di Rosa Ana De Santis

Il Viminale starebbe lavorando a una riorganizzazione complessiva del sistema delle scorte, nelle direzione di diminuire quelle assicurate a livelli di rischio effettivamente troppo bassi. Lo ha annunciato il Ministro Cancellieri, all’interno di un’anticipazione generale sui tagli necessitati dalla spending review che renderanno caldo l’imminente autunno. Ci sarebbero degli sprechi e, parallelamente a questi o forse causati da questi, condizioni critiche e insostenibili in cui versano tantissime pattuglie di scorta.

Autovetture vecchissime, a manutenzione ridotta, con carrozzeria cadente, inadatte a qualsiasi funzione di sicurezza. A dirlo sono i sindacati delle forze di polizia. Per non parlare del personale di polizia, carabinieri e guardia di finanza, dei loro stipendi e condizioni di lavoro, dei loro orari e di quanti sono sottratti alle forze dell’ordine per scortare l’ultimo onorevole di turno al ristorante o al mare, che non disturba nessuno, figuriamoci la criminalità organizzata.

La questione delle scorte ritorna alla ribalta anche sull’onda dei recenti gossip estivi. I poliziotti che seguono Gianfranco Fini nell’albergo di Orbetello e le cui stanze restano prenotate  a spese dai contribuenti anche quando il Presidente torna a Roma. L’idea che la scorta sia una specie di corte personale è coerente con una precisa concezione spagnoleggiante del potere che in Italia è genetica e storica. Surreale pensare che il Presidente Cameron, a Londra,  si rechi a lavoro con i mezzi pubblici o che negli Stati Uniti tutti i politici, ad eccezione del Presidente e del Vicepresidente, paghino con i propri soldi (e dati gli stipendi degli onorevoli italiani non dovrebbe essere un problema) la propria sicurezza.

Non sono, comunque, solo i politici l’unica categoria con questa privilegio erogato con scarsa selettività. Paghiamo bodyguard, per citare qualche esempio, al Direttore Belpietro (forse in nome del suo misterioso attentatore dall’identikit fumettistico), la paghiamo a Feltri, ad Emilio Fede, ma anche alla fin troppo esuberante Santanchè. Mentre era stata tolta a Biagi, poco prima che venisse ammazzato dalle nuove BR, mentre ogni anno un parroco di strada in guerra aperta con la camorra, Don Merola, deve lottare per vedersela confermata dopo aver subito attentati nel quartiere dove difende la legalità, tanto da dover dire messa con la scorta armata. Paghiamo autisti armati a tanti Direttori della Pubblica Amministrazione, il cui rischio di incolumità per funzioni pubbliche è di difficile intuizione.

La valutazione del rischio è il principio da cui ripartire per assegnare scorte a difesa dell’incolumità e in nome della sicurezza e non per lo status symbol che porta, il più delle volte,  ad ostentare lampeggianti e bodyguard come indicatori pubblici della propria visibilità e del proprio potere.

Non può bastare la declamazione di accuse vaghe, il più delle volte per adescare il consenso popolare e i voti, per dichiararsi in pericolo e pretendere la scorta. Viene in mente la Santanchè e le sue giaculatorie contro il velo islamico. Una certa esposizione pubblica con i conseguenti rischi è intrinseca all’esercizio di determinate funzioni. Chi si assume la responsabilità di intraprendere una certa strada, che sia il giornalismo d’inchiesta, la popolarità dello spettacolo, la vita politica o la carriera giudiziaria, sa bene di non essere assimilabile alla vita dell’impiegato qualsiasi. Troppo facile, invece, la strada dei nuovi califfi e delle soubrette travestite da pensatrici che sanno solo insultare, offendere, vituperare chi si vuole dalle colonne di un giornale o da un’aula, da un microfono utilizzato come mazza da baseball, per poi chiedere protezione a spese della collettività per esigenze di visibilità e fama personale. A meno che non decidessimo di scortare qualsiasi cittadino si esponesse a comizi d’occasione, anche dentro l’autobus.

Diverso è il rischio di chi, come i magistrati in prima linea contro la mafia, o certi politici o tecnici di governo o giornalisti o cittadini che denunciano con precise accuse, nel merito delle proprie competenze e funzioni concretamente toccano interessi della malavita, stanano e denunciano la criminalità e difendono le Istituzioni e lo Stato mettendo a servizio il proprio lavoro con azioni precise e non con oratorie da comizio. E’ quello il caso in cui una scorta è doverosa e necessaria per difendere l’operato di chi offre un servizio allo Stato e alla collettività e solo quello il caso in cui la scorta è ben più che la difesa di una persona, piuttosto del suo operato e della sua funzione pubblica,  in sfregio al personalismo vippettoso con cui spesso la si esige.

Quanti sono invece a caccia di popolarità a buon mercato, potrebbero finanziare con le proprie tasche lo stuolo dei bodyguard, lasciando le forze dell’ordine al servizio dei cittadini e facendo risparmiare un bel po’ di soldi alle casse dello Stato.

La promessa del Ministro Cancellieri, che ha già fatto clamore, scuoterà gli animi e chissà se non rimarrà più una promessa che altro. Che non sia la fotocopia dello strano meccanismo per cui le famose auto blu continuano ogni anno ad essere troppe e a dover essere tagliate. Si tratterebbe di un segnale importante anche in termini simbolici, ma è difficile nutrire fiducia nel potere politico italiano aggrappato ai privilegi e in questo governo tecnico che non ha dimostrato segnali di rottura con i politicanti di professione, tanto vituperati dalle cattedre e molto meno dagli scranni. 



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