Furiose proteste si stanno rapidamente espandendo in molte località dell’India contro una nuova legge gravemente discriminatoria approvata la scorsa settimana dal governo federale di estrema destra del primo ministro Narendra Modi. Il provvedimento introduce modifiche alla legge sulla “cittadinanza” e, assieme ad altre iniziative già adottate e in fase di studio sul censimento della popolazione, è diretto contro la minoranza di fede musulmana e prefigura la trasformazione dell’India da stato laico a nazione dai caratteri prettamente indù.

 

Il “Citizenship Amendment Act” (CAA) nasconde dietro a intenzioni ufficialmente umanitarie un obiettivo ben preciso, quello appunto di alimentare il nazionalismo induista a spese dei circa 200 milioni di musulmani che vivono in India, così come di quelli soggetti a persecuzioni nei paesi vicini. La legge garantisce la cittadinanza indiana agli immigrati dall’Afghanistan, dal Bangladesh e dal Pakistan prima del 2015 solo se appartenenti a una delle seguenti fedi: induista, sikh, buddista, jainista, parsi e cristiana.

Dalla protezione garantita dall’India restano esclusi dunque in primo luogo i musulmani, nonostante le centinaia di migliaia di “Rohingya” costretti a fuggire dal Myanmar negli ultimi anni, ma anche la minoranza Tamil, oggetto di discriminazioni e violenze nello Sri Lanka. Per quanto riguarda i musulmani, il governo indiano ha spiegato la loro esclusione dal provvedimento appena approvato col fatto che essi possono già trovare ospitalità in paesi vicini, le cui strutture statali si ispirano alla fede islamica.

Contro la nuova legge si sono subito scatenate accese dimostrazioni, in buona parte promosse dagli studenti universitari in varie località dell’India. Particolarmente intensa è stata l’opposizione al governo Modi nel campus della Jamia Millia Islamic University di Nuova Delhi. Qui, nella giornata di domenica, la polizia ha fatto irruzione attaccando selvaggiamente i manifestanti e facendo ampio uso di gas lacrimogeni.

Altre università sono state teatro di proteste e scontri, mentre la mobilitazione contro la legge sulla cittadinanza si è estesa un po’ ovunque, dalla capitale federale allo stato del Kerala, da quello di Tamil Nadu al Punjab, dal Maharashtra al Bengala occidentale. In alcune aree nord-orientali, come nello stato di Assam, le proteste hanno avuto invece un carattere per lo più reazionario, nel timore che la CAA finisca per garantire la cittadinanza indiana agli immigrati indù dal Bangladesh e accentuare la competizione per lavoro e risorse tra la popolazione più povera.

In un intervento pubblico del fine settimana, il premier Modi ha parlato della situazione nel paese, lasciando intendere però che i responsabili delle violenze sono proprio i musulmani. La reazione del capo del governo di Delhi è perfettamente coerente con la strategia perseguita dal suo partito (BJP), intenzionato ad alimentare il nazionalismo, se non il suprematismo, indù per compattare la maggioranza della popolazione attorno ad un’agenda economica ugualmente reazionaria.

Il disegno di Modi e del BJP assume contorni ancora più chiari se si considera la questione del censimento o “National Register of Citizens” (NRC). Questo piano prevede che tutti gli oltre 1,3 miliardi di residenti in India presentino “prove” della loro cittadinanza. Anche in questo caso, a essere discriminati saranno soprattutto i musulmani. Ciò è infatti accaduto nell’unico stato che ha visto finora l’implementazione del NRC, quello di Assam. Qui, il censimento ultimato la scorsa estate ha stabilito che 1,9 milioni di residenti, in larga misura musulmani, sono di fatto “immigrati illegali”, pur vivendo in molti casi in India da decenni.

Se il NRC fosse applicato su scala nazionale, come intende fare entro il 2024 il governo Modi, gli appartenenti alla minoranza musulmana potrebbero nella migliore delle ipotesi diventare cittadini di serie B. In molti, addirittura, rischierebbero di restare senza nazionalità ed essere deportati verso paesi a loro estranei o finire in campi di detenzione per immigrati clandestini che il governo starebbe già predisponendo.

L’insistenza di Modi e del BJP, su iniziativa degli ambienti fondamentalisti indù extra-parlamentari, nell’adottare misure anti-musulmane per dividere la popolazione è spiegata proprio dal carattere sostanzialmente anti-settario che stanno assumendo le proteste di questi giorni. Gli esempi di questa accelerazione ultra-reazionaria da parte del governo centrale sono d’altra parte molteplici. Solo a partire dalle elezioni dello scorso maggio, nelle quali Modi ha ottenuto un secondo mandato, sono stati almeno altri due gli eventi eclatanti che confermano questo processo.

Il primo e più grave risale ai primi di agosto, quando il governo, con una mossa anti-costituzionale, aveva cancellato l’autonomia dello stato di Jammu e Kashmir, l’unico a maggioranza musulmana di tutta l’India. Il territorio è passato di fatto sotto il controllo diretto di Delhi e, per prevenire una rivolta, è stata implementata una durissima repressione, fatta di arresti di massa, dispiegamento di decine di migliaia di forze di sicurezza e sospensione della rete internet e telefonica.

A ottobre, poi, la Corte Suprema indiana aveva assecondato il BJP con una sentenza provocatoria che permetterà la costruzione di un tempio dedicato a una divinità indù su un sito dove nel 1992 una folla di fanatici aveva raso al suolo una moschea risalente al 16esimo secolo. Questo episodio aveva scatenato un’ondata di violenze settarie come mai si erano viste dopo la divisione dell’ex colonia britannica tra India e Pakistan nel 1947.

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