di Rosa Ana De Santis

Immaginate un’antica libreria, di numerose ed eleganti stanze,  stracolma di antichi manoscritti, tra cui l’opera omnia originale di Benedetto Croce e il pensiero dell’ “eretico” Bruno su pagine e pagine di fitti dialoghi filosofici. E pensate tutto questo stipato in una montagna di anonimi scatoloni, incartati con il nastro da pacchi e una bella scritta in fronte con pennarello nero, accatastati in un anonimo magazzino di Casoria. A morire di muffa e di dimenticanza come gli oggetti in disuso che si abbandonano in cantina o nel garage di casa.

E’ questa la fine che attende l’eccellenza di cultura filosofica e storica, custodita finora all’Istituto di Studi Filosofici di Napoli, il più importante d’Italia, patrimonio dell’Unesco, fondato nel 1975 da Giuseppe Marotta, che ora viene sfrattato insieme ai trecentomila volumi della libreria che ha mantenuto in vita ad ogni costo, arrivando a vendere tutti i propri beni.

Il taglio deciso dal governo questa volta è del 100% con diniego ad alcuna proroga di legge,  contrariamente a quelli del 10-12% subiti da altri centri, e a queste condizioni l’Istituto non potrà sopravvivere. Ricercatori, borsisti, giovani studenti non avranno più accesso a questi testi, questo il danno più grande che amareggia l’anziano studioso Marotta che, in un’intervista rilasciata a fanpage.it, dice: “A perdere è tutta la cultura del Mezzogiorno e non solo”.

La memoria storica e la ricostruzione del pensiero non sono più di moda nel tempo della crisi e il fondatore dell’Istituto accusa senza mezzi termini il governo e quell’intelligentia partenopea che, costretta ad allearsi con gli interessi più biechi di certo blocco sociale infestato di malavita, non ha interesse alcuno a difendere un luogo di studio e di pensiero come questo. “Napoli - conclude Marotta - ha paura dell’Istituto”.

Tra i tanti, era stato il filosofo tedesco Gadamer ad esprimere, con fortissimo entusiasmo, l’importanza unica dell’Istituto di Napoli, dove aveva ritrovato quella vita culturale che non c’era, come non c’è più, nel mondo universitario impaludato. Nel tempo della crisi, della disoccupazione e della religione dello spread, suona quasi come un peccato di lusso e di vanità battersi per difendere i libri e la filosofia. Non danno posti di lavoro, non difendono dagli attacchi degli speculatori, non “servono” in termini finanziari.

La filosofia ci aiuterebbe a capire meglio cosa significa “servire”. A chi e a che cosa. Scopriremmo allora che la filosofia serve alla civiltà. A misurare il valore, la grandezza e la miseria umana. A cogliere il senso della storia. Da ogni uomo fino a una nazione intera. A studiare le idee,  che hanno mobilitato popoli, governi, scatenato guerre e innalzato bandiere. La filosofia serve all’insopprimibile istinto individuale del pensare. Ad insegnare la critica come esercizio di ragione e di autonomia.

Ma certamente si può pensare di vivere anche di solo pane, di cellulare, di tv, di fila il sabato a risparmiare qualche centesimo di benzina convincendosi che la libertà e il pensiero siano un lusso per la democrazia dei tempi moderni. Fino a non accorgersi che qualsiasi annuncio mediatico, qualsiasi abuso, qualsiasi spot, diventa reale o tollerato solo perché nessuno, dal singolo alla collettività, si prende più la briga di smascherare le menzogne. O perché nessuno sa più farlo. La filosofia e il suo studio serve anche a questo.

L’economia sana di un paese troverebbe il modo di assegnare valore alle proprie eccellenze. E gli economisti che hanno il compito di salvare l’Italia dalla crisi partirebbero da quelle per risollevare la testa dell’Italia in Europa. Se fosse questo il reale scopo del loro mandato politico.

E’ certo che questo trasloco scellerato non sarebbe mai avvenuto in Francia o in Germania. Lì dove i nostri ricercatori e studiosi di filosofia sono accolti, sostenuti e apprezzati più di quanto accada - e ci vuole davvero poco - in Italia. E l’Europa, tanto amata dai professori al governo, sta a guardare anche questa mossa.

Non s’inganni chi crede che la crisi abbia costretto a stabilire una gerarchia obbligata per l’investimento dei fondi nella ricerca e che la scienza, la medicina e l’ambiente siano stati garantiti su tutto. Perché la fisiologica emorragia di cervelli e l’ammontare complessivo dei tagli, pari in tre anni a 210 milioni di euro,  confermano proprio l’accusa che viene da Napoli. Che un paese che non sa riconoscere le proprie ricchezze e non le difende, un paese che lascia marcire i suoi libri come i siti archeologici che tutto il mondo viene a visitare in pellegrinaggio, diventerà inesorabilmente povero.

E basterebbe uno studente di filosofia o , se si preferisce,  di economia al primo anno, a dimostrare che si tratterà di ben altro guaio che non di povertà di spirito.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy