di Elena Ferrara

Saremo in due miliardi, entro il 2025, a non trovare più l’acqua. Rubinetti all’asciutto. Fiumi in secca. Bacini prosciugati. Falde esaurite. E' questa la terribile previsione della Fao. Ed è un annuncio che anticipa l’Apocalisse. "Per oltre i due terzi della popolazione mondiale – dichiarano gli esperti dell’Onu - c'è il rischio di dover affrontare una condizione di assoluta mancanza d’acqua nei prossimi anni". E già oggi oltre un miliardo di persone non hanno un accesso adeguato a fonti d'acqua pulita e sono in 2,6 miliardi a non disporre di servizi igienici adeguati. E’ una fine annunciata. L’agricoltura è la principale imputata dal momento che è il primo fattore di consumo dell'acqua a livello mondiale, incidendo per circa il 70% su tutta l'acqua prelevata da falde acquifere, laghi e corsi d'acqua. Si tratta di una percentuale che sale quasi al 90% in diversi Paesi in via di sviluppo, dove si trovano circa tre quarti delle terre irrigue del mondo. Situazioni di crisi, comunque, esistono già in quasi tutti i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, insieme a Paesi come il Messico, il Pakistan, il Sudafrica e buona parte della Cina e dell'India. Siamo quindi, già oggi, sulla soglia di una catastrofe. Che nella finzione cinematografica ha avuto già una sua ben precisa caratterizzazione. Ricordate quel “serial” intitolato “Visitors”? Era la storia di una civiltà extraterrestre che avendo finito le riserve di acqua cercava di “succhiarla” dal nostro pianeta… Ora la crisi è tutta nostra. Perché gli scienziati ci ricordano che a causa di un aumento delle temperature di oltre 2 gradi rispetto ai primi del Novecento, fra vent'anni centinaia di milioni di persone in Africa e in America Latina resteranno senz'acqua. E nel 2080, inoltre, saremo in 3 miliardi a rischiare la vita per mancanza di acqua e scarsità di cibo.

Per ora - è vero - sono tutte indiscrezioni. Ma la catastrofe è nell’aria e l’annuncio ufficiale (una sorta di “ora X”) avverrà il 6 aprile quando la Commissione intergovernativa delle Nazioni Unite annuncerà “ufficialmente” i risultati degli studi sui cambiamenti climatici effettuati da un team di 2500 scienziati di tutto il mondo. Nel documento – che sarà un vero e proprio appello a tutto il mondo – saranno evidenziati i principi fisici di base del cambiamento climatico, ossia le misure oggettive di concentrazione di gas serra, temperature ed estensione dei ghiacci.
Intanto a partire dall’oggi e per un periodo che arriverà al 2010, i climatologi ritengono che, a causa della liquefazione dei ghiacciai polari e montani, il livello dei mari subirà un innalzamento da un minimo di 19 ad un massimo di 60 centimetri. E questo vorrà dire che decine di migliaia di chilometri di coste scompariranno e molte aree del pianeta, in particolare Africa, Asia, e le isole dell'oceano Pacifico, saranno colpite da periodiche inondazioni. Non mancheranno, inoltre, le infezioni tropicali, la cui diffusione sarà favorita da simili condizioni. Malaria, febbri emorragiche, infezioni intestinali, dissenteria, diventeranno endemiche anche in Europa e nelle zone non tropicali. Sono destinate ad aumentare anche le malattie correlate alla malnutrizione.

E ancora – sempre in questo bollettino di guerra – va messo nel conto che nel 2010 circa la metà della vegetazione mondiale potrebbe scomparire. Pur se l’agricoltura attraverserà un “boom” nella produzione di riso e soia, ma sarà solo un'illusione di breve durata. Perché nel 2080, quando le temperature saranno aumentata dai 4 ai 6 gradi, carestie e siccità dilagheranno ovunque. Anche oggi i segni di cambiamento non mancano. Basti pensare al fatto che dal 1975 al 2005 la temperatura estiva della superficie dell’oceano Atlantico è aumentata di 0,6 gradi.

Intanto alcune realtà geoeconomiche sono già a rischio. Ed è noto che tra i paesi del Sud del mondo la sola America Latina, relativamente ricca di risorse idriche, ha dovuto affrontare conflitti idrici minori. Tuttavia, anche questa regione in futuro rischia di dovere affrontare crisi idriche più rilevanti, che potrebbero portare con sé conflitti più gravi, qualora dovesse proseguire l'imponente crescita demografica e non si riuscisse a stipulare accordi internazionali in grado di favorire la cooperazione e un'equa divisione delle risorse idriche condivise.

La Zona più a rischio, invece, è quella del cosiddetto MENA (Middle East e North Africa), dove si sono verificati i principali focolai di tensione per il controllo delle risorse idriche. Secondo “Green Cross International”, la regione del MENA è abitata dal 5% della popolazione mondiale, ma dispone solamente dell'1% delle risorse idriche mondiali. E in tutta l'area del MENA la quantità di acqua è il problema più grave, seguito da quello della qualità dell'acqua.
Emblematico è poi il caso del conflitto arabo-israeliano, indissolubilmente connesso alla conquista delle risorse idriche, e quello del Nilo, fiume condiviso da ben 10 paesi e causa di aspri conflitti, sia prima sia dopo la costruzione della diga di Assuan. A questo bisogna aggiungere il conflitto per i fiumi Tigri e Eufrate, due corsi d'acqua che da migliaia di anni alimentano l'agricoltura in Turchia, Siria e Iraq e che hanno provocato gravi e pesanti scontri tra i tre paesi. Motivo scatenante di questo conflitto è, come è accaduto in molti casi, l'urgenza di imbrigliare i fiumi con dighe o sbarramenti: il gigantesco progetto infrastrutturale in Kurdistan è, forse, l'esempio più rappresentativo di questo fenomeno, poiché dimostra come la costruzione di grandi dighe, oltre a servire per lo sviluppo industriale, sia anche strumento di controllo strategico di aree sotto conflitto e di pressione politica sugli Stati vicini.

Stesso problema si ripropone in molte zone dell'Asia, dove la costruzione di grandi dighe è stata la principale causa dei conflitti per le risorse idriche. È quanto accaduto tra India e Bangladesh per il controllo del Gange, sulle rive del Mekong e su quelle del fiume Saluen. Tutto questo per non parlare di quei fiumi africani sempre più spesso elementi di tensione tra gli Stati confinanti. Tutto questo porta a dure al climatologo Terry Root della Standford University che “viaggiamo davvero sul limite di una estinzione di massa”. E questo potrebbe voler dire che il tanto amato “pianeta azzurro” dovrà affrontare la sua “hidrowar”. E sarà l’acqua a prendere il posto dell’oro nero.


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