di Fabrizio Casari

Le diverse generazioni che dagli anni sessanta ad oggi si sono susseguite nel calpestare le non sempre rette vie del nostro Paese, hanno ritenuto, con maggiore o con minore convinzione, che la criminalità italiana avesse due sostanziali caratteristiche: una di essere “sistema”, l’altra di produrre ingovernabilità sociale e politica proporzionale alle ricchezze che generava. C’era semmai un dubbio, relativo alla commistione tra associazioni criminali e alcuni partiti politici; il dubbio era se fossero le prime ad aver infiltrato i secondi o viceversa. Alla fine, il dubbio si dimostrava ozioso, risultando chiaro che in quel tipo di società alcuni partiti e le cosche divenivano azionisti di maggioranza o di minoranza in corrispondenza di fasi diverse, ma sostanzialmente erano (sono?) elementi distinti di un progetto comune. Adesso però, finalmente, ci rendiamo conto di quanto quelle ipotesi delle diverse generazioni fossero sbagliate, perché sbagliati erano i presupposti (ideologici, certamente) che le determinavano. Sappiamo oggi, infatti, grazie ad un’opera di chiarificazione storica e sociale di alto profilo, che l’illegalità italiana non è fatta di Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona, Mafia del Brenta o bande di tante magliane; di logge massoniche, colletti bianchi e di narcomafie, di racket delle estorsioni o di trafficanti di droghe e armi. Oggi ci è tutto più chiaro: la criminalità italiana è fatta di lavavetri, writers e disperati clandestini. Pare che l’elemento della pericolosità sociale sia stato dunque sostituito dal disturbo sociale, che i tentacoli della piovra abbiano lasciato il posto ai bastoni tergivetro e che le menti della criminalità siano da ricercare ai semafori invece che nell’Aspromonte o in Barbagia. Illuminate, sottili menti, folgorate sulla via della reazione, ci spiegano che i sottoufficiali della disperazione, ancorati ai semafori della dannazione, siano carne da macello per il racket. Che quindi renderli illegali sia, in fondo, un modo efficace per colpire il racket suddetto. Sia chiaro: gli immigrati non sono tutti delinquenti e non sono, com’è ovvio, tutti santi. Tra gli immigrati - come tra gli italiani - vi sono criminali. Ma proprio i criminali si guardano bene dal lavorare ai semafori perché, da criminali appunto, rapinano, uccidono, sfruttano, rubano; non lavano parabrezza.

C’informano però (le sottili menti) che rendere inevasa la domanda di sicurezza, a lungo andare può risvegliare “la tigre del fascismo”, come se l’antipolitica e il senso comune reazionario dilagante non fossero il prodotto di una politica che non propone domande e non offre risposte e appare ogni giorno lo specchio opaco dentro il quale si riflettono i nostri peggiori difetti. Sembrano (le sottili menti) dimenticare che proprio la cultura autoritaria, quella che propone “ordine e disciplina” sia il substrato naturale del fascismo.

I pericoli veri di fascismo derivano dalle spinte e dalle suggestioni della cultura e della politica di normalizzazione autoritaria della società, che impone l’equazione tra “normalità” e “legalità” e tra “illegalità” e “criminalità”. Gioverebbe ricordare che, nel passato, il passo è stato breve: nei manicomi veniva sbattuto chi minacciava la pericolosità sociale, non solo tutti i malati di mente ma anche i mendicanti e i senza fissa dimora. Invece l’equazione tra disordine sociale e criminalità non è affatto dimostrata. Atteso che nessuno assegna al disordine un valore in sé, nemmeno però si può sostenere una normalizzazione autoritaria della società rimuovendo il tema vero: quello della povertà. Che colpisce milioni di italiani e quasi tutti gli stranieri. Chi evoca il pericolo del fascismo, dovrebbe contrastare questa deriva con lavoro, case, politiche sociali inclusive, non accarezzando l’intestino degli impauriti. Che sono tali anche per l’incapacità dei gruppi dirigenti di svolgere la loro funzione. Almeno la dotte mente del dottore sottile, pontificatore della tuttologia ed esperto di galleggiamenti, dovrebbe ricordarlo.

Sottili come sono, le menti si affaticano con i numeri. Che dicono, per esempio, come l’immigrazione in Italia sia sulle percentuali più basse in Europa, ma di converso indicano nel Belpaese uno dei tassi più alti dell’intolleranza verso gli “estranei”. Che sono stranieri, quando hanno i soldi, immigrati quando non li hanno. Dimenticano non solo quanto il nostro passato sia straordinariamente pieno d’immigrazione e povertà ma anche quanto persino il nostro presente sia di nuovo alle prese con l’immigrazione interna scopo lavoro e sopravvivenza. Ci dicono poi, le sottili menti, che i sondaggi danno ragione all’intolleranza sistemica: quella che vede nella strada, ad esclusione delle vetrine, un unicum di fastidio. Non stupisce. La funzione pedagogica dei partiti da molto tempo è entrata in clandestinità, soppiantata dalle leggi del marketing elettorale. Il risultato è che il mercato della circolazione delle idee è stato pensionato dalla nuova leva dei pensatori: da una testa a un voto si è passati ad un voto senza testa.

Nessuno è così stupido da non cogliere l’odiosità sociale della microcriminalità, quella fatta di reati contro il patrimonio, violenze ai più deboli, mancanza di sicurezza nelle strade. Ma sarà dura convincerci che non si tratti del portato di leggi darwiniane che producono disperazione da un lato e fascismo sociale dall’altro. La patria del Law and Order, quella a cui tutti s’ispirano ammirati, è la più grande concentrazione di criminalità e devianza del pianeta, accompagnata - non a caso - dal maggiore distanza tra “garantiti” e “non garantiti”. I sindaci d’Italia, passati da amministratori lanciati sulla vetrina nazionale della politica a sceriffi senza West, cavalcano l’onda.

Condonatori a man bassa di ogni nefandezza urbanistica, perdonisti a tempo indeterminato di ogni abuso dei loro bottegai, hanno scelto di dichiarare guerra a chi vorrebbe solo sopravvivere. In cerca di visibilità per scopi elettorali, non usano i poteri di cui dispongono per fare applicare le leggi, ma chiedono più poteri per abusare delle stesse, visto che l’elemosina - per ora - non è sanzionata dai codici. Il loro mito, l’ex-sindaco Giuliani, che rese famosa la politica di “tolleranza zero” (che indica chiaramente il senso di giustizia e l'equilibrio di chi l’ispira), vide come risultato solo lo spostamento della mole di reati dal centro alla periferia, ma riempì i tribunali di processi contro gli abusi delle forze dell’ordine. In assenza dei disperati, gli sceriffi, si sa, cercano comunque il livello sociale più basso per scatenare le pulsioni autoritarie con le quali vengono cibati.

Pare che la nascita dei nuovi aggregati o partiti, siano essi guidati da menti sottili a sinistra o da giarrettiere furbine a destra, abbia individuato nel solleticare le pulsioni più basse la medicina contro il pensiero. Il bello è che c’invitano ad associarci, perché nulla li eccita più che la sinistra che diventi destra, mentre i candidati alla guida del nuovo carrozzone gareggiano senza esclusione di colpi. Ci si dice, sottilmente, che la sicurezza non è tema di destra o di sinistra: è vero, ma di destra o di sinistra sono le ricette per garantirla. Inclusione o esclusione, ad esempio, corrispondono a due idee della società che dovrebbero contraddistinguere, appunto, destra o sinistra. E non perché una accogliente e l'altra respingente, ma perché una é giusta e l'altra é sbagliata.

Veniamo però informati che la sinistra ha le ricette della destra: quindi - dice il sottile pensiero - per battere la destra si va più a destra. Nessuna idea su come affrontare distorsioni, contraddizioni, degenerazioni del “libero mercato”, che fa volare i capitali ed imprigiona le persone. Il problema non è più ricercare una società più equilibrata attraverso il ruolo di uno Stato regolatore: il problema diventa come far scomparire i problemi che non si riescono a risolvere. Se la disperazione circola, non serve affrontarla e combatterla, basta cancellarla dalla vista, che le vetrine piene di cose che pochi ormai possono comprare luccicano meglio. Sembra che la guerra ai poveri sia la nuova bandiera. La nausea monta.


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