di Giovanna Pavani

In un paese civile, con regole sociali certe, quello che è accaduto giorni fa a Cittadella, comune di 20 mila anime alle porte di Padova, sarebbe stato degno solo di una vignetta satirica su un giornale. Come quelle, per dire, che con lo sghignazzo ci fanno pensare a quanto una cosa possa essere inutile, sbagliata e, soprattutto immorale. Ma ormai, in quest’Italia dove l’immigrazione fa più paura delle tasse e dove la caccia al clandestino si è ufficialmente aperta con l’omicidio di Daniela Reggiani a Roma, fatti come quelli di Cittadella sono salutati da grida scomposte di giubilo e di apprezzamento. Protagonista di questa storia di stampo razzista e discriminatorio è il sindaco di questa ridente località, Massimo Bitonci, eletto lo scorso maggio a capo di una lista civica sostenuta dalla Lega e da An. Con un’ordinanza che, a suo dire, ricalca un decreto legislativo del 2007, il primo cittadino padano ha imposto uno sbarramento d’ingresso alla richiesta di residenza. Se non hai un reddito minimo di 420 euro al mese (ovviamente non al nero) e una casa “salubre e decente” in cui vivere con il tuo nucleo familiare è meglio che non ci provi neppure a passare il confine di Cittadella. Tanto non ti facciamo entrare. Quando si dice la solidarietà sociale. Che in questo luogo, lontano anni luce dalle regole più elementari di civiltà e di diritto, non trova affatto cittadinanza. Anzi. Con l’esemplare ordinanza, questo Bigonci intende mettere in cima ai bisogni dei cittadini “la salvaguardia dell’igiene, della sanità, della sicurezza e dell’incolumità pubblica” (tutta materia citata nel testo): un mese fa Bitonci si era ancora reso protagonista facendo propria, con inusitata solerzia, la decisione del sindaco di Vicenza Enrico Hullweck, che vietava le bevute sulla pubblica via. Ed anche in quest’ultimo caso, ha superato in tempistica le intenzioni - solo espresse verbalmente - dei sindaci leghisti Giampaolo Gobbo di Treviso e Flavio Tosi di Verona: ha voluto bruciare tutti sul tempo, firmando per primo la delibera razzista che gli altri si erano solo ripromessi di discutere. E gli hanno pure detto bravo.

Il primo a complimentarsi è stato il governatore Galan, che ha commentato l’ordinanza come “accettabile” e di seguito gli applausi di altri illustri esponenti della “razza padana”. Solo il ministro Ferrero ha bollato le misure come “decisamente razziste e discriminatorie”, ma lui, ovviamente, ha considerato quest’ultimo commento come una medaglia al valore.

Che piaccia o meno, quest’ordinanza è valida. Per iscriversi all’anagrafe di Cittadella, insomma, il cittadino Ue che non lavora dovrà dimostrare di avere comunque un reddito, ma rischia grosso se non dice da dove provengono i soldi. Quello che lavora dovrà portare tutti i documenti possibili per dimostrarlo, compresa l’ultima busta paga e i riferimenti Inps e Inail. Figurarsi: talvolta non ce li hanno nemmeno gli italiani! I limiti di reddito sono così fissati: 5.061 euro all’anno nel caso il richiedente sia solo o viva con un familiare; il doppio (10.123 euro) nel caso i familiari siano due o tre; il triplo (15.185) quando il numero dei familiari è superiore. Rumeni e bulgari ci dovranno mettere sopra anche il nulla osta dello sportello unico per l’immigrazione.

Se, nonostante tutto questo, una condizione di “pericolosità sociale” dovesse essere dedotta da precedenti penali o da informazioni raccolte dal Comune, i documenti saranno del tutto inutili e interverranno la Questura e la Prefettura di Padova. In pratica sarà come autodenunciarsi. Ultimo scoglio: la casa. O alla visita degli incaricati del Comune si presenterà “sana e decente”, o niente da fare. Ma che significa “sana e decente”? E, soprattutto: a insindacabile giudizio di chi? Quest’ultima parte dell’ordinanza è vergognosa. Si impone, in pratica, al cittadino comunitario “non padano” di umiliarsi davanti a dei messi comunali per far accettare come “sana e decente” una dimora che per ovvi motivi, non potrà mai essere davvero “all’altezza del decoro” stabilito dai perbenisti padani. Si fa notare che Cittadella insiste ancora sul territorio italiano, malgrado i mugugni secessionisti locali, e che non può essere considerata una sorta di Yatch Club a cui possono essere ammessi come soci solo i possessori di barche superiori ai 25 metri. Ma quando si ha a che fare con i ricchi, sempre più elitari e settari, è diffide far passere l’idea che esiste anche un “prossimo” più povero e desideroso di accoglienza. Chissà se, a Cittadella, vanno tutti a messa, la domenica mattina…

Il paradosso vero sta nel fatto che Cittadella ha un alto tasso di immigrazione perché le sue imprese hanno bisogno di mano d’opera. Ed è il solito adagio: quella mano d’opera, per altro a buon mercato, la forniscono solo i poveri dell’Europa. I servi, come al solito, servono. Ma guai a parlare di integrazione. Qui si parla solo di presenze non gradite. Che ringrazino, insomma, quei “diversi” a cui viene dato un lavoro. Ma che, per dinci, se ne vadano ad abitare lontano con la loro (spesso) numerosa prole, che con la loro presenza rovinano il paesaggio.

Dalla sua il sindaco ha cittadini da tutto il Veneto. E non potevamo avere dubbi: i consensi stanno fioccando numerosi al sito del Comune. Dove si legge anche l’incitamento “dovrai passarne di tutti i colori - è il riassunto - ma ti prego, non mollare”. Non sappiamo se il sindaco ne dovrà passare “di tutti i colori” e nemmeno glielo auguriamo. Che si vergognasse almeno un po’, invece, sarebbe bene.

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