Con la presentazione ufficiale degli “articoli di impeachment” che la Camera dei Rappresentanti americana intende contestare a Donald Trump, è ormai certo che il procedimento di incriminazione nei confronti di quest’ultimo sfocerà in un voto dell’aula e nel successivo processo al Senato che dovrà decidere l’eventuale rimozione del presidente degli Stati Uniti. La strategia scelta dal Partito Democratico sembra riflettere la debolezza delle accuse contro l’inquilino della Casa Bianca, la cui permanenza al potere dovrebbe essere oltretutto garantita dalla maggioranza repubblicana alla camera alta del Congresso, tanto da sollevare un più che legittimo interrogativo sulle ragioni che hanno innescato un’operazione destinata con ogni probabilità al fallimento.

 

Come previsto, le commissioni Intelligence e Giustizia della Camera hanno deciso di limitare a due i capi d’accusa contro Trump: abuso di potere in merito al cosiddetto “Ucrainagate” e ostruzionismo nei confronti dell’indagine condotta dal Congresso. Il primo articolo riguarda le pressioni fatte sul presidente ucraino, Volodymyr Zelenski, per aprire indagini giudiziarie sugli affari nell’ex repubblica sovietica del figlio dell’ex presidente USA, Joe Biden. In cambio, Trump avrebbe sbloccato circa 400 milioni di dollari in aiuti militari già stanziati per l’Ucraina e garantito una visita alla Casa Bianca a Zelensky.

La seconda accusa ha a che fare invece con l’opposizione sistematica da parte di Trump alle richieste di documenti e alle convocazioni di testimoni sottoposte alla Casa Bianca dai democratici nel quadro del procedimento contro il presidente. Questo atteggiamento avrebbe indebolito il principio costituzionale del controllo del potere legislativo sull’esecutivo. In generale, l’argomento centrale dell’accusa si basa sul comportamento di Trump che avrebbe rappresentato un “chiaro e ancora esistente pericolo” per il processo elettorale e, soprattutto, per la “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti.

Trump avrebbe in sostanza invitato un governo straniero a interferire nelle vicende politiche USA per il proprio vantaggio, penalizzando Biden, ritenuto almeno fino a qualche mese fa il chiaro favorito alla nomination per il Partito Democratico. Questa accusa ricalca quasi alla lettera quella rivolta contro lo stesso presidente per oltre due anni, ma con la Russia al posto dell’Ucraina e le elezioni del 2016 invece di quelle del prossimo novembre.

In questo senso, l’impeachment è la prosecuzione della caccia alle streghe del “Russiagate”, di fatto naufragato dopo che l’indagine del procuratore speciale, Robert Mueller, non aveva trovato alcuna prova di “collusione” tra Trump e il governo di Mosca. Come questa vicenda, anche quella in corso per l’incriminazione del presidente non ha nessuna implicazione democratica, ma è il riflesso della guerra interna ai vari poteri dello stato americano che si sta combattendo attorno a questioni legate agli interessi strategici della classe che controlla il potere nel paese. I motivi per mettere sotto accusa Trump non sarebbero peraltro mancati, viste le indiscutibili tendenze autoritarie mostrate fin da subito, ma il Partito Democratico ha scelto di evitare accuratamente una battaglia in questo senso.

Come aveva spiegato qualche giorno fa la “speaker” della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, nel caso dei crimini o presunti tali di Trump “tutte le strade portano a Putin”. Ovvero, anche le manovre della Casa Bianca in relazione all’Ucraina avrebbero finito per favorire il Cremlino. Questo risultato sarebbe stato ottenuto da Trump con l’indebolimento del legame tra Washington e Kiev, dopo che gli Stati Uniti avevano investito enormemente per attrarre l’Ucraina nell’orbita occidentale e fare di questo paese un avamposto delle trame anti-russe.

Questo aspetto della vicenda è probabilmente decisivo per comprendere le ragioni di un impeachment che, è facile prevedere, non supererà l’ostacolo del Senato. L’offensiva contro Trump era scattata su impulso degli ambienti dell’intelligence americana che, dopo la famigerata telefonata del 25 luglio scorso tra il presidente USA e quello ucraino, avevano convinto la leadership democratica a muoversi verso l’impeachment nonostante lo scetticismo mostrato fino ad allora dal partito per questa opzione.

Anche se Trump resterà quasi certamente al suo posto al termine del procedimento, l’operazione rappresenta un messaggio chiarissimo lanciato alla Casa Bianca circa le priorità strategiche dell’apparato di potere americano. Il risultato, nelle intenzioni degli oppositori del presidente, dovrebbe essere così un abbandono delle velleità di distensione nei confronti di Mosca in un’eventuale seconda amministrazione Trump.

Questa interpretazione aiuta anche a spiegare il motivo della scelta di “articoli di impeachment” piuttosto vaghi da parte del Partito Democratico, i cui leader alla Camera hanno deciso di escludere capi d’accusa specifici come quello di “corruzione”, più difficile da provare ma con tutto un altro peso dal punto di vista legale. Quello che conta, in altri termini, sembra essere appunto l’avvertimento da indirizzare alla Casa Bianca, vista anche l’impossibilità di mettere assieme una maggioranza di due terzi dei senatori per votare la rimozione del presidente dal suo incarico.

Ciò che resta da verificare sono le ripercussioni che l’impeachment avrà sulle fortune elettorali del Partito Democratico. Evidentemente, una volta archiviata l’incriminazione di Trump, i repubblicani utilizzeranno l’arma dell’impeachment contro i rivali in vista del novembre 2020. Il fatto che i leader democratici si siano avventurati su una strada così insidiosa dipende non tanto dai loro scrupoli democratici, da assecondare indipendentemente dai contraccolpi politici, quanto dalla trasformazione del loro partito in un punto di riferimento dei poteri forti dentro il governo USA, allarmati dalla deriva intrapresa dall’amministrazione Trump soprattutto in materia di politica estera.

Ad ogni modo, la prima fase del procedimento contro Trump dovrebbe ora avanzare in maniera spedita. Forse già giovedì, la commissione Giustizia della Camera dovrebbe approvare gli “articoli di impeachment” annunciati martedì. L’aula sarà allora chiamata a esprimersi nel suo insieme e il voto di una maggioranza semplice, probabilmente la prossima settimana, basterà a inviare il caso al Senato.

Qui, la leadership repubblicana di maggioranza sarà obbligata ad aprire un vero e proprio processo contro il presidente, che prenderà il via all’inizio del prossimo anno. La Casa Bianca ha già promesso una strategia difensiva bellicosa che, salvo clamorose sorprese, preparerà il campo alla bocciatura definitiva dell’impeachment, nonostante le riserve sul comportamento di Trump espresse più o meno apertamente anche da svariati senatori repubblicani.

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