Con un voto a larghissima maggioranza, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite questa settimana ha inflitto una pesante umiliazione alla Gran Bretagna, stabilendo l’illegalità del possesso di questo paese sull’arcipelago delle Chagos, nell’Oceano Indiano. La storia di queste isole è una delle pagine più cruente e vergognose del colonialismo britannico e, nel corso dei decenni, si è sovrapposta ai crimini e alle prevaricazioni dell’imperialismo americano, con conseguenze tragiche per quelli che ne costituivano la popolazione indigena.

 

 

Il voto al Palazzo di Vetro ha visto ben 116 paesi appoggiare un verdetto della Corte Internazionale di Giustizia, che lo scorso 25 febbraio aveva dichiarato illegale la sovranità britannica sull’arcipelago e invitato Londra a mettere in atto un processo di piena “decolonizzazione” entro i prossimi sei mesi. A febbraio, un solo giudice – americano – su 13 si era schierato a favore del Regno Unito. All’ONU, ugualmente, appena sei paesi – Israele, Australia, Ungheria e Maldive, oltre a USA e GB – non hanno ritenuto di appoggiare il governo delle Mauritius, di cui facevano e dovrebbero far parte le Chagos. Altri 56 paesi, tra cui la Germania e il Canada, si sono invece astenuti.

 

Washington e Londra avevano fatto enormi pressioni sui membri dell’Assemblea per far naufragare la risoluzione, ma i miseri risultati evidenziati dal voto di mercoledì la dicono lunga sull’isolamento internazionale delle due potenze, nonché sui metodi contrari al diritto internazionale che essi continuano a difendere e a promuovere.

 

L’intervento del governo degli Stati Uniti nella vicenda è da collegare al fatto che esso detiene un’importantissima base militare sull’isola Diego Garcia, parte dell’arcipelago delle Chagos. La base, macabramente chiamata “Camp Justice”, è in concessione dalla Gran Bretagna fino al 2036 e svolge un ruolo logistico cruciale per le operazioni militari americane dall’Asia centrale al Medio Oriente. Questa struttura era stata anche utilizzata dalla CIA come una delle località clandestine dove venivano trasferiti, interrogati e torturati i sospettati di terrorismo sottoposti a “rendition” dopo l’11 settembre 2001.

 

La sentenza della Corte Internazionale e il voto dell’ONU sono profondamente imbarazzanti per la Gran Bretagna e ratificano la totale legittimità delle rivendicazioni del governo delle Mauritius e, soprattutto, degli ex abitanti delle Chagos. Entrambi i pareri non sono però vincolanti né prevedono meccanismi per costringere Londra ad adeguarsi. Il governo britannico, perciò, ha prevedibilmente annunciato di non avere alcuna intenzione di abbandonare le isole. L’ambasciatrice di Downing Street alle Nazioni Unite, Karen Pierce, si è detta in ogni caso “delusa” dal voto di questa settimana, senza apparentemente dedurre che la posizione presa dall’Assemblea e l’isolamento del suo paese sono la diretta conseguenza di azioni contrarie al diritto internazionale, se non apertamente criminali.

 

La motivazione della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, confermata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fa riferimento alla violazione da parte del Regno Unito della risoluzione ONU 1514 del 1960, in base alla quale era illegale separare i territori coloniali prima della loro indipendenza. Per Londra, al contrario, la questione non avrebbe nulla a che fare con il colonialismo, ma sarebbe una semplice disputa tra due paesi sovrani da risolvere in modo bilaterale.

 

Nella seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso, le Mauritius furono in sostanza costrette da Londra a cedere l’arcipelago delle Chagos in cambio dell’indipendenza. Ufficialmente, lo scambio avvenne in maniera concordata e con un pagamento di oltre 4 milioni di sterline corrisposto dalla ex potenza coloniale. In realtà, come ha sempre sostenuto il governo delle Mauritius e riconosciuto la giustizia internazionale, di fatto il Regno Unito impose unilateralmente la propria decisione su un paese all’alba della propria indipendenza.

 

Le manovre britanniche per mantenere il controllo sull’arcipelago delle Chagos, in seguito ribattezzato “Territorio Britannico nell’Oceano Indiano”, erano iniziate già attorno al 1960, come spiegava un’esauriente ricostruzione della storia delle isole e dei suoi abitanti pubblicata qualche anno fa dal sito Counterpunch. In quell’anno, alti ufficiali americani vistarono l’isola Diego Garcia per individuare un sito dove avrebbe dovuto sorgere una gigantesca base militare.

 

L’accordo tra i governi di Washington e Londra per la costruzione di questa base, così come l’obbligo fatto alle Mauritius di non rivendicare l’arcipelago sottratto, furono tenuti nascosti anche al parlamento britannico e al Congresso americano. Dopo l’intesa, i governi e le forze armate delle due potenze iniziarono una feroce campagna dai toni marcatamente razzisti per “ripulire” le isole dai suoi circa duemila abitanti, pacifici discendenti di schiavi africani e indiani arrivati nel 18esimo secolo per lavorare nelle piantagioni di noci di cocco.

 

Inizialmente, la popolazione indigena fu privata di cibo e medicinali tramite un vero e proprio embargo. Molti decisero così di andarsene, ma altri rimasero nonostante la minaccia britannica e americana di un possibile bombardamento delle loro isole. L’epilogo iniziò nella primavera del 1971. Gli ufficiali USA ordinarono il rapimento e la raccolta dei circa mille amatissimi cani appartenenti agli abitanti legittimi delle Chagos, uccidendoli sotto gli occhi dei loro proprietari con i gas di scarico dei mezzi militari.

 

La stessa sorte fu prospettata anche alla popolazione se non avesse accettato di lasciare le isole. Coloro che erano rimasti furono così radunati e, con una sola valigia al seguito, imbarcati a forza sulla nave “Nordvaer” diretta verso le Seychelles. Qui, gli abitanti delle Chagos rimasero in stato di detenzione, per poi essere trasportati e abbandonati a loro stessi sulle Mauritius. A tutti fu proibito di tornare alle terre di origine e molti di essi trascorsero il resto della vita tra privazioni, malattie, depressione e tossicodipendenza.

 

Gli esiliati delle Chagos iniziarono ben preso a rivendicare il diritto di tornare alle loro terre. Nel 1975, un abitante delle isole portò il caso di fronte all’Alta Corte di Londra, la quale sette anni più tardi favorì un accordo che prevedeva il pagamento da parte del governo britannico di una misera somma di nemmeno tremila sterline a 1.344 “chagossiani” che, semplicemente, avevano perso tutta la loro vita. In molti rifiutarono l’indennizzo e iniziarono uno sciopero della fame. Quelli che accettarono, furono costretti invece a firmare una dichiarazione di rinuncia al loro diritto a tornare sulle isole.

 

Nel 2009, poi, un documento segreto della diplomazia americana, pubblicato da WikiLeaks, aveva riportato la questione delle Chagos all’attenzione della comunità internazionale. In esso si documentavano i piani britannici di trasformare le isole in un’area marina protetta, non tanto per un qualche scrupolo ambientale, visto anche lo scempio di risorse ittiche compiuto dai militari USA, quanto per rendere “difficile, se non impossibile” il ritorno della popolazione originaria. Il documento spiegava, a questo proposito, che “la lobby ambientalista britannica era molto più potente dei sostenitori dei chagossiani”. Nel 2012, così, il caso finì davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani. Quest’ultima giudicò però inammissibile la denuncia degli abitanti delle Chagos, i quali dovevano ritenersi soddisfatti dell’accordo sottoscritto nel 1982 con Londra.

 

Dopo il voto di mercoledì all’ONU, il primo ministro delle Mauritius, Pravind Jugnauth, ha parlato di una decisione “chiara e inequivocabile”. Il comportamento del Regno Unito non può perciò che essere considerato “illegale” e, secondo lo stesso capo del governo, il rifiuto di accettare la risoluzione delle Nazioni Unite significa “niente di meno che essere a favore del colonialismo”. Nonostante il governo dell’arcipelago dell’oceano Indiano abbia sostenuto la causa contro l’ex potenza coloniale e abbia salutato gli ultimi sviluppi legali come un’affermazione del diritto degli abitanti delle Chagos a tornare sulle isole, il primo ministro Jugnauth sembra tuttavia avere principalmente a cuore interessi di diverso genere.

 

Come già aveva fatto dopo la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia a febbraio, il premier mauriziano ha mostrato infatti piena disponibilità a trovare un accordo sia con Londra sia con Washington per garantire la permanenza della base USA sull’isola Diego Garcia. Anzi, Jugnauth ha assicurato che il ritorno delle Chagos sotto la sovranità del suo paese “darebbe una più solida certezza legale” ai militari americani rispetto alla situazione attuale.

 

In definitiva, la classe dirigente delle Mauritius sembra vedere in un’eventuale restituzione delle isole Chagos da parte britannica i vantaggi economici e strategici che ne deriverebbero piuttosto che la correzione di un torto di portata storica e la restituzione ai rimanenti abitanti originari di un diritto pienamente riconosciuto anche dalle più importanti istituzioni internazionali.

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