La dichiarazione di emergenza proclamata dal presidente americano Trump per iniziare la costruzione del muro di confine con il Messico, utilizzando fondi federali destinati ad altre voci di spesa, ha come previsto innescato una serie di cause legali per bloccare l’iniziativa chiaramente anti-costituzionale della Casa Bianca. L’azione più significativa è stata intrapresa finora da un gruppo di 16 stati americani, i quali sostengono correttamente come non ci sia alcuna reale emergenza migratoria nel sud degli Stati Uniti e, soprattutto, che il presidente non ha alcuna autorità per utilizzare a propria discrezione denaro stanziato dal Congresso per scopi ben definiti e già fissati per legge.

 

 

La manovra di Trump nasce dal mancato ottenimento dei fondi richiesti per la costruzione del muro dopo il recente accordo bipartisan al Congresso che ha portato finalmente all’approvazione del bilancio federale per l’anno fiscale in corso. Il presidente aveva ratificato l’intesa, ma si era affrettato ad annunciare una misura unilaterale per reperire i miliardi di dollari necessari a mandare in porto il suo progetto anti-migranti.

 

In attesa di altre cause legali, stati come California, New York, Illinois, Michigan, New Jersey, New Mexico e altri, quasi tutti controllati politicamente dal Partito Democratico, hanno presentato a inizio settimana un’istanza presso il tribunale federale di San Francisco sostenendo che il presidente non dispone dell’autorità di privare il Congresso del potere di decidere la destinazione degli stanziamenti federali, come previsto dall’articolo numero uno della Costituzione americana. Il procuratore generale della California ha anche fatto riferimento a recenti dichiarazioni pubbliche dello stesso Trump, il quale aveva ammesso apertamente che non sussiste la reale necessità di dichiarare un’emergenza al confine meridionale, ma che in questo modo lo stallo attorno alla costruzione del muro sarebbe stato superato in maniera più rapida.

 

Prima dei 16 stati americani, avevano già ricorso alle vie legali anche alcune organizzazioni no-profit, la contea di El Paso in Texas, un gruppo di proprietari di terre nelle aree di confine di quest’ultimo stato e un’organizzazione ambientalista. Le motivazioni delle cause vanno dal danno economico che verrebbe provocato dal muro alle espropriazioni di terreni privati che esso comporterebbe, dall’illegalità di una dichiarazione di emergenza basata su un dissidio politico tra Casa Bianca e Congresso al danno provocato da quest’opera all’habitat della fauna che vive nelle aree di confine tra USA e Messico.

 

Oltre a queste, ulteriori cause sono attese nei prossimi giorni, mentre il Partito Democratico intende seguire in parallelo un percorso legislativo che, però, sembra potere tutt’al più creare qualche imbarazzo politico al presidente Trump. La Camera dei Rappresentanti a maggioranza democratica voterà cioè a favore di una mozione per annullare la dichiarazione di emergenza. Il provvedimento ha buone probabilità di essere approvato anche dal Senato, dove una parte dei repubblicani della maggioranza ha espresso profonde riserve nei confronti della decisione di Trump. A quel punto, il presidente finirà per esercitare il suo diritto di veto e difficilmente si riuscirà a trovare una maggioranza di due terzi nei due rami del Congresso per neutralizzarlo e bloccare la costruzione del muro.

 

I commentatori americani concordano quindi sul fatto che la deriva autoritaria prospettata dalla Casa Bianca possa essere più facilmente ostacolata dai tribunali. I giudici si sono spesso mostrati tuttavia scettici sulla possibilità di mettere in discussione le valutazioni dell’esecutivo circa la gravità di situazioni che richiedono una dichiarazione di emergenza. In realtà, sostenere che i flussi attuali di migranti abbiano determinato una situazione di crisi per gli Stati Uniti è a dir poco ridicolo, come confermano anche le statistiche ufficiali che indicano un numero di ingressi tra i più bassi negli ultimi due decenni.

 

Piuttosto, i tribunali potrebbero declinare un intervento in una questione dai risvolti politici delicatissimi e respingere i ricorsi contro la Casa Bianca senza entrare nel merito delle cause, semplicemente deliberando contro coloro che le hanno presentate perché ritenuti senza i requisiti legali per presentarle. Molti di loro, in altri termini, potrebbero non essere in grado di dimostrare di essere penalizzati dalla decisione di Trump.

 

Questa eventualità è stata probabilmente studiata con attenzione dai consiglieri del presidente. Infatti, la strategia della Casa Bianca intende percorrere due strade che potrebbero almeno in parte vanificare gli sforzi di chi vuole impedire la costruzione del muro. In primo luogo, Trump ha promesso di procedere speditamente con i lavori, in modo da creare un fatto compiuto di cui sarebbe necessario prendere atto sia politicamente sia legalmente. Il consigliere neo-fascista del presidente, Stephen Miller, ha assicurato che, entro il 30 settembre del 2020, cioè in piena campagna per la rielezione di Trump, saranno ultimati poco meno di 400 chilometri di muro.

 

Inoltre, il governo prevede di ricorrere ai fondi già stanziati per altri scopi dal Congresso, pari a 3,6 miliardi di dollari in dotazione del Pentagono sui quali Trump intende rivendicare i poteri speciali della sua dichiarazione di emergenza, solo dopo avere esaurito quelli utilizzabili in maniera più o meno legittima, tra cui i quasi 1,4 miliardi previsti dalla recente legge di bilancio. In questo modo, le cause legali potrebbero esaurirsi ancora prima che Trump possa mettere le mani su un denaro che la Costituzione americana gli impedirebbe di usare a scopi diversi da quelli stabiliti dal Congresso.

 

La vicenda della dichiarazione di emergenza ha delle implicazioni estremamente serie e, se Trump dovesse alla fine spuntarla, non solo si procederebbe con la realizzazione di un’opera inutile e moralmente scandalosa, ma i poteri dell’esecutivo verrebbero rafforzati in modo drammatico. Quelli del Congresso, al contrario, sarebbero ridimensionati e verrebbe a crearsi un pericoloso precedente sulla strada verso quella che sembra essere sempre più una sorta di dittatura presidenziale. Per comprendere come una simile conclusione non sia esagerata basti pensare, tra l’altro, a come il Congresso negli Stati Uniti abbia ormai da tempo già abdicato anche al potere di dichiarare guerra, come dimostrano i conflitti avviati dagli ultimi presidenti senza nemmeno consultare l’organo che costituzionalmente dispone di questa facoltà.

 

Se la situazione è dunque molto grave, a giudicare dalla gran parte delle reazioni dei politici e dei media ufficiali americani, il problema sembra riguardare soprattutto l’aspetto elettorale. Trump, cioè, starebbe spingendo per auto-assegnarsi potersi extra-costituzionali e iniziare i lavori per la costruzione del muro, così da mantenere una delle sue promesse elettorali in vista della campagna del 2020. Le implicazioni costituzionali che la mossa del presidente comporta sono in larga misura minimizzate, come se il sistema “democratico” americano, oggettivamente in profonda crisi almeno da due decenni a questa parte, sia sufficientemente solido e immune da rigurgiti autoritari.

 

Proprio il Partito Democratico all’opposizione, infatti, sta mancando chiaramente di denunciare in modo efficace le manovre della Casa Bianca, per lo più caratterizzate come un’altra delle stravaganze tutto sommato innocue di Trump. Men che meno si sono sollevate voci tra i democratici che chiedono un procedimento di impeachment del presidente per un’azione che, a differenza delle inesistenti collusioni con il governo russo, viola palesemente la Costituzione.

 

Il comportamento dei vertici democratici non è dovuto alla loro ingenuità, bensì al sostanziale accordo con Trump e la maggioranza dei repubblicani nel ritenere necessari poteri sempre più ampi nelle mani dell’esecutivo. L’ex presidente democratico Obama, d’altra parte, si era egli stesso mosso in questa direzione, agendo unilateralmente e quanto meno al limite del dettato costituzionale in vari ambiti, come ad esempio quello delle azioni militari in Libia e in Siria e degli assassini mirati extragiudiziari anche di cittadini con passaporto americano.

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