di Nunzio Corona

Gerusalemme, 11 gennaio 2011, Nena News - Qual’é la vera posizione delle istituzioni europee nei confronti delle politiche israeliane, che continuano ad essere oggetto di condanna della comunità internazionale? A giudicare dall’entità degli scambi commerciali e degli aiuti offerti all’Autorità Palestinese, l’Unione Europea sembrerebbe svolgere un ruolo di assoluta importanza nel sostegno alla creazione di un futuro stato palestinese. Almeno dal punto di vista economico.

Tuttavia, analizzandone con più attenzione l’operato, viene da chiedersi quale sia effettivamente la sua posizione nei confronti delle politiche israeliane oggetto di condanna della comunità internazionale. Il libro di David Cronin Europe’s Alliance with Israel: Aiding the Occupation (PlutoPress, 2011), offre una scrupolosa documentazione di come le varie istituzioni (Parlamento Europeo, Consiglio Europeo, Consiglio dei Ministri e Commissione Europea) e i singoli stati dell’UE siano maestri nel “predicare bene ma razzolare male”.

Lo Stato di Israele pretende legittimità e rispetto nel consesso internazionale amando definirsi l’unico bastione della democrazia nel Medio Oriente. Tuttavia, oltre ad avere piu’ volte violato l’art. 2.4 della Carta delle Nazioni Unite che proibisce “la minaccia o l’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”, é in flagrante violazione di oltre 30 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. In tali risoluzioni il Consiglio di Sicurezza chiede una chiara azione di risposta da parte di Israele, come, per limitarci a quelle di maggiore attualità, nel caso della 446 del 1979 che esige la cessazione della costruzione di insediamenti colonici ebraici nel territorio occupato, compresa Gerusalemme, e la rimozione di quelli già costruiti.

O come nel caso della risoluzione 252 del 1968, poi seguita dalle 267/69, 298/71, 476/80, e 478/80 che chiedono a Israele di annullare l’annessione di Gerusalemme Est. O come per la 487/81 che chiede a Israele di aprire i suoi impianti nucleari all’ispezione dell’Autorità Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA). E’ importante notare che queste risoluzioni pongono veri e propri obblighi allo Stato di Israele, e Israele soltanto. Ciò significa che dipende soltanto dalla volontà di Israele rispettarle o no, senza dovere negoziare alcunchè con i palestinesi o con gli Stati confinanti. Insomma Israele non ha bisogno di aprire trattative con nessuno per interrompere la costruzione di colonie o per cancellare l’annessione di Gerusalemme Est o per aprirsi alle ispezioni dell’IAEA

Di fronte ad un partner del genere, ci si aspetterebbe che una potenza economica come l’UE che si presenta come “onesto mediatore” nel conflitto israelo-palestinese, attore neutrale e sostenitore dei diritti fondamentali del popolo palestinese, avesse qualcosa da dire e soprattutto si comportasse di conseguenza per fare rispettare tali diritti. Invece, l’osservatore attento non può non rimanere confuso di fronte a comportamenti che oscillano tra l’incoerenza e la cattiva fede.

Come giudicare altrimenti l’aspetto straordinario delle relazioni tra EU e Israele per cui l’UE è ben felice di sottoscrivere accordi con Israele nonostante quest’ultimo sia in palese violazione degli obblighi contenuti negli stessi accordi? Il 28 novembre 1995 l’UE consentiva a Israele di diventare membro della cosiddetta Partnership Euro-Mediterranea comprendente gli Stati che si affacciano sul Mediterraneo. In quel periodo le truppe israeliane, in violazione del diritto internazionale, occupavano parte del Libano e della Siria, oltre ai territori palestinesi di Cisgiordania e Gaza. La Dichiarazione di Barcellona, che sancisce la Partnership, obbliga i suoi firmatari a “rispettare l’integrità territoriale e l’unità di ciascuno degli altri partner” e una serie di altre norme del diritto internazionale.

E’evidente come l’EU abbia chiuso, e continui a chiudere, entrambi gli occhi consentendo ad Israele di diventare partner privilegiato anche con accordi susseguenti che obbligano gli Stati contraenti, compreso Israele, a rispettare i principi della legislazione internazionale. L’Euro-Med Agreement, che rientra nella suddetta Partnership, consente a Israele un accesso privilegiato al mercato europeo. Nel suo art. 2 l, Agreement richiede che “il rispetto per i diritti umani e i principi democratici” sia considerato un “elemento essenziale” (e non opzionale, ne’ semplicemente desiderabile) dell’accordo. Eppure esistono pochi dubbi che Israele continui imperterrito a disattendere questi obblighi. La stessa EU ha definito come “punizione collettiva “, e quindi crimine di guerra secondo la Quarta Convenzione di Ginevra, il blocco economico imposto alla Striscia di Gaza da almeno il 2007. In tutta risposta il 16 giugno 2008 i 27 Paesi dell’UE decidevano di potenziare (“upgrade”) le relazioni con Israele.

L’elemento più importante che probabilmente spiega l’attrazione fatale che Israele esercita sui partner europei é la cooperazione scientifica. Israele, che investe nella ricerca tecnologica circa il 5% del PIL, il doppio degli Stati Uniti, fa parte fin dagli anni 90 del Programma Quadro per la Ricerca Scientifica dell’UE ed e’coinvolto in più di 800 progetti per un valore, tra 2007 e 2013, di 4,3 miliardi di €. Purtroppo buona parte dei successi scientifici di Israele sono collegati all’occupazione militare. La ditta Elbit Systems di Haifa, costruttore dei droni usati a Gaza, e le Industrie Aeronautiche Israeliane, tanto per fare un esempio, sono tra i beneficiari dei fondi per la ricerca UE. Come dire che le nostre tasse di contribuenti europei vanno a finanziare l’industria bellica israeliana e a consolidare l’occupazione del territorio palestinese.

Analogo effetto di sostegno all’occupazione si può dire abbia la politica commerciale dell’UE. Secondo un recente accordo, quasi tutti i prodotti alimentari israeliani, sia freschi che conservati, possono entrare nell’UE senza pagare dazi doganali. In teoria queste facilitazioni riguarderebbero soltanto i prodotti provenienti dall’interno dei confini internazionalmente riconosciuti di Israele e non dalle colonie israeliane nel territorio occupato. Tutti ormai sanno però che Agrexco, il maggiore esportatore israeliano di prodotti alimentari, etichetta come “Made in Israel” i prodotti provenienti sia da Israele sia dalle colonie. Chiudere gli occhi di fronte a tale situazione significa per l’UE essere complice dell’espansione degli insediamenti colonici, soltanto a parole condannati nelle dichiarazioni ufficiali.

L’aspetto che più colpisce del comportamento delle istituzioni che compongono l’UE é il livello di tolleranza e l’uso di due pesi e due misure. Ad esempio, soltanto cinque Stati europei si sono schierati a favore dell’Assemblea Generale dell’ONU nell’accettazione del Rapporto Goldstone sui crimini di guerra commessi da Israele nell’attacco a Gaza alla fine del 2008. Gli altri 22 Stati UE si sono astenuti o opposti (come ha fatto l’Italia). Tale atteggiamento contrasta fortemente con la rigidissima posizione che l’UE aveva assunto sul conflitto tra Georgia e Russia nell’estate del 2008, sul trattamento dei civili da parte del governo dello Sri lanka durante l’offensiva contro i ribelli Tamil nella primavera 2009, o sugli attacchi contro gli albanesi in Kosovo.

Come detto, in termini quantitativi l’UE è senz’altro il partner più amico dei palestinesi. Tra gli “aiuti al popolo palestinese” troviamo il Coordinating Office for Palestinian Police Support (COPPS) che nel 2011 riceverà dall’UE 8 milioni di €. I corpi di polizia che vengono formati in questo progetto devono tuttavia limitarsi ad arrestare i compatrioti palestinesi e non i coloni israeliani che compiono violenze contro di loro. In pratica é come se la polizia palestinese facesse il favore a Israele di tenere sotto controllo la propria popolazione occupata, compiendo abusi e torture che, nonostante la denuncia delle organizzazioni per i diritti umani, passano inosservati agli occhi dell’UE.

Che dire dell’ipocrisia che trapela dai maldestri tentativi di dare un’impressione di imparzialità praticando invece un chiaro favoritismo verso l’aggressore, unanimemente condannato soltanto a parole? Come valutare, da una parte, le dichiarazioni di ferma condanna per la continua colonizzazione ebraica di Gerusalemme Est rilasciate dalla responsabile della politica estera europea, Catherine Ahton, e, dall’altra, la sua raccomandazione che Israele sia designato come “partner privilegiato” dell’UE, al pari di USA e Cina, o al tranquillo benestare concesso all’entrata di Israele nell’OCSE nel maggio 2010?

Se i nostri politici e rappresentanti nei consessi internazionali oltre alle dichiarazioni di condanna non intraprendono alcuna azione pratica, sta allora alla gente comune adottare misure non violente, previste dal diritto internazionale, come il BDS, per convincere chi viola le regole a tornare sui propri passi, così come era avvenuto con successo per il Sudafrica dell’apartheid.

 

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