di Mariavittoria Orsolato

La nomina del nuovo ministro dell’Agricoltura, Saverio Romano, segna l’ennesimo record per il governo Berlusconi. E’ infatti la prima volta nella storia della Repubblica - prima o seconda c’est la meme chose -  che il capo dello Stato sottolinea ufficialmente l’inadeguatezza e l’inopportunità di un neoministro che è indagato per reati di mafia. Forte dell’importante ruolo simbolico svolto nella settimana di celebrazioni per il cento cinquantenario dell’unità d’Italia, Napolitano ha redatto una nota in cui si legge che “dal momento in cui gli è stata prospettata la nomina dell’onorevole Romano a ministro dell’Agricoltura, ha ritenuto necessario assumere informazioni sullo stato del procedimento a suo carico per gravi imputazioni”.

Un colpo di reni, quello del Colle, che conferma la poca bontà che c’è in questo mini-rimpasto, attuato in extremis dopo le evidenti pressioni di Iniziativa Responsabile, il gruppo parlamentare costituitosi ad hoc per il voto di fiducia al governo dello scorso 14 dicembre. I Responsabili sono sicuramente persone intraprendenti: il transfuga dell’Idv Scilipoti si è appena proposto per portare in Parlamento le istanze del gruppo neofascista Casa Pound ed ora Romano riesce a strappare il ministero delle Politiche Agricole in cambio del si al conflitto di attribuzione per il processo Ruby.

Consci di ricattare Berlusconi grazie ai numeri risicati della maggioranza alla Camera, Romano e i suoi Responsabili hanno avanzato da subito richieste pressanti. Purtroppo il cavaliere, assorbito com’è dai suoi problemi giudiziari di ogni genere e sorta, non ha prestato sufficiente orecchio alle loro rivendicazioni e il 16 marzo per ben due volte il Governo è andato sotto su due emendamenti dell’opposizione al testo che istituisce il Garante per l’Infanzia, un voto non certo cruciale ma rispetto al quale c’era il parere contrario dell’esecutivo. L’indomani Romano ha convocato una conferenza stampa per mostrare il suo disappunto e, nonostante l’intervento si fosse aperto con toni duri verso la maggioranza, il deputato ha mutato repentinamente i modi dopo una sbrigativa telefonata del premier. In quei due minuti a microfoni spenti è probabile che sia stata confermata la poltrona di ministro al leader dei Responsabili.

Berlusconi è quindi alle strette: costretto ad inventarsi un rimpasto con soli due ministri, ha sacrificato il povero e fedele Sandro Bondi all’altare della realpolitik piazzando Giancarlo Galan - già pedina di scambio con la Lega per il governatorato del Veneto - ai Beni Culturali e trasferendo all’Agricoltura il siciliano Romano. Una nomina rischiosa, sicuramente forzata, tanto da far scomodare il Colle. Non è infatti la prima volta che viene assegnata una poltrona ad un personaggio ambiguo o con precedenti penali - l’ex sottosegretario all’economia  Cosentino è solo l’esempio più vicino alla memoria - ma, sebbene le accuse non siano ancora approdate a giudizio, è certamente straordinario il fatto che dal Quirinale venga emessa una nota sull’inopportunità politico-istituzionale del neoministro.

L’attenzione di Napolitano deriva dal fatto che Saverio Romano è stato descritto dal pentito Francesco Campanella come una persona “a disposizione” e votata dai boss di Villabate, Nicola e Nino Mandalà. I riscontri effettuati dagli inquirenti non sono stati sufficienti a sostenere in giudizio l’accusa di concorso in associazione mafiosa e i legali di Romano hanno inoltrato richiesta per archiviare l’ipotesi di reato contro il deputato dei Responsabili. Ma se per La Russa il problema di Romano è legato solo a lungaggini nell’archiviazione dei procedimenti in cui è coinvolto, da Palermo il giudice che ha esaminato la richiesta fissa per il primo aprile un’udienza in cui verranno ascoltate le parti e dove, dati i precedenti, è probabile venga decisa una proroga per le indagini a carico di Romano.

Questa non è però l’unica grana giudiziaria del neoministro. A seguito delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, Romano è indagato anche per corruzione aggravata dall’agevolazione di Cosa nostra e sebbene ad oggi non sia ancora stato imputato il suo nome figura nella sentenza di motivazione alla condanna a 7 anni di Totò Cuffaro. Certo, come puntualizzano piccati quelli del Giornale, il nuovo ministro dell’Agricoltura non è né mai stato condannato né tantomeno chiamato a giudizio ma a voler essere maliziosi le sue frequentazioni siciliane non paiono promettere nulla di edificante o tantomeno legale.

Dopo la nota del Colle il diretto interessato si è detto dispiaciuto e per dimostrare la sua buona fede ha affermato di non essere “mai stato a caccia di poltrone” e così dicendo ha interpretato il suo ingresso ufficiale nella squadra di governo come la “naturale evoluzione” delle mutate condizioni di forza della maggioranza. A molti, opposizione in primis, la sua nomina è parsa una sorta di estorsione ad un Berlusconi sempre più ricattabile e ancor meno autonomo nelle decisioni istituzionali. D’altronde, con la guerra che impazza a soli 350 kilometri dalle nostre coste, c’era davvero bisogno di eleggere in tutta fretta un nuovo ministro?

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