di Cinzia Frassi

“È la quarta sentenza di un'alta corte italiana, militare penale o civile che ci dà ragione con le stesse motivazioni dice il vecchio gappista, “ma il mondo è pieno o di imbecilli o di faziosi ancora disposti a sostenere il contrario. C'è poco da fare”. E aggiunge: “La storia, del resto, parla chiaro: Norimberga ha detto la stessa cosa, il processo Kappler ha detto la stessa cosa, i processi intentati dagli alleati contro Kesserling, Meltzer e Mackensen hanno detto la stesa cosa. Tutto il mondo lo sa”. Sono queste le amare parole di Rosario Bentivegna a seguito della pronuncia della Suprema Corte che, con Sentenza n.17172 ha confermato la condanna de Il Giornale ad un risarcimento di 45mila euro proprio nei confronti del partigiano diffamato dagli articoli pubblicati nel 1996 dal quotidiano diretto allora da Vittorio Feltri. In particolare, si trattava di un editoriale pubblicato il 6 aprile 1996, durante il processo a Erich Priebke, comandante dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Era il 23 marzo 1944 e in Via Rasella il Reggimento "Bozen", comandato dal maggiore Helmut Dobbrick fu bersaglio di un imboscata ad opera dell'azione partigiana dei partigiani gappisti Rosario Bentivegna, Franco Calamandrei, Carla Capponi, Carlo Salinari, Pasquale Balsamo, Guglielmo Blasi, Francesco Cureli, Raoul Falciani, Silvio Serra, Fernando Vitagliano. I GAP dipendevano dalla Giunta militare ed erano un emanazione del Comitato di Liberazione Nazionale, i cui responsabili erano Giorgio Amendola, Riccardo Bauer e Sandro Pertini.

Era il 24 marzo 1944 e le truppe di occupazione fasciste misero in atto l'aberrante e barbara rappresaglia consumatasi alle Fosse Ardeatine, dove vennero massacrate 335 persone. Da allora non si contano le polemiche attorno all'opportunità dell'imboscata di Via Rasella, della sua connotazione di atto di guerra, di chi fu a dare l'ordine - se la giunta militare unanime oppure no - e dell’attendibilità stessa della possibilità offerta agli stessi partigiani di consegnarsi, in modo da evitare la violenta rappresaglia dei nazi-fascisti.

Ora la Cassazione conferma che, in linea con precedenti pronunce, l’attentato di Via Rasella fu un “legittimo atto di guerra rivolto contro un esercito straniero occupante e diretto a colpire unicamente dei militari”. Non solo: l’editoriale di Vittorio Feltri scriveva che i militari tedeschi erano nient’altro che “vecchi militari disarmati”, mentre la Suprema Corte precisa, in dettaglio, che “si trattava di soggetti pienamente atti alle armi, tra i 26 e i 43 anni, dotati di sei bombe e pistole”.

Ma il quotidiano è incappato in altre “gaffes”, dice la Corte: secondo Il Giornale infatti, il battaglione Bozen era formato da cittadini italiani e le vittime tra i civile furono non due, bensì sette. Ed ancora, non rispondente al vero, quindi diffamatoria, l’asserzione secondo la quale subito dopo l’attentato “erano stati affissi manifesti che invitavano gli attentatori a consegnarsi per evitare rappresaglie”. Forse il quotidiano di Paolo Berlusconi ignorava la direttiva del Minculpop che aveva interesse invece a nascondere la notizia di Via Rasella, notizia che effettivamente venne divulgata a rappresaglia già avvenuta.

La Cassazione conferma che i fatti “non rispondenti al vero” riportati dal quotidiano e la campagna ai danni del gruppo di partigiani messa in atto in quelle pubblicazioni sono lesivi “dell’onorabilità politica e personale” di Bentivegna per “la non rispondenza al vero di circostanze non marginali e l’assimilazione tra Erich Priebke e Bentivegna”. L’avvocato Martino Umberto Chiocci, uno dei legali del quotidiano, precisa all'Adkronos che Via Rasella ''può essere [un atto] legittimo e allo stesso tempo criticabile. I giudici, invece, in questo modo hanno escluso la legittimità del diritto di critica e questo è particolarmente grave''.

In risposta a tanta strumentale confusione, non solo del legale su citato ma anche di tutti coloro che non conoscono dove termina il diritto di critica e il negare falsamente la verità, risultano a dir poco limpide ed illuminanti, alcune righe della sentenza : "Quando la critica si fonda su episodi non veri o rievocati attraverso l'arbitrario inserimento di circostanze qualificanti non vere, essa diviene un mero pretesto per offendere la reputazione altrui". Parole sante.



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