La sconfitta incassata domenica dal proprio candidato alla carica di sindaco di Istanbul rischia di innescare una delicata crisi politica per il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Il successo del candidato dell’opposizione, Ekrem Imamoglu, potrebbe infatti accelerare le spinte centrifughe che sul fronte domestico minacciano l’integrità e la presa sul potere del partito di governo (AKP). Allo stesso modo, le pressioni internazionali si moltiplicheranno con ogni probabilità su un Erdogan in una posizione di crescente debolezza e già costretto a destreggiarsi tra una serie di delicate questioni aggravate dalle sue stesse scelte di politica estera in questi ultimi anni.

 

 

Il voto di domenica è stato la ripetizione di quello del 31 marzo scorso, quando il candidato dell’AKP, l’ex primo ministro Binali Yildirim, era stato battuto di misura da Imamoglu, ex  sindaco di un distretto di Istanbul. In quell’occasione, Imamoglu aveva ottenuto circa 13 mila consensi in più del suo rivale su più di 10,5 milioni di aventi diritto. Ad appoggiare Imamoglu sono principalmente il Partito Popolare Repubblicano kemalista (CHP) e il Buon Partito (IYI), di orientamento conservatore e laico.

 

Dopo il voto, Erdogan aveva subito gridato ai brogli e un’accesa campagna per l’annullamento della consultazione aveva convinto la Suprema Commissione Elettorale ad accogliere le richieste del presidente. L’elezione a sindaco di Istanbul era stata cancellata in accoglimento del reclamo di Erdogan che riguardava la presenza di 225 presidenti di seggio, su un totale di 30 mila, che non erano funzionari pubblici. Questo requisito è in effetti previsto dalla legge turca, ma la Commissione non aveva riscontrato brogli o irregolarità particolari nel corso delle operazioni di voto.

 

L’insistenza del presidente turco nel chiedere la ripetizione del voto si è alla fine trasformata in un boomerang. Infatti, Imamoglu ha fatto registrare un margine di quasi 800 mila voti su Yildirim, assicurandosi il 54% del totale di quelli espressi. Il candidato dell’AKP ne ha persi invece quasi 250 mila, molti dei quali probabilmente di elettori infastiditi dalle pressioni di Erdogan per la cancellazione del voto di fine marzo.

 

L’incapacità di accettare il risultato iniziale da parte del presidente ha così ingigantito il sentimento di frustrazione nei suoi confronti e del suo partito, già ampiamente diffuso a causa sia degli affanni dell’economia del paese euroasiatico sia delle tendenze autoritarie in atto da tempo. Visto il risultato del voto di domenica, anticipato dai sondaggi delle scorse settimane, Erdogan ha deciso così di riconoscere la sconfitta, stimando che un altro ricorso o un’altra polemica contro la vittoria di Imamoglu avrebbero ulteriormente alimentato i malumori a Istanbul e nel resto del paese.

 

La sconfitta dell’AKP in questa metropoli è comunque molto difficile da digerire per Erdogan. Oltre al valore simbolico del flop elettorale, visto che il presidente turco aveva iniziato la sua carriera politica da sindaco di Istanbul negli anni Novanta e che qui l’AKP ha la sua base di potere, la perdita del controllo sulla città più popolosa della Turchia ha conseguenze materiali non indifferenti per il suo partito.

 

Istanbul ha un bilancio di oltre sette miliardi di dollari, pari a quello del ministero della Difesa turco, e conta più di 80 mila dipendenti. Il controllo della città ha permesso a Erdogan e al suo partito di costruire una rete di rapporti con imprenditori che si sono aggiudicati imponenti appalti pubblici e, spesso, hanno ripagato l’AKP con generose donazioni. A sua volta, la municipalità di Istanbul ha elargito fondi per centinaia di milioni di dollari a organizzazioni e fondazioni vicine all’AKP che in questo modo hanno potuto consolidare e ampliare la base elettorale del partito stesso nella città.

 

Per quanto riguarda invece le dinamiche interne al partito, è evidente che i segnali di debolezza di Erdogan dopo quasi due decenni alla guida della Turchia verranno amplificati in seguito alla sconfitta di domenica. Almeno due fazioni all’interno dell’AKP potrebbero accelerare le spinte centrifughe già in atto, con quella che fa riferimento all’ex presidente turco Abdullah Gul e un’altra ancora, guidata dall’ex premier Ahmet Davutoglu, pronte alla spaccatura e al lancio di nuovi soggetti politici.

 

Da valutare sarà inoltre l’impatto della sconfitta di Istanbul e dell’eventuale indebolimento della posizione del presidente sulla politica estera di Ankara. In più di un commento al voto di domenica, sia sui media turchi sia su quelli occidentali, si è accennato a una possibile correzione delle strategie internazionali di Erdogan.

 

Il coinvolgimento della Turchia nella crisi siriana, in particolare, ha portato il governo di questo paese a perseguire politiche rischiose che hanno di fatto creato più di un dilemma con l’intensificarsi delle tensioni in Medio Oriente. Le difficoltà generate dalla crisi economica in corso, dal dilagare della corruzione e dalla deriva anti-democratica sotto la guida di Erdogan si sono aggiunte al clima infuocato sul fronte delle relazioni con la NATO e l’Occidente.

 

La partnership costruita con la Russia di Putin e il ruolo delle milizie curde in Siria stanno creando una rottura senza precedenti con gli alleati tradizionali di Ankara, mettendo in allarme non pochi all’interno della classe dirigente turca. Le possibili sanzioni che gli Stati Uniti minacciano di imporre se Erdogan finalizzerà l’acquisto del sistema difensivo anti-missilistico russo S-400 potrebbero poi aggiungere un nuovo elemento d’instabilità per il governo dell’AKP.

 

Le forze che vedono con preoccupazione l’allontanamento della Turchia dalla NATO fanno d’altra parte e in larga misura riferimento al CHP, tradizionalmente il partito delle élites laiche e filo-occidentali, e la recente vittoria di Imamoglu potrebbe essere perciò vista come la prima fase della sfida all’egemonia di Erdogan.

 

Al centro della crisi politica in Turchia, mostrata in tutta la sua portata dalla sconfitta del candidato dell’AKP nelle elezioni di domenica a Istanbul, c’è in definitiva la disputa e le divisioni sul percorso futuro di questo paese, ancorato a livello ufficiale alle alleanze occidentali ma attratto inesorabilmente dalle dinamiche multipolari che hanno sempre più verso oriente il loro centro di gravità.

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