Il rapimento e l’arresto illegale del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, nella mattinata di giovedì a Londra sono il risultato di un’operazione criminale orchestrata dai governi di Gran Bretagna, Stati Uniti ed Ecuador per assicurare il 47enne giornalista australiano alla “giustizia” americana. L’ignobile blitz della polizia britannica, documentato da sconvolgenti immagini diffuse immediatamente in rete, chiude una fase durata quasi sette anni, durante i quali Assange è stato costretto a vivere in condizioni che le stesse Nazioni Unite hanno giudicato essere assimilabili a tortura, e ne apre un’altra di carattere giudiziario particolarmente delicata che vedrà in gioco non solo la libertà e la vita stessa del numero uno di WikiLeaks, ma anche il principio della libertà di stampa ed espressione di fronte a una deriva autoritaria in atto ormai da tempo in tutte le “democrazie” occidentali.

 

 

La fine della permanenza di Assange nell’ambasciata ecuadoriana di Londra è stata decretata dalla decisione del presidente del paese sudamericano, Lenin Moreno, di ritirare l’asilo concesso dal suo predecessore, Rafael Correa. La mossa di Moreno ha suggellato una drammatica escalation di minacce contro Assange, iniziata a partire dal suo insediamento nel 2017 e in conseguenza della repentina inversione di rotta strategica che ha riportato il governo di Quito nell’orbita degli Stati Uniti. Dopo l’annuncio di giovedì mattina, l’ambasciatore ecuadoriano ha così “invitato” la polizia metropolitana di Londra a entrare nell’edificio del quartiere londinese di Knightsbridge per prelevare con la forza il giornalista e attivista australiano.

 

L’arresto è basato interamente su una farsa legale che serve a giustificare la possibile estradizione di Assange negli Stati Uniti, dove il dipartimento di Giustizia ha insediato da anni un “gand jury” segreto per incriminare quest’ultimo con l’accusa di avere pubblicato documenti segreti sui crimini del governo americano. Per il presidente Moreno, la revoca dell’asilo deriverebbe dalle “ripetute violazioni “, da parte di Assange, “delle convenzioni internazionali e dei protocolli quotidiani” di comportamento fissati dallo stesso governo dell’Ecuador.

 

Queste motivazioni sono un patetico tentativo di nascondere l’accordo tra Quito e Washington per mettere la mani su Assange. Responsabile di violazioni è esclusivamente il governo ecuadoriano di Moreno che dal marzo del 2018 ha arbitrariamente tagliato tutte le comunicazioni elettroniche e telefoniche di Assange, perché responsabile di avere contravvenuto all’ordine di non esprimere opinioni sulle vicende politiche internazionali. Il codice di comportamento di Moreno non aveva ovviamente alcuna giustificazione legale e non poteva quindi in nessun modo essere utilizzato come ricatto per garantire o terminare la protezione dell’ambasciata ecuadoriana.

 

In una dichiarazione ufficiale emessa giovedì, WikiLeaks ha correttamente definito la decisione di Moreno di cancellare l’asilo come una “violazione del diritto internazionale”, avvertendo che “entità potenti, come la CIA, sono impegnate in una manovra complessa per deumanizzare, delegittimare e imprigionare” Julian Assange. La stessa organizzazione giornalistica ha poi rivelato come l’arresto di giovedì sia da ricondurre in parte alla richiesta di estradizione fatta dal governo americano alla giustizia britannica. Poco più tardi, Scotland Yard ha confermato la notizia con un comunicato che illustra alla perfezione il servilismo di Londra, spiegando appunto che l’arresto è stato eseguito “per conto delle autorità degli Stati Uniti”.

 

La ragione ufficiale che era stata alla base della richiesta di arresto di Assange ha a che fare invece con la violazione nel 2012 dei termini della libertà vigilata a cui era sottoposto. Il fondatore di WikiLeaks era rimasto invischiato in una trappola legale preparata dalla magistratura, da alcuni ambienti politici e da un paio di donne svedesi che avevano costruito fantasiose accuse di violenza sessuale. Con il pericolo di vedersi trasferito forzatamente negli USA, Assange si era legittimamente rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra in seguito all’asilo e alla cittadinanza di questo paese garantiti dall’allora presidente Correa.

 

Nel 2017 le autorità svedesi avevano lasciato cadere accuse diventate ormai insostenibili, ma la Gran Bretagna si era rifiutata di ritirare il mandato di arresto per un presunto crimine, come quello della violazione dei termini della libertà provvisoria, che prevede, in caso di condanna, una pena massima quasi sette volte inferiore rispetto al periodo trascorso forzatamente da Assange all’interno dell’ambasciata ecuadoriana. La giustizia svedese, in ogni caso, ha mostrato giovedì la sua disponibilità a svolgere il ruolo di gendarme di Washington, facendo sapere di essere pronta a riformulare le accuse già ritirate un paio di anni fa.

 

L’iniziativa di giovedì del presidente ecuadoriano ha anche un carattere ferocemente vendicativo. Lenin Moreno è rimasto infatti coinvolto in uno scandalo in patria in seguito alla pubblicazione su WikiLeaks di una serie di documenti personali dello stesso presidente (“INA papers”) che documenterebbero attività di corruzione e riciclaggio di denaro. Nel parlamento ecuadoriano sono già state aperte indagini e il presidente Moreno aveva accusato Assange di avere violato la sua privacy, nonostante da oltre un anno quest’ultimo non abbia nemmeno accesso a una connessione internet.

 

Mercoledì, inoltre, il responsabile di WikiLeaks, Kristinn Hrafnsson, e la legale di Assange, Jennifer Robinson, erano stati protagonisti di una conferenza stampa esplosiva nella quale avevano denunciato un’operazione di spionaggio ai danni dello stesso giornalista australiano. Per più di un anno, cioè, ogni aspetto della vita di Assange nell’ambasciata è stato sottoposto a monitoraggio e sorveglianza, comprese le sue visite mediche e gli incontri con visitatori e avvocati. Hrafnsson e Robinson avevano probabilmente deciso di rivelare la cospirazione di Lenin Moreno a seguito della rottura ormai irreparabile tra quest’ultimo e Assange. Venerdì scorso, infatti, fonti interne al governo di Quito avevano avvertito che l’espulsione di Assange dall’ambasciata di Londra era ormai questione “di ore o di giorni”.

 

Il materiale e le informazioni private su Assange ottenute nei mesi scorsi erano finiti nelle mani di un gruppo di individui in Spagna, i quali si erano rivolti a WikiLeaks per chiedere una sorta di riscatto in cambio di essi. Kristinn Hrafnsson ha confermato l’ovvia partecipazione del governo ecuadoriano all’operazione e che il materiale su Assange è stato diligentemente condiviso con l’amministrazione Trump.

 

Questa manovra è da collegare in qualche modo anche all’arresto qualche settimana fa dell’ex analista dell’intelligence militare USA, Chelsea Manning, dopo il suo rifiuto di testimoniare davanti a un “grand jury” che starebbe apparentemente indagando su Assange. Manning è la fonte di alcuni dei più importanti documenti sui crimini americani pubblicati da WikiLeaks e, durante l’amministrazione Obama, era stata arrestata e condannata a 35 anni di carcere prima di ricevere la grazia dall’ex presidente democratico. Il suo ritorno in carcere è un altro clamoroso abuso da parte del governo americano, in questo caso per convincerla a testimoniare contro Julian Assange.

 

Operazioni e tattiche di questo genere testimoniano in primo luogo il gravissimo deterioramento del clima democratico negli Stati Uniti, così come in Gran Bretagna, ma mostrano anche in maniera inequivocabile come questi governi siano costretti a ricorrere a complotti e manovre criminali proprio perché non esiste alcun fondamento legale che giustifichi un’incriminazione, né tantomeno la privazione della libertà, di Julian Assange e Chelsea Manning.

 

Della sorte di Assange si sono preoccupati in queste ore molte personalità del giornalismo, attivisti e semplici sostenitori. Se la grandissima parte dei media “mainstream” ha tenuto e continua a tenere un atteggiamento vergognosamente distaccato se non del tutto ostile nei confronti di WikiLeaks e del suo fondatore, tra le persone comuni e nel mondo del giornalismo “alternativo” le manifestazioni di solidarietà non sono mai mancate. Esse, anzi, sono state spesso determinanti nel convincere i governi implicati nella vicenda a tenere un atteggiamento cauto nei confronti di Assange e, senza dubbio, risulteranno cruciali anche nel decidere il suo futuro.

 

Tra i più lucidi nel discutere dei fatti di giovedì è stato l’ex analista della NSA americana, Edward Snowden, che dal suo esilio forzato a Mosca ha parlato di un capitolo “buio per la libertà di stampa”. Infatti, la persecuzione di Julian Assange implica una minaccia vitale al diritto di informazione ed essa non arriva da un regime dittatoriale del terzo mondo, bensì da quelli che vengono considerati come i baluardi della democrazia occidentale. Incriminare e condannare Assange significa distruggere la liberta di stampa e di espressione e, quindi, il giornalismo in quanto tale, lasciando il campo soltanto ai media ufficiali controllati dalle corporation, diventati poco più che casse di risonanza dei governi e delle loro politiche predatorie.

 

L’accanimento contro Assange viola cioè un principio democratico che sembrava acquisito almeno fin dalla vicenda dei “Pentagon Papers” che negli anni Settanta del secolo scorso rivelarono le manovre criminali in Vietnam dei governi americani. Anche in quel caso tutto nacque da una causa legale che si risolse con l’affermazione del diritto della stampa di pubblicare documenti segreti che testimoniano dei crimini governativi, al di là delle modalità di provenienza e del livello di segretezza. Ironicamente, i giornali coinvolti erano il New York Times e il Washington Post, spesso impegnati in questi anni ad attaccare Assange e WikiLeaks nonostante le loro credenziali presumibilmente “progressiste”.

 

A riassumere il caso contro Assange e le implicazioni inquietanti per la libertà di stampo è stato giovedì un altro legale del fondatore di WikiLeaks, Barry Pollack. Quest’ultimo ha spiegato che, in definitiva, “le accuse consistono nel convincere una fonte a fornirgli informazioni e nel prendere precauzioni per proteggere l’identità di questa stessa fonte”, ovvero nell’avere svolto fino in fondo il mestiere del giornalista.

 

Julian Assange, intanto, giovedì pomeriggio è già apparso di fronte a un tribunale di Westminster, a Londra, dove si è dichiarato “non colpevole” della ridicola accusa di non avere rispettato i termini della libertà provvisoria nel 2012. I suoi avvocati dovranno affrontare ora una battaglia legale durissima, nella quale Assange avrà a fianco solo famigliari, amici e sostenitori, uniti contro governi potenti, incluso scandalosamente quello dell’Australia, di cui è cittadino, per cercare di evitare un’estradizione e un’eventuale condanna negli Stati Uniti che rappresenterebbero un colpo mortale per la democrazia e la libertà di stampa in tutto il mondo.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy