di Giuseppe Zaccagni

Parte da Cebu - isola dell’arcipelago filippino famosa per le antiche vestigia della dominazione spagnola - la nuova tappa del disgelo tra cinesi e giapponesi. E’ qui, infatti, che si è registrato il nuovo ed importante contatto tra i due paesi i quali, impegnati nel 2° summit dell’Asia orientale (Asean), hanno trovato il modo di uscire dall’impasse che ha sempre bloccato le loro relazioni. Ed ecco che il premier giapponese Abe Shinzo lancia un ramoscello d’ulivo alla parte cinese: auspica una maggiore collaborazione commerciale e finanziaria, propone di superare lo “stallo” dei rapporti causato dalle emozioni politiche e congiunturali e - sostenendo che le differenze sono di forma più che di sostanza - annuncia che Tokio riconosce la necessità di avere migliori relazioni con la Cina. Ed è subito distensione perché, in pratica, si dilegua il terreno di sfida. Perché il premier cinese Wen Jiabao – anche lui a Cebu – si accoda alla posizione giapponese. Tratta in maniera nuova il problema. Incontra subito il premier di Tokio e definisce il colloquio “cordiale e positivo” proponendo un nuovo vertice “storico” che questa volta dovrà svolgersi proprio a Pechino. Ed Abe è così invitato nella “città proibita”. E Wen Jiabao sarà poi ospite in Giappone. Siamo, quindi, ad una nuova ed importante fase di un “ping-pong” che rievoca quel 1970 quando una gara sportiva tra atleti statunitensi e cinesi contribuì al disgelo politico e spianò la strada all’incontro tra Nixon e Mao. Ora si è ad un nuovo “ping-pong” tra i due grandi vicini. Intanto si muovono anche le due società che fanno nascere e sviluppare nuove situazioni di compromesso nel vasto terreno delle controversie.
In Cina la televisione manda in onda una serie di documentari storici - dal titolo “Il sorgere delle grandi potenze” – nei quali si parla di Tokio con un’insolita obiettività. “Circa 150 anni fa, il Giappone, nazione-isola, - dice lo speaker cinese - si è trovata a dover affrontare una fatale crisi data dalla minaccia dei colonialisti occidentali. Il Giappone ha trasformato questa crisi in un’opportunità storica di sbarazzarsi del vecchio (modo di vivere) e rigenerarsi.

In questo modo ha edificato la prima nazione moderna dell’Asia”. E i commenti di stampa sono già una spia del nuovo rapporto tra le due potenze. “Questo programma televisivo - scrive l’editorialista dell’Asahi - segnala la nuova volontà della Cina di giudicare il Giappone così com’è. Questo era impensabile solo pochi anni fa quando le dimostrazioni antigiapponesi infuriavano nelle maggiori città della nazione”. E c’è dell’altro. Perché sono molti i giovani cinesi che desiderano studiare il giapponese. E l’interesse per la Cina si registra anche in Giappone dove si svolgono teleconferenze realizzate da due prestigiose università di Tokyo, la Waseda e la Keio, per favorire discussioni tra i loro studenti e quelli delle università di Pechino e Tsinghua in Cina. Si parla della vita di ogni giorno sia in giapponese che in cinese.

Il processo distensivo – teso a combattere forme di intolleranza - raggiunge poi anche alcune questioni storiche particolarmente scottanti. Perché i cinesi non hanno mai approvato quelle visite ufficiali fatte dai dirigenti di Tokio (in particolare dell’ex premier Koizumi) al santuario shinto di Yasukuni dove si conservano le memorie di kamikaze e criminali di guerra. Va rilevato, infatti, che le nazioni asiatiche - Cina e Corea soprattutto - considerano quel luogo come il simbolo dell'aggressione militare nipponica. E c’è anche chi ricorda che negli anni del militarismo, quando i tram o i bus transitavano davanti al tempio, i passeggeri facevano un profondo inchino; i "kamikaze", prima di partire per le loro missioni senza ritorno, si radunavano nell'atrio antistante dicendo: "Ci ritroveremo qui". Ora Pechino stende un velo di silenzio su tutto questo. Ed anche su quelle tragiche vicende dei giapponesi condannati dal "tribunale internazionale dell'estremo oriente" (noto come "Tribunale di Tokyo") perchè responsabili delle stragi e sofferenze inferte alle nazioni dell'Asia.

Il “ping-pong” diplomatico – vera sede di una ritrovata ragione critica - serve anche a pagare questo tributo che, in pratica, cancella alcune pagine di storia. E così Pechino dimentica anche Koizumi e mira, appunto, al “dopo-Koizumi”. Con il “contenzioso” morale e storico che è affidato ad un dispositivo che prevede una commissione mista composta di dieci ricercatori e storici da una parte e dall’altra. I risultati della ricerca congiunta saranno resi pubblici entro la fine del 2008. Per quel periodo Tokio e Pechino avranno – si spera – messo a punto un programma di relazioni reciprocamente vantaggiose. L’augurio attuale è che dal terreno delle controversie economiche e geopolitiche si passi ad una fase di tolleranza. E il Giappone, quindi, dovrebbe entrare a pieno titolo in quella Eurasia sino ad ora dominata da Russia, Cina ed India.

Tutto questo starà anche a significare che la Cina di Hu Jintao – un esponente considerato da sempre come un liberale – avrà a disposizione altre carte sul piano della diplomazia. Potrà, ad esempio, favorire una collaborazione economica con Tokio chiedendo in cambio un appoggio giapponese per riportare Taiwan nell’ambito della Cina. E anche questa sarà una partita di ping-pong dove gli americani non potranno, però, limitarsi al ruolo di spettatori…


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