di Matteo Ghiglione e Giorgio Cavallaro

Strano destino quello dell’intervento militare in Afghanistan. La missione, che era stata creata in un clima di profondo consenso da parte dei paesi occidentali, arriva al suo sesto anno dilaniata da una profonda crisi. Per capire quanto grave sia il problema basta dare una occhiata alle parole del segretario Jaap de Hoop Scheffer: "Tutti sono consapevoli degli enormi progressi che sono stati fatti negli ultimi anni, ma si può fare di più e si deve fare di più". Detto in parole semplici: l’alleanza non riesce ad avanzare nella sua offensiva anti-talebana, anzi questi sono ogni giorno più forti. Scheffer ha chiesto ai paesi impegnati di aumentare il loro sforzo, inviando nuove truppe o permettendo l’utilizzo in zone di combattimento di quelle già dislocate. Il problema è che alcuni stati rifiutano di inserirsi in zone di guerra. Il vertice di Riga, del Novembre 2006, stabiliva un precario compromesso fra combattenti come USA o Gran Bretagna e i dislocati in aree pacificate come Italia, Germania e Francia. In vista della primavera, e quindi di una offensiva, il ministro della Difesa USA ha proposto di rivedere l’accordo in modo da far sì che tutte le truppe in Afghanistan combattano senza che vi siano “situazioni eccezionali”. E senza la necessità di ricorrere ogni volta all’autorizzazione dei governi nazionali. La richiesta lascia perplessi i governi interessati, che rispondono in maniera diversa fra loro. La più possibilista è stata Angela Merkel che, inizialmente dubbiosa, ha promesso l’invio di sei Tornado e 500 uomini divisi in operativi e personale di supporto. Sull’argomento la Premier era stata vaga affermando che “in caso di emergenza” la Germania avrebbe spostato truppe nell’area calda: il sud del paese. Il problema è che per la NATO questa è una situazione di emergenza. La primavera sta arrivando ed è meglio premunirsi. Una decisa inversione di tendenza rispetto agli anni di Schroeder, dove i rapporti Berlino-Washington non erano mai stati esaltanti. Sotto il premier socialdemocratico, infatti, i militari tedeschi stanziati nel sud ammontavano soltanto a cento.

Di segno opposto la decisione francese. Anche il governo di Parigi si dichiara pronto a spostare truppe in caso di emergenza. Tuttavia nel frattempo opta per un parziale ritiro delle sue forze speciali, ancora impegnate nell’Est sotto le insegne della missione “Enduring Freedom”. Attirandosi così le ire di Lord Carrington. L’ex segretario generale del Patto Atlantico ha accusato senza mezzi termini Francia e Germania di non contribuire abbastanza allo sforzo bellico. Se il rimprovero è stato accettato con tante scuse dalla filo-atlantista Merkel, non ha sfiorato minimamente il nazionalismo gollista del Presidente Chirac. Di sicuro nessuno può rimproverare alcunché alla Gran Bretagna. Il governo laburista, con grande scorno delle opposizione, rafforza ogni giorno di più la sua amicizia con Washington. Ottocento uomini aggiuntivi, più le sostituzioni con truppe fresche degli stanchi “Royal Marines” è la dote che Londra porta con sé. In totale si arriva quindi a 5800 uomini, il contingente più ampio dopo quello americano.

Rimane invece stabile la presenza spagnola. Zapatero ha escluso categoricamente alcun aumento, persino quello labile di 130 ufficiali da mandare a Kabul. La posizione di Madrid è decisamente particolare, dal prossimo Agosto il comando della missione Isaf passerebbe infatti agli spagnoli. L’impressione è che però, nonostante questo, qualcuno inizi ad avere dei dubbi. Come molti in Europa Zapatero ha forti perplessità sulla natura strategica della missione, orientata al 90% verso l’aspetto militare a discapito di quello politico. Ad irritare gli atlantisti è però il fatto che, a differenza di altri paesi, qui le critiche sono presentate in maniera estremamente chiara e visibile.

I Paesi Bassi sono già ad oggi tra i paesi impegnati nelle operazioni militari nell’Afghanistan meridionale, forti di 2200 uomini. Del resto l’attuale segretario generale della NATO è di nazionalità olandese. A far scalpore però nei confronti dei disciplinatissimi soldati olandesi è la questione dell’oppio. Il punto di rottura con Karzai è arrivato al momento in cui gli olandesi hanno deciso di non dedicarsi alla distruzione delle coltivazioni di papavero. Politica fortemente voluta dal Primo Ministro afgano. Due le ragioni: una di natura “politica”, essendo il papavero la principale produzione, distruggerlo significa inimicarsi profondamente la popolazione. Il secondo punto è di carattere militare: si sottraggono soldati alle azioni militari per mandarli a bruciare obbiettivi militarmente insignificanti come i campi.

Spostandoci verso il Centro-Europa, rilevante, ma intuibile, è la decisione della Polonia, i cui 600 soldati, promessi nel Settembre 2006, si vanno ad aggiungere ai 160 già schierati nell’Est del paese. La Grecia invece ha deciso di contribuire soltanto sul lato dei mezzi, fornendo gli elicotteri necessari al supporto delle operazioni nei teatri di combattimento.

Più sfumata la posizione del nostro paese. Il governo Prodi è stretto fra la volontà di pacifisti e sinistra radicale, interessati ad un ritiro delle truppe, e le frange più moderate che auspicano il rispetto degli impegni precedentemente intrapresi. Come la Spagna anche l’Italia ha deciso di non aumentare le proprie truppe e, come la Grecia, si limita a spedire un aereo da trasporto, il C130, totalmente disarmato e due Predator. Aerei che, venendo meno al loro nome, sono semplici ricognitori senza pilota. Un magro bottino per l’Alleanza abituata a ben altri impegni da parte del precedente esecutivo. Da qui la decisione degli ambasciatori di USA, Gran Bretagna, Australia, Canada, Olanda e Romania. I Sei hanno preso carta e penna e si sono rivolti, tramite lettera, al popolo italiano. Formula questa particolarmente sprezzante dato che, di norma, ci si rivolge agli organi di rappresentanza o ai governi. La forma utilizzata dalle feluche sembra voler non riconoscere il governo italiano come legittimo interlocutore. In diplomazia, come nel diritto, la forma è sostanza e ne è venuto fuori un piccolo incidente diplomatico.

Insomma, il vero dato politico che emerge dalla partecipazione internazionale in Afghanistan è una sempre più netta divisione politica all’interno dell’Unione Europea. Ancora una volta di più Bruxelles si rivela un colosso dai piedi di argilla, incapace di elaborare una politica estera comune, se non in una vaga linea di principio, su argomenti così vasti ed attuali come terrorismo e guerra.

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