di Fabrizio Casari

Mario Luis Lozano, militare americano, assassino non pentito di Nicola Calipari, non é neppure giudicabile. Lo ha deciso la terza Corte d’Assise di Roma, presieduta Angelo Gargani. Il dirigente del Sismi che la notte del 4 marzo del 2005 ha lasciato la sua vita a Baghdad per riportare a casa Giuliana Sgrena, giornalista de Il manifesto, sequestrata da banditi certi vestiti da resistenti ipotetici, non avrà giustizia. E non l’avrà perché Lozano è statunitense, pur non essendo innocente. Le motivazioni della sentenza chiariranno i contenuti del dispositivo, ma sin da ora è chiaro come il vizio procedurale evidenziato dalla sentenza di proscioglimento sia riferito alla risoluzione 1546 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Essa infatti assegna in esclusiva agli Stati Uniti la giurisdizione sulle truppe della coalizione occidentale occupante. Di conseguenza, la richiesta italiana di estradizione del marine assassino è stata rigettata per evidente difetto di competenza. Quella risoluzione, infatti, è il primo atto giuridico internazionale che conferma la supremazia giuridica statunitense, fino ad allora esclusivo frutto della sua prepotente ed illegittima giurisprudenza interna, che tende ad estendere a livello planetario i suoi codici. Washington, del resto, non solo si è appellata alla risoluzione che mette nero su bianco come il mondo abbia un solo giudice, ma si guarda bene dall’adoperare il suo mandato giurisdizionale per processare un suo militare, visto che gli Stati Uniti - tra le altre vergogne di cui si macchiano - si rifiutano di aderire al Tribunale Penale Internazionale sulla base della ingiudicabilità dei loro militari fuori dai confini nazionali. Per essere più chiari, i soldati americani che si macchiano di reati nel territorio degli Stati Uniti saranno colpiti dai rigori della legge; quelli che invece commettono reati all’estero, ove questi non producessero vittime statunitensi, non possono essere arrestati, giudicati o condannati dalle autorità locali.

Lorenzo Luis Lozano non sarà dunque giudicato e condannato. La difesa statunitense - per stare agli avvenimenti di quella notte a Baghdad - ritiene che la macchina con a bordo Nicola Calipari e Giuliana Sgrena avesse violato le procedure previste per la circolazione di veicoli con personale militare o di sicurezza e rigetta l’ipotesi che quello al check-point fu invece agguato in piena regola. Il fatto che si sia temuta la presenza di un auto bomba (notoriamente lanciate in pieno giorno sulla folla e non in piena notte su pattuglie blindate) è solo una ovvietà difensiva. Potrebbe anche darsi che i fatti siano andati come gli americani sostengono: é assolutamente possibile, in guerra, che uno o più militari inesperti o impauriti possano far fuoco nel momento e nella direzione sbagliata. Ma sullo sfondo restano due ipotesi di fondo: o gli Usa erano stati avvertiti e quindi hanno deliberatamente fatto fuoco, oppure per quanto alleati e congiuntamente operativi, è stato scelto di non informare gli Usa dell’operazione in corso.

Dunque la verità nella dinamica esatta degli avvenimenti sarebbe decisiva per stabilire la volontarietà o la casualità nell’assassinio di Calipari. Nel primo caso quei proiettili sarebbero stati destinati, prima che a Giuliana Sgrena, difesa da Calipari, ad una linea politica sulla gestione dei sequestri diversa da quella statunitense. Che non è campata in aria, visto che gli Usa non tolleravano (e tutt’ora non tollerano, vedi Afghanistan) che l’Italia avesse tratti ed ottenga la liberazione di ostaggi contro il loro volere. Il fatto che comunque gli Stati Uniti sapessero dell’operazione è probabile, dati i rapporti di un pezzo del Sismi con gli stessi, venuti a conoscenza ulteriormente con il caso Abu Omar. Si può dunque ritenere che chi ha lavorato per portare a casa Giuliana sapeva perfettamente come fosse necessario fare in modo che l’operazione non arrivasse alle orecchie degli americani; se così non fosse stato, non si capirebbe perché l’operazione per la libertà di Giuliana Sgrena sia stata realizzata in gran segreto, persino all’interno del Sismi stesso.

E se è l’operazione è stata condotta in gran segreto, non é solo per la naturale delicatezza dell’affaire che impone il massimo riserbo; si voleva evitare che gli Usa, una volta che ne fossero venuti a conoscenza (anche grazie ai nostrani traditori) tentassero di impedirne con le buone o con le cattive la sua conclusione positiva. Calipari era solo; lui e il maggiore Carpani sono stati costretti ad agire in perfetta clandestinità e senza poter contare sull’appoggio dei nostri uomini sul posto, perché attivare il meccanismo di copertura e sostegno avrebbe comportato un rischio alto di far trapelare informazioni sull’operazione.

Ma il processo, che potrebbe stabilire esattamente la dinamica degli avvenimenti, non potrà aver luogo. Difficilmente, infatti, il ricorso alla Cassazione avrà esito positivo. E questo per via, appunto, della Risoluzione Onu 1546. Il dato politico è quindi difficilmente rimovibile: il governo Berlusconi ha apposto la sua firma su una risoluzione che azzerava i suoi poteri, consegnando i suoi militari, la sua politica estera e la sua dignità nazionale nelle mani dei suoi padroni statunitensi.

Comunque sia, processo o no, dev’essere rimosso il segreto di Stato a cui i tre funzionari Sismi - Andrea Carpani, Pio Pompa e Giuseppe Scandone – si sono appellati quando sono stati interrogati sulla vicenda Calipari. Si tolga il segreto di Stato su lui e sul caso Abu Omar. Ha ragione da vendere la sua vedova: lo si è ucciso due volte. Togliere il segreto di Stato è ora un imperativo categorico per questo governo. E’ il primo, indispensabile passo, per rendere giustizia a Nicola Calipari ed è propedeutico alla ormai urgente revisione dei trattati giurisdizionali con gli Stati Uniti. Che ci umiliano e che risultano, ogni giorno di più, intollerabili alla nostra dignità nazionale. Se non la si vuole ridurre solo all’inno di Mameli da far cantare ai calciatori.

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