Se c’era ancora qualche illusione sulla possibilità per gli Stati Uniti di voltare pagina dopo l’uscita di scena di Trump, è bastato osservare il clima surreale che ha avvolto la cerimonia di insediamento di Joe Biden per capire come la realtà che attende il 46esimo presidente americano sarà ben difficilmente quella di un paese stabile e in grado di tornare in fretta a una qualche forma di normalità “democratica”. L’amministrazione entrante dovrà misurarsi da subito con una crisi economica, sociale e sanitaria spaventosa, mentre sullo sfondo non si fermerà la mobilitazione dell’estrema destra, per combattere la quale l’establishment di Washington, ristabilitosi definitivamente al potere, non dispone semplicemente di nessuno strumento.

 

Il giuramento di Biden è avvenuto in uno scenario dominato dalla presenza di 25 mila soldati della Guardia Nazionale, cioè un numero superiore a quello del contingente impegnato complessivamente in Iraq e in Afghanistan, per impedire attentati contro il nuovo presidente o attacchi di milizie neo-fasciste simili a quello registrato al Congresso esattamente due settimane fa. Muri di protezione, filo spinato, checkpoint delle forze di sicurezza hanno contribuito ad alimentare la sensazione di assedio della capitale, mentre la presenza di migliaia di bandiere al posto del pubblico, solitamente presente alle inaugurazioni presidenziali, è sembrata trasformare l’evento in una sorta di funerale della declinante democrazia americana.

Le divisioni all’interno della classe dirigente USA sono un altro dei fattori dominanti della transizione politica appena completata, manifestatesi clamorosamente con l’appoggio di un numero nutrito di repubblicani al tentato golpe di Trump e con la mancata apparizione dello stesso presidente uscente all’insediamento di Biden. Una situazione, quest’ultima, che non si verificava addirittura dal 1869, anno che segnò la fine della presidenza di Andrew Johnson e l’inizio di quella di Ulysses S. Grant.

Proprio le spinte insurrezionali rappresentano il motivo più immediato di preoccupazione. Con l’emergere delle informazioni sugli eventi del 6 gennaio scorso appare d’altronde sempre più chiara la natura tutt’altro che spontanea dell’assalto al Congresso e la partecipazione di appartenenti a milizie armate di estrema destra, ma anche di politici repubblicani locali e di rilievo nazionale e membri di svariati corpi militari e di polizia. Una realtà inquietante confermata anche dalla necessità, resa nota dal Pentagono e dall’FBI, di effettuare indagini approfondite su tutti e 25 mila gli uomini reclutati per vigilare sull’inaugurazione della presidenza Biden. Martedì era circolata la notizia che almeno dodici militari avevano dovuto essere sostituiti a causa di precedenti o legami di qualche genere con ambienti “estremisti”.

Il giuramento di Biden ha avuto luogo inoltre poco dopo che gli Stati Uniti hanno superato il numero di 400 mila morti per Coronavirus e con lo spettro di un’ulteriore impennata di casi a fronte di una realtà che vede le strutture sanitarie di molti stati in condizioni drammatiche. La devastazione del Covid-19 è la sfida più gravosa per l’amministrazione democratica e, al di là delle promesse e degli impegni dei mesi scorsi, un approccio più scientifico e razionale alla pandemia potrebbe avere un impatto poco più che trascurabile se le politiche implementate saranno sempre e comunque improntate alla salvaguardia di profitti e grandi interessi.

Archiviato il giuramento, Biden si appresterà a firmare una raffica di decreti per ribaltare le politiche di Trump in vari ambiti, come quello dell’immigrazione o del cambiamento climatico con il rientro formale degli Stati Uniti nel trattato di Parigi. La prima questione importante che impegnerà il neo-presidente sarà però il nuovo pacchetto di aiuti economici per un paese stremato dal virus. Pochi giorni fa, Biden ha presentato una proposta da quasi duemila miliardi di dollari che è stata promossa come un elenco di provvedimenti di natura progressista. Alcune misure, oltretutto, non sono direttamente collegate all’emergenza pandemica, ma rappresentano cavalli di battaglia della “sinistra” del Partito Democratico, come l’innalzamento a 15 dollari l’ora dei salari minimi.

Se anche così fosse, è difficile non vedere nelle promesse di Biden una via d’uscita illusoria alla crisi. Come sempre, le prese di posizione formalmente “progressiste” dei democratici saranno piuttosto il punto di partenza di una trattativa con i repubblicani, al termine della quale di progressista resterà ben poco. Ciò nonostante la maggioranza democratica in entrambe le camere del Congresso, che darebbe la possibilità al partito di Biden di concretizzare le proposte presentate agli americani. Ancora prima dell’ingresso di Biden alla Casa Bianca, infatti, i leader dei due partiti al Senato, dove i democratici avranno una risicatissima maggioranza solo grazie al voto della vice-presidente Kamala Harris, si sono incontrati per tracciare la strada di una collaborazione bipartisan nell’attività legislativa.

L’attitudine della nuova amministrazione nei prossimi quattro anni si è intravista nel discorso tenuto mercoledì da Biden dopo il giuramento. A prevalere è stato l’appello all’unità e a mettere fine a quella che ha chiamato una “guerra incivile” in America. L’unità di cui parla il presidente entrante non è tuttavia quella dell’intero paese, quanto piuttosto della classe dirigente americana, chiamata a gestire una delle più gravi crisi della storia recente. Il richiamo all’unità in uno scenario segnato dalla partecipazione attiva di una parte politica a complotti eversivi la dice lunga sulle intenzioni e la natura di Biden e del suo partito.

La collaborazione con i repubblicani è in sostanza necessaria per ricompattare un establishment scosso alle fondamenta dalla crisi e dalle esplosive tensioni sociali accumulate. L’unità deve essere ritrovata anche per cercare di rilanciare la presenza degli Stati Uniti sugli scenari internazionali, in presenza soprattutto di dinamiche multipolari che, invece di essere fermate in questi ultimi quattro anni, sono state di fatto accelerate dalle politiche dell’amministrazione Trump.

Sul fronte domestico, l’uscita dal tunnel sarà resa enormemente complicata dalle condizioni stesse del sistema America e dai cambiamenti strutturali di questi anni. Prima fra tutte la fragilità delle fondamenta su cui si regge un’economia che guarda quasi esclusivamente a Wall Street e garantisce un’incessante quanto illusoria crescita degli indici di borsa solo grazie a tassi di interesse infimi e al flusso ininterrotto di denaro garantito dalla Fed. In definitiva, gli Stati Uniti di Biden non avranno le risorse, oltre che la volontà politica, per arrestare la crisi e risolvere le contraddizioni sociali incanalatesi pericolosamente verso il populismo e l’estrema destra. Le priorità resteranno così gli interessi dell’oligarchia e l’impulso alla militarizzazione, imprescindibile per sostenere la competizione con le potenze emergenti del pianeta.

Ancora prima dell’inizio del mandato di Biden, si sono d’altra parte già potute intuire le prospettive del nuovo presidente con le nomine per gli incarichi più importanti della nuova amministrazione. La gran parte dei prescelti, molti dei quali stanno già sostenendo le audizioni al Senato per ottenere la conferma prevista dalla Costituzione USA, sono “falchi” che hanno già servito durante la presidenza Obama o hanno precedenti anche molto recenti ai vertici delle grandi banche di Wall Street. Con queste premesse, al di là della retorica del giorno dell’insediamento e del senso legittimo di liberazione per l’uscita di scena di Trump, le soluzioni che Biden potrà offrire agli americani faranno ben poco per favorire quella “unità” sui cui ha insistito mercoledì il 46esimo presidente degli Stati Uniti.

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