di Rosa Ana De Santis

La cronaca di una legge faticosa, che andrà avanti tra fiumi di emendamenti, tornerà in aula a fine gennaio. Il dibattito si accende a mesi di distanza dalla morte definitiva di Eluana. Le emozioni si sono fatte più calme, tv e giornali hanno dimenticato le oratorie di quei giorni e l’iter di una legge nata sull’emergenza di un caso individuale si è trasformato in procedura di palazzo. Il silenzio con cui si lavora alla legge sulla fine della vita rischia di consegnare a tutti noi una legge vincolante e restrittiva che di Eluana e del suo messaggio di libertà non conserverà quasi nulla, se non un veto morale.

Il relatore del testo in commissione Affari sociali alla Camera, Domenico Di Virgilio (Pdl), sa bene che la Camera non è il Senato e che lo scontro politico sarà più duro, più arduo il compito della mediazione. Gli emendamenti, soprattutto quelli presentati dai Radicali, sono numerosissimi. Segni evidenti di un atteggiamento ostruzionistico che vuole smascherare la legge per quello che è e che non riesce a diventare. La maggioranza è fiduciosa e ritiene che il testo, con le implementazioni degli emendamenti che lo migliorerebbero nella sostanza scientifica rendendolo più circostanziato, potrà ottenere i consensi trasversali che servono per passare il voto senza ricorrere alla sola asciutta vittoria di maggioranza.

L’estensione di quanti potrebbero beneficiare di questa legge, non solo le persone in stato vegetativo, ma anche coloro che sono in stato di coma, e la relazione stabilita tra idratazione e alimentazione forzata e la salute o l’ipotetico danno alla salute del paziente, dovrebbero rappresentare la possibilità teorica di incontrare il consenso di quanti vogliono vedere in questa legge uno strumento per esercitare la propria autonomia di scelta rinunciando al paternalismo medico o ai valori imposti per mano della legge.

In realtà questa interpretazione ottimistica di adesione trasversale alla legge incontra il solo consenso di quanti la scelta di Eluana e della sua famiglia l’hanno condannata. In quei giorni con formule aspre di condanna, oggi con un linguaggio timido, all’apparenza nutrito di termini e fine preoccupazioni mediche che nasconde però il convincimento di sempre. Un’altra Eluana no. Questa legge viene inquinata nel suo atto di nascita non soltanto dal solito abuso di potere da parte del Vaticano, ma da una diatriba, tutta funzionale al governo e molto più pericolosa, sull’eccesso di potere che le toghe hanno avuto nella consacrazione ufficiale e pubblica della morte di Eluana. Toghe, va ricordato, intervenute a sanare una mancanza della politica, un vuoto legislativo dovuto alla resistenza culturale di rivedere il teorema–tabù dell’indisponibilità dei limiti estremi dell’esistenza.

Paola Binetti e la collega Dorina Bianchi si danno un gran da fare, lo testimonia l’incontro su 'Testamento biologico. Menzogne e verità, per convincerci che il ddl Calabrò è stato modificato, che ha una veste laica e accettabile da tutti, che l’interruzione dell’alimentazione e idratazione artificiale non sarà vietata in modo assoluto. Rassicurazioni che dicono tutto quello che non può essere svelato. La valutazione dei casi come quello di Eluana saranno mediati da valutazioni scientifiche, peraltro difficilmente sostenibili di fronte a persone ridotte in stati irreversibili di coscienza, dal coro dei medici e dei familiari e da valutazioni istituzionali sulla vita, sulla persona e sul senso della morte che non riconoscono mai come assoluta e dirimente la sovranità del singolo. Non è un caso che Mons. Mogavero, presidente della Commissione Affari Giuridici della CEI, non protesti e anzi chieda che questa legge non sia neppure chiamata testamento.

La vita, lui dice, non è una cosa da lasciare in eredità. Non è patrimonio economico, casa o roba. E ha ragione. Non c’è modo di misurarla o di contenerla in confini neutri. Non è la valutazione di un medico e un certificato clinico che basterà a dare valore a ciò che per ognuno di noi potrebbe non averne alcuno. Il caso Englaro ha testimoniato la fatica del rispetto per un modo di vedere la vita che possiamo non capire, anche non sopportare. Una sfida etica di liberalismo dei valori che la politica italiana perderà insieme alla memoria. Eluana sarà dimenticata. Un errore giudiziario, un incidente di percorso. Una superbia di laicismo assecondata dai tribunali. Un peccato che il Parlamento ha già condannato.

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