di Mariavittoria Orsolato

Scene da far west hanno mostrato all’Italia l’immagine di quella che dovrebbe essere una delle più importanti istituzioni italiane. Una Camera che sembrava una Suburra: La Russa che manda platealmente a quel paese - per usare un eufemismo - il presidente Fini, ministri che corrono per votare all’ultimo minuto e lanciano con sprezzo le loro schede, parlamentari che si tirano oggetti e dialogano a cori manco si trovassero nella curva sud di uno stadio.

Il motivo scatenante è, al solito, il Presidente del Consiglio e le sue beghe personali, che cerca di risolvere con provvedimenti ad personam: prima la discussione sul conflitto di attribuzione per il processo Ruby e poi lo slittamento dell’esame del testo sul processo breve. Su entrambe le questioni la maggioranza ne è uscita sconfitta.

Nel primo caso perché anche se si è riusciti a stabilire come data di discussione il 5 aprile, il processo per concussione e sfruttamento della prostituzione minorile avrà comunque inizio il giorno seguente; nel secondo perché il rinvio rappresenta una retromarcia forzata per l’Esecutivo, che sperava di chiudere in fretta ma si ritroverà la prossima settimana il ddl all'ultimo punto dell'ordine del giorno.

Una beffa di quelle che solo la politica italiana può offrire, dal momento che ad accendere gli animi di Montecitorio e della piazza, lo scorso giovedì, era stato proprio il blitz di Pdl e Lega per stravolgere l'ordine del giorno dei lavori e mettere al primo posto la discussione sulla legge tanto cara al Premier.

Lanci di monetine e contestazioni di massa che non si vedevano dai tempi di Tangentopoli hanno salutato l’involuzione definitiva dei politici italiani che, a destra come a sinistra dell’emiciclo, si sono dimostrati assolutamente inadatti a rappresentare un Paese che tra crisi economica infinita, crescita zero e guerra a un tiro di schioppo, tutto necessita fuorché l’obbrobrioso teatrino cui siamo stati costretti ad assistere negli ultimi due giorni. Lungi dal qualunquismo - che fascista era 70 anni fa e fascista rimane anche oggi - il giudizio sui nostri rappresentanti non può non essere impietoso.

Se quindi è bene ricordare l’inadeguatezza della maggioranza nel legiferare, è altrettanto salutare riconoscere che al Pd, parafrasando il tormentone del Gratta e Vinci, piace perdere facile. Lasciandosi andare a gesti degni di un primate (vedi il lancio di giornali, faldoni e quant’altro) la maggioranza ha dato sfogo alla frustrazione di non essere riuscita nel realizzare il diktat del premier, mentre l’opposizione ha dato (se ancora ce ne fosse bisogno) l’ennesima prova della sua totale inutilità, mostrando due evergreen della nomenclatura (Massimo D’Alema e Rosy Bindi) battibeccare sulla possibilità o meno di ritirarsi in un’aventiniana astensione.

Immobili e insulsi nelle loro retoriche bagatelle, i deputati della XVI legislatura si stanno infatti dimenticando del paese reale, svuotando di significato l’azione parlamentare ormai costretta a sottostare ai tempi giuridici di un premier pluri-imputato. Certo, il cittadino Berlusconi è sicuramente l’emblema del controverso, ma non è più umanamente accettabile che dopo 17 anni di convivenza istituzionale si faccia ancora a gara di insulti, ostentando una versione manichea della politica che nella prassi non esiste.

Maggioranza e opposizione possono ancora chiamarsi tali fin tanto che in ballo c’è Berlusconi. Poi, quando le questioni esulano dal personale arcoriano e abbracciano interessi potenzialmente collettivi, mettersi d’accordo è cosa assai semplice.

Lo vediamo ogni volta che si tratta di difendere i paletti che rendono l’attività politica una casta a tutti gli effetti o quando si tratta di impunità generalizzata, vedi l’indulto del 2006 che più che svuotare le carceri ha permesso di evitare le patrie galere ad amministratori di ogni colore politico.

Le speranze di sobrietà e di ritorno ad un vero dialogo istituzionale continuano ad essere riposte nel presidente della Repubblica, che nella serata di giovedì, con una iniziativa legittima quanto inusuale, ha deciso di convocare al Colle i capigruppo di Camera e Senato per quelle che appaiono come consultazioni informali sulla situazione politico-parlamentare, ma che hanno tutta l’aria di essere un ufficialissimo richiamo all’ordine.

Le conversazioni, a quanto si apprende, non si sarebbero concentrate esclusivamente sui fatti oggettivamente incresciosi di questi giorni ma avrebbero affrontato la situazione più in generale. Garantire la piena funzionalità del Parlamento, un confronto aperto e il rispetto delle regole e dei regolamenti: queste le raccomandazioni che Napolitano ripete ormai come un mantra. Parole al vento per quelli che la costituzione chiama deputati alla rappresentanza popolare ma che nella pratica politica si rivelano solo dei debosciati.

 

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