di Giorgia Grifoni

Il nucleare, in Medio Oriente, non s’ha da fare. Non è però una regola generale: vale solo per l’Iran. Se, dopo i virus informatici che hanno messo ko le centrali iraniane e i misteriosi assassinii dei tecnici iraniani - di cui Teheran accusa Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita - c’era ancora qualche dubbio sulla posizione delle petromonarchie del Golfo al riguardo, ci hanno pensato le dichiarazioni dell’ex ambasciatore saudita a Washington (e alleato strettissimo di diverse Amministrazioni Usa) Turki al-Faysal, a dissipare ogni interrogativo: il nucleare è una minaccia per la stabilità del Medio Oriente e l’Occidente lo deve fermare.

La regione deve diventare una “nuclear-free zone” e a garantirla devono essere i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, secondo le parole del diplomatico. Altrimenti, si procederà a una “corsa al nucleare, che potrebbe includere l’Arabia Saudita, l’Iraq, l’Egitto e la Turchia”.

Una questione, quella della nuclear-free zone, che merita “l’attenzione e l’energia di tutti”. La soluzione proposta da al-Faysal  contempla uno “scudo di sicurezza nucleare” istituito dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu e “sanzioni militari” per tutti i paesi sospettati di lavorare a un programma nucleare. A oggi, i detentori ufficiali di energia atomica nella regione sono Israele (che possiede anche un nutrito arsenale militare non dichiarato) e Iran, verso i quali è stata sempre attuata una politica “due pesi, due misure”: all’Iran, nemico dell’Occidente, sono state imposte sanzioni per il sospetto sviluppo non-pacifico del suo programma nucleare. Israele, “fedele alleato” degli Stati Uniti nella regione, continua invece a lavorare all’atomica senza neanche essere firmatario del Trattato di Non-Proliferazione nucleare, istituito nel 1970 e a cui 189 paesi, compreso l’Iran, aderiscono.

La questione del nucleare israeliano e della sua approvazione da parte delle potenze “amiche” è chiara: Israele può permettersi indisturbato di mandare avanti un programma nucleare (anche a scopi bellici) senza che alcun ispettore dell’Aiea venga spedito a Tel Aviv per controllarne l’arsenale segreto, come in passato accadeva invece per l’Iran. Si stima che lo stato ebraico disponga di quasi 200 ordigni nascosti nel deserto del Negev: ordigni di cui si è a conoscenza solo grazie alle confessioni di uno scienziato nucleare israeliano, Mordechai Vanunu, che per le sue confessioni è agli arresti domiciliari a vita.

Altro singolare esempio del “due pesi, due misure” è che Israele può permettersi di bombardare e distruggere le centrali nucleari dei paesi della regione sospettati di proliferazione atomica senza che ci siano conseguenze. Se tutti ricordano l’operazione Babilonia del 1981, quando Israele distrusse, con un attacco a sorpresa, il reattore nucleare iracheno di Osiraq, forse a qualcuno è sfuggito il bombardamento di alcune infrastrutture militari siriane - sospette di essere sede di proliferazione atomica - da parte dello Stato ebraico nel 2007. L’evento rischiò di far scoppiare una nuova guerra tra Damasco e Tel Aviv, ma rimase impunito.

Secondo alcuni, il richiamo saudita a una nuclear-free zone in Medio Oriente porrebbe anche Israele a rischio sanzioni. Ma sembra invece che Tel Aviv non verrà toccata neanche questa volta. La proposta saudita non è nuova: già durante il rinnovo, nel 1995, del Trattato di non proliferazione, i paesi del Golfo avevano proposto che il Medio Oriente divenisse una nuclear-free zone. Proposta reiterata nella conferenza del 2010 e appoggiata anche dagli Stati Uniti.

Israele aveva dichiarato che però una tale realtà doveva essere discussa dopo il completamento della pace con gli Arabi: e infatti, lo scorso settembre, durante una riunione annuale dell’Aiea, gli Stati arabi hanno rinunciato a presentare una risoluzione che condannasse l’attività nucleare israeliana e la sua non-adesione al trattato di non-proliferazione. Israele, quindi, non smetterà di produrre ordigni atomici e la “nuclear-free zone” non si farà.

L’opzione alternativa è la corsa all’armamento nucleare: l’Arabia Saudita, che ha minacciato l’eventualità, si è già da tempo organizzata con il Pakistan per assistenza e forniture nucleari. La Turchia, sua rivale nella guida del Medio Oriente, ha tutte le carte - economiche e diplomatiche - in regola per essere già al lavoro su un proprio progetto atomico, magari con la Russia. Resta da capire come l’Iraq, in ginocchio da anni di occupazione e di guerra civile, e l’Egitto, alle prese con una rivoluzione ancora inconclusa, possano partecipare alla corsa al nucleare. Ma Riyadh, come sempre, troverà un modo per portarli dalla propria parte contro gli “eretici sciiti”.

Fonte: Nena News

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