Dopo l’avvio formale delle procedure di impeachment contro il presidente americano Trump da parte dei leader del Partito Democratico, le due parti stanno affilando i coltelli in vista di uno scontro politico che si annuncia durissimo e potenzialmente in grado di destabilizzare il sistema “democratico” degli Stati Uniti. La Casa Bianca sta opponendo una certa resistenza alle richieste iniziali dei democratici al Congresso, mentre lo stesso presidente continua a contrattaccare con toni durissimi, agitando nemmeno troppo velatamente lo spettro della guerra civile.

Il processo in fase di apertura nei confronti di Trump ha coinvolto a inizio settimana anche il segretario di Stato, Mike Pompeo, non appena si è diffusa la notizia che quest’ultimo era uno dei presenti alla telefonata del 25 luglio scorso tra il presidente USA e quello ucraino, Volodymyr Zelensky, da cui ha preso le mosse l’impeachment. Una delle commissioni della Camera dei Rappresentanti incaricate dell’indagine sul presidente ha richiesto la testimonianza di cinque funzionari ed ex funzionari del dipartimento di Stato interessati dai fatti.

 

Pompeo ha però opposto resistenza, assicurando che farà tutto il possibile per evitare che i democratici possano “intimidire” i diplomatici in questione. Il Partito Democratico ha a sua volta avvertito il segretario di Stato che la mancata apparizione dei testimoni richiesti sarebbe anch’essa un atto passibile di impeachment. Mercoledì, inoltre, i leader democratici hanno avvertito la Casa Bianca che dovranno essere consegnati entro i prossimi giorni tutti i documenti richiesti relativi al caso Ucraina.

Uno dei diplomatici, Kurt Volker, dimessosi recentemente da inviato speciale per l’Ucraina, ha comunque deciso di apparire giovedì davanti al Congresso. Volker è ritenuto un testimone chiave, visto che avrebbe favorito gli incontri tra Zelensky e Rudolph Giuliani, avvocato personale di Trump incaricato di fare pressioni sulle autorità di Kiev per riaprire un procedimento legale contro l’ex vice-presidente, Joe Biden, e suo figlio, Hunter.

La procedura di impeachment era scattata appunto in seguito alla segnalazione di un tuttora ignoto agente dell’intelligence americana che aveva giudicato illegale e una minaccia alla sicurezza nazionale la richiesta di Trump al presidente ucraino di favorire un’indagine su quello che potrebbe diventare il suo principale sfidante nelle elezioni presidenziali del 2020. Trump avrebbe anche minacciato il blocco di centinaia di milioni di dollari in aiuti militari destinati a Kiev se Zelensky non avesse acconsentito alle sue richieste. Dalla trascrizione della telefonata del 25 luglio scorso tra i due leader, resa pubblica settimana scorsa dalla Casa Bianca, erano effettivamente emersi gli “inviti” fatti da Trump al suo omologo ucraino, mentre non vi erano riferimenti alla questione degli aiuti congelati.

La Casa Bianca sta ad ogni modo rispondendo in maniera tutt’altro che univoca alla minaccia dell’impeachment e la confusione è probabile possa aumentare nei prossimi giorni o settimane in concomitanza con l’apparire di nuovi fronti d’attacco contro il presidente. La stampa filo-democratica, con New York Times e Washington Post in prima linea, ha già pubblicato svariate “rivelazioni”, con ogni probabilità su imbeccate degli ambienti dell’intelligence, che dovrebbero aggravare la posizione di Trump.

Ad esempio, nei giorni scorsi era stato raccontato di come il presidente americano avesse cercato la collaborazione anche del governo australiano nel raccogliere elementi di indagine per screditare Biden e, più in generale, il Partito Democratico. Oltre alla vicenda riguardante l’ex vice-presidente democratico, accusato di avere fatto pressioni sulla precedente amministrazione ucraina per lasciar cadere le indagini sul figlio, seduto a lungo nel consiglio di amministrazione di una compagnia energetica coinvolta in un caso di corruzione, le richieste di Trump ai leader stranieri riguardano anche un altro fronte piuttosto delicato.

In gioco c’è infatti l’origine del “Russiagate” e la provenienza dell’attacco informatico del 2016 ai danni del server del Comitato Nazionale del Partito Democratico che rivelò e-mail e documenti vari dimostranti il complotto dei vertici di quest’ultimo per favorire la conquista della nomination di Hillary Clinton sul suo sfidante, Bernie Sanders. La versione ufficiale vuole che gli hacker fossero non solo russi, ma anche legati al Cremlino, mentre ci sono svariate indagini indipendenti che farebbero risalire il tutto proprio all’Ucraina. Se così fosse, il “Russiagate” sarebbe un’operazione costruita a tavolino negli ambienti filo-democratici per penalizzare Trump, ma questa ricostruzione viene tenuta a debita distanza dai media ufficiali americani, i quali ne parlano soltanto per bollarla come una screditata “teoria cospirazionista”.

Con le pressioni che stanno salendo rapidamente, Trump sembra avere intanto tutta l’intenzione di intensificare gli appelli alla sua base di estrema destra nel paese e in determinati ambienti dell’apparato del governo. In un tweet scritto martedì, il presidente ha mostrato una mappa elettorale delle presidenziali del 2016, invitando simbolicamente i suoi oppositori ad allargare l’impeachment a quelle contee americane e a quegli elettori che lo hanno votato.

Con un richiamo esplicito alla “guerra civile” in caso di una sua rimozione dalla Casa Bianca per mano del Congresso, Trump ha fatto capire come esista la concreta possibilità addirittura di una rivolta armata dei suoi sostenitori. Poche altre interpretazioni, oltre a quest’ultima, può d’altra parte avere anche la visita della settimana scorsa alla Casa Bianca del numero uno della potente lobby dei fabbricanti di armi (NRA), con il quale il presidente avrebbe discusso delle modalità con cui l’organizzazione potrebbe contribuire alla difesa dall’impeachment.

Che Trump sia disposto a percorrere tutte le strade per uscire indenne dalla procedura di incriminazione avviata dal Congresso è apparso evidente anche dalle invettive inquietanti rivolte contro esponenti del Partito Democratico e lo stesso agente della CIA che ha innescato l’impeachment. Nei confronti di quest’ultimo ha ipotizzato indirettamente un processo per tradimento e una possibile condanna a morte. Trump ha poi auspicato l’arresto del presidente della commissione Intelligence della Camera, Adam Schiff, e denunciato come “selvaggi” altri deputati democratici di religione ebraica e appartenenti a minoranze razziali.

In parallelo alla strategia basata sulla mobilitazione dell’estrema destra e sul ricorso a metodi extra-costituzionali, la Casa Bianca punta a sfruttare elettoralmente la procedura di impeachment lanciata dal Partito Democratico. In questo caso, non è da escludere che gli sforzi possano avere un qualche successo. La vicenda è soltanto all’inizio e gli sviluppi dei prossimi mesi chiariranno meglio gli equilibri, soprattutto all’interno del Partito Repubblicano, che si verranno a creare con l’evolversi del procedimento. Il rischio che la scommessa dei democratici finisca molto male è tuttavia già molto concreto. La ragione principale è da collegare in primo luogo al fatto che la scintilla che ha fatto scattare l’impeachment, dopo oltre due anni di incertezze, non è stata il sentimento di repulsione nei confronti delle politiche autoritarie del presidente Trump, bensì l’intervento della comunità dell’intelligence americana.

L’iniziativa contro il presidente, strettamente limitata ai confini della “sicurezza nazionale”, è cioè la conseguenza della rottura degli indugi di quella parte del cosiddetto “deep state” che si oppone a Trump non per la natura anti-democratica delle sue politiche, quanto per la minaccia che egli rappresenta agli interessi strategici degli Stati Uniti. La confusione della condotta della Casa Bianca sul piano globale ha minato seriamente le posizioni dell’imperialismo americano e, concretamente, le azioni di Trump hanno, tra l’altro, allentato sia pure in maniera relativa le pressioni sulla Russia, emarginato Washington nella risoluzione della crisi in Siria e messo a repentaglio le alleanze tradizionali, prima fra tutte quella con l’Europa. Il riferimento dei democratici impegnati a destituire Trump dal suo incarico sono dunque questi ambienti governativi, militari e dell’intelligence, mentre ogni sforzo sarà messo in campo per evitare una mobilitazione popolare contro l’amministrazione più reazionaria della storia americana.

Se, infine, il comportamento di Trump con il presidente ucraino Zelensky è quantomeno discutibile, il caso che ha portato all’apertura dell’impeachment  ha evidenziato anche e soprattutto gli aspetti oscuri del ruolo svolto da Joe Biden nell’ex repubblica sovietica. Il nuovo regime uscito dal colpo di stato promosso dall’Occidente a Kiev nel 2014 aveva sconvolto gli equilibri all’interno della classe degli oligarchi che controllavano e controllano tuttora l’economia e la politica in Ucraina. Uno di questi multi-miliardari, Mykola Zlochevsky, aveva allora offerto una posizione molto redditizia ai vertici della propria compagnia (Burisma) al figlio del vice-presidente americano, nonostante fosse sprovvisto di competenze particolari in ambito energetico. Lo studio legale di cui fa parte Hunter Biden aveva così ricevuto pagamenti per svariate centinaia di migliaia di dollari in cambio di nessuna prestazione, ma fondamentalmente solo per i vantaggi derivanti dalla linea diretta col secondo uomo più potente degli Stati Uniti.

Quando il procuratore generale ucraino mise gli occhi su questa compagnia e il figlio di Biden rischiava di finire imbrigliato in un procedimento legale, il vice di Obama decise di intervenire con le autorità di Kiev, minacciando a sua volta lo stop agli aiuti destinati a un paese precipitato in una gravissima crisi economica. In seguito, lo stesso Biden si sarebbe vantato pubblicamente di avere di fatto ricattato il governo ucraino, imponendo il licenziamento del procuratore in questione.

Pur in presenza di elementi addirittura auto-incriminanti, la giustizia ucraina avrebbe archiviato il caso riguardante la compagnia energetica legata a Hunter Biden. Il procedere dell’impeachment contro Trump potrebbe però far riemergere aspetti indesiderati per l’ex vice-presidente democratico e il suo partito rischia di veder bruciare l’attuale favorito alla nomination per il 2020. A meno che, come ipotizzano alcuni, i vertici democratici abbiano già messo in conto il sacrificio di Joe Biden, considerato un candidato tutto sommato debole per la Casa Bianca, visti i suoi legami fin troppo compromettenti con quell’establishment tradizionale che Trump intende demonizzare per combattere l’impeachment e aprirsi la strada verso la rielezione.

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