irregolari” e, quindi, inaccettabile. Le spinte provenienti da destra impongono così al presidente di tenere alti i toni populisti, agitando lo spettro di una inesistente invasione di criminali, drogati e trafficanti, pronti a riversarsi negli Stati Uniti in assenza di un muro di confine la cui costruzione i democratici continuano a ostacolare.

 

In risposta alla bozza di legge repubblicana per mettere fine allo “shutdown”, i democratici alla Camera hanno a loro volta in programma un voto in aula su una misura che non ha ugualmente possibilità di essere approvata in maniera definitiva. Il provvedimento sbloccherebbe il nuovo bilancio federale e include circa un miliardo di dollari da destinare alla lotta contro l’immigrazione, attraverso ad esempio il rafforzamento delle infrastrutture esistenti e l’assunzione di personale alle dipendenze del dipartimento della Sicurezza Interna.

 

Da parte dei democratici c’è ad ogni modo piena disponibilità a trattare con la Casa Bianca e a fare concessioni anche significative sulle politiche di contenimento dei flussi migratori. L’obiettivo sembra essere quello di mettere da parte lo stallo e i rischi dello “shutdown” per concentrare l’attenzione su un progetto di “riforma” che, con o senza muro, permetta di sigillare o quasi le frontiere, in particolare quella con il Messico.

 

Anzi, è tutt’altro che da escludere un’inversione di rotta dei leader del Partito Democratico anche sulla costruzione del muro di confine, sia pure definito con diverse sfumature semantiche. Nel corso del 2018, i democratici avevano infatti accettato di fatto lo stanziamento di fondi per la costruzione del muro di Trump in cambio di una soluzione definitiva per i 700 mila immigrati arrivati in maniera clandestina da bambini negli USA e poi regolarizzati dal programma “DACA”. L’accordo era alla fine saltato per il rifiuto del presidente di accettare quest’ultimo provvedimento, ma ad esso ha fatto riferimento, in vista forse di un futuro tavolo di trattativa con la Casa Bianca, la senatrice democratica Kirsten Gillibrand, recentemente candidatasi alle presidenziali del 2020.

 

In questa direzione potrebbe così muoversi la classe politica americana per uscire dall’impasse dello “shutdown”. A farlo intuire è anche una recente dichiarazione dello stesso Trump su Twitter per respingere l’accusa da destra di volere concedere un’amnistia ai migranti “irregolari”. Il presidente ha spiegato che, in effetti, “un’amnistia sarà presa in considerazione solo nel quadro di un accordo di proporzioni più ampie”, lasciando intendere l’esistenza di uno spiraglio per negoziare con i democratici una soluzione alla crisi in atto.

 

Con il persistere dello “shutdown”, le inquietudini anche nel Partito Repubblicano appaiono d’altra parte in aumento, viste le conseguenze che l’assenza di fondi destinati a molte agenzie federali stanno provocando sia per i lavoratori sia per i beneficiari di servizi pubblici spesso essenziali se non vitali. Dal 22 dicembre scorso, 300 mila dipendenti del governo federale sono in congedo forzato non pagato, mentre ad altri 500 mila è stato richiesto di presentarsi al lavoro senza retribuzione. Se non si troverà un’intesa a Washington, a breve questi stessi lavoratori vedranno passare la loro seconda mensilità senza vedere un dollaro.

 

Una situazione, quest’ultima, che si traduce spesso nell’impossibilità di pagare muti, affitti, bollette, spese mediche, debiti vari e che ha messo drammaticamente in luce la realtà di un paese nel quale la maggioranza della popolazione è costretta a gestire il proprio bilancio di stipendio in stipendio, senza praticamente poter contare su nessun risparmio.

 

Tra le classi più deboli, poi, il tempo stringe sempre di più per evitare di vedere svanire aiuti che in molti casi fanno la differenza tra avere un tetto e un pasto e il vivere per strada e la totale indigenza. Il dipartimento dell’Agricoltura, ad esempio, ha fatto sapere che esaurirà i fondi che finanziano la distribuzione di cibo a 40 milioni di poveri e lavoratori sotto-pagati. Coloro che ricevono sussidi federali per pagare l’affitto delle abitazioni in cui vivono sono stati invece già avvisati che dovranno a breve sborsare di tasca propria l’intera somma dovuta ai padroni di casa, pena il rischio di essere sfrattati già nelle prossime settimane.

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